Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Grillo fuori controllo: insulta, minaccia e si paragona a Hitler Cronaca di Marco Imarisio, commento di Pierluigi Battista
Testata: Corriere della Sera Data: 18 maggio 2014 Pagina: 6 Autore: Marco Imarisio - Pierluigi Battista Titolo: «L'escalation di Grillo che insulta anche Merkel - Così ha varcato con freddezza un'altra soglia»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/05/2014, a pag. 6, la cronaca di Marco Imarisio dal titolo"L'escalation di Grillo che insulta anche , Merkel" e da pagg. 1-6 il commento di Pierluigi Battista dal titolo "Così ha varcato con freddezza un'altra soglia". Secondo la cronaca di Jacopo Jacoboni pubblicata dalla STAMPAa pag. 4 ( "Grillo show, c'è la Merkel nel mirino") la frase completa di Grillo su Hitler sarebbe stata: "Dicono che io sono Hitler?! Ma io sono oltre Hitler. Senza di noi, in Italia avreste i nazisti". La seconda parte è assente dalla cronaca di Imarisio. Anche nella versione di Jacoboni, comunque, non è chiaro se Grillo pensi al Movimento 5 Stelle come a un argine ai nuovi nazisti o come a un loro sostituto, più o meno fedele all'originale. In Italia, al momento, un forte partito nazista non c'è. Esiste invece un forte partito dalla vocazione antidemocratica e autoritaria come il Movimento Cinque Stelle. E' di questo pericolo reale, e non di altri immaginari, che occorre essere coscienti. Segnaliamo infine il commento alle parole di Grillo rilasciato da Matteo Renzi, con il quale in questo caso specifico non possiamo che concordare: "Ci sono pagine del passato che non vanno citate neanche per scherzo e tanto meno devono essere usate come spot elettorale"
Ecco la cronaca di Marco Imarisio: Marco Imarisio
All’improvviso Hitler. Fino a quel momento l’unico appunto sul taccuino era stato questo. «Un format ossessivo». Il resto della pagina bianco, o quasi. La tappa torinese stava scivolando via in un nulla di fatto. Il leader del Movimento 5 Stelle era sceso dal suo furgone con un’ora buona di ritardo. Ad aspettarlo in piazza Castello c’erano diecimila persone. Comunque tante, ma non certo la replica dell’adunata dei trentamila che nel febbraio del 2013 aveva rappresentato l’allarme fuori tempo massimo per le altre forze politiche. Beppe Grillo aveva rivolto uno sguardo distratto al banchetto contro la vivisezione, posizionato proprio davanti a lui. Non c’era alcuna foto di Dudù, pericolo scampato. «È molto stanco» aveva detto Walter Vezzoli, l’onnipresente cognato. Gli osservatori esterni si aspettavano tuoni e fulmini contro Sergio Chiamparino, che è pur sempre il rivale di Davide Bono, suo candidato alle Regionali, oppure contro la rapace cupola di Expo 2015. Nulla, se non la scontata battuta sul dito medio di Fassino e sul suo aspetto esangue. Il resto era «schifo, schifo», «mafia corrotta dalla politica», non meglio precisati «grandi gruppi di potere» definiti come «i nuovi criminali», ma senza mai un nome. Un Grillo abbastanza spento, con la tendenza sempre più marcata a fare di se stesso l’oggetto principale del comizio. «Cattivo, certo che sono cattivo». Il pubblico assisteva con applausi a comando, senza l’entusiasmo trascinante dello scorso inverno. Nell’atmosfera abbastanza sonnacchiosa, Grillo decide di regolare una questione personale. Non è un caso che abbia abbassato nuovamente l’asticella del dicibile nel momento in cui replicava a un brutto attacco personale del candidato del Pse alla presidenza europea, Martin Schulz, che deve essergli sembrato lesa maestà. Con tono piccatissimo, ha subito mollato i freni. Ecco la frase, testuale «Bisogna ringraziarlo, Stalin. La guerra contro i nazisti l’ha vinta lui. Se non vinceva Stalin, Schulz era dentro al parlamento con una svastica sulla fronte. E tu dai dello stalinista a me? Vieni a offendere 10 milioni di italiani? Schulz, vedi di andare affanc... ». Grillo fa un passo avanti e si rivolge direttamente alla folla. «Dicono che io sono Hitler. Ma io non sono Hitler... sono oltre Hitler!». Gli esce male, ma proprio male. E infatti dalla piazza sale un mormorìo condito da qualche applauso sghembo che cela un imbarazzo generale. Dietro di lui, Davide Bono abbassa lo sguardo a rimirar le scarpe. Le repliche arrivano quasi in diretta, a cominciare da quella di Matteo Renzi, che lo invita a lasciare il Terzo Reich nel cassetto dei cattivi ricordi. «Ci sono pagine del passato — gli dice dal palco di Modena — che non vanno citate neanche per scherzo e tanto meno devono essere usate come spot elettorale». Ma quando si rompono gli argini diventa difficile ritornare sulla terraferma. Grillo comincia a prendere in giro Angela Merkel simulando un gramelot italo-tedesco che i più faticano a comprendere. Lo molla subito, ma è anche peggio. Il Movimento 5 Stelle dice, non farà come Renzi, gratificato di un «ebetino di Firenze», che, anche qui testuale, «è andato a dare due linguate a quel culone tedesco». Un chiaro riferimento ad Angela Merkel. La battuta incassa un applauso più convinto di quella su Hitler, e ci voleva poco. Questa volta Grillo si gira verso i fedelissimi. Incrociano gli sguardi. L’impressione è che lui capisca in diretta di averla detta grossa. L’aggettivo usato per definire le dimensioni del posteriore della cancelliera è quasi una citazione, che richiama una frase per molto tempo attribuita a Silvio Berlusconi, che ha sempre negato di averla pronunciata. Quel “tedesco” che lo accompagna è però una aggiunta in forte odore di razzismo, o almeno interpretabile come tale. Il cognato che gli fa da angelo custode ha ragione. Grillo sembra davvero stanco. Quel che colpisce è l’assoluta mancanza di riferimenti spazio-temporali nei suoi ultimi comizi. Poteva essere ieri come due anni fa, poteva essere Torino come Vicenza o Spotorno. Grillo non si prepara più, va a braccio. Attinge al repertorio. L’appello alle forze dell’ordine («Digos, Dia e carabinieri con noi, via le scorte ai politici») perché sposino la sua causa risale alla breve stagione dei forconi, che proprio in questa piazza conobbero il loro momento di massima visibilità, così come l’attacco frontale sulla legge Bolkestein. Il minuto di silenzio per i partiti che presto moriranno è un classico che scatta sempre al rintocco di una campana nelle vicinanze. Le uniche novità sono Hitler, le terga di Angela Merkel, e l’ulteriore opera di scavo del fondo che questa campagna elettorale ha già toccato, con il suo decisivo contributo .
Ecco il commento di Pierluigi Battista:
Pierluigi Battista
Ieri, nel suo comizio a Torino, Beppe Grillo ha fatto qualcosa di più che insultare, attività che peraltro non gli è nuova. Ha invece officiato il rito dell’insulto assoluto, dell’aggressività senza limiti e senza risparmio. Le campagne elettorali spesso sono il teatro della virulenza polemica, e forse non può essere diversamente. Ma la differenza è che Grillo non vuole vincere le elezioni incendiando i toni nei comizi, come si fa di solito, ma annichilire il nemico con un lessico deliberatamente oltraggioso, davanti a una folla plaudente e sempre più numerosa. Non conquistare più voti, ma mandare un messaggio ultimativo a chi si oppone alla sua marcia trionfale. Non un lessico rivoluzionario, ma una fraseologia insurrezionale, minacciosa. Fisicamente minacciosa, quando ha invitato la Polizia a non proteggere più i politici: «Alla Digos sono già con noi, alla Dia sono già con noi, ai Carabinieri sono già con noi: non date più la scorta a questa gente». Lasciateli soli e inermi di fronte alla folla inferocita. La strategia della paura, altro che toni troppo elevati. A Torino Grillo ha oltrepassato una soglia. Ha premuto tutti i tasti del linguaggio cruento. Ha saggiato l’umore della sua gente, che ama queste performances così teatralmente prive di autocontrollo. Dopo aver provato nei giorni precedenti incursioni insensate sulla Shoah, ieri ha insistito sull’ingiuria dal sapore storico, per cui Martin Schulz, se non «ci fosse stato Stalin, oggi sarebbe con una croce uncinata al braccio». Per poi passare, tra gli sghignazzi dei seguaci, all’oscenità esplicita, appena appesantita da una goliardia senile, accusando Renzi di essere andato a «dare due linguate a quel c...one tedesco della Merkel». Per poi andare agli improperi minacciosi contro l’inno di Mameli, in cui i fratelli d’Italia sono solo «i piduisti, i massoni, la camorra» e perciò meritevole di essere fischiato negli stadi di Genny ’a carogna. Per finire con la promessa solenne che in futuro verranno celebrati processi sommari («processo pubblico», popolare) contro i «giornalisti, i politici, gli imprenditori che hanno rovinato questo Paese». Per ora, per carità, solo un «verdetto virtuale»: «uno sputo». Virtuale, certo. Come se fosse diverso il messaggio, l’ingiunzione a «sputare» sui nemici in una gogna che, nei casi migliori, mima una condanna esemplare da offrire in pasto al popolo in collera, nei casi peggiori anticipa condanne più corpose e meno virtuali. Nel linguaggio della campagna elettorale, le parole torinesi di Grillo segnano un salto, inaugurano qualcosa di decisamente più brutale e feroce di tutti gli insulti più consueti e che oramai hanno creato uno stato di quasi assuefazione. È una promessa di purificazione, da attuare attraverso un uso politico della rabbia in cui i bersagli vengono indicati al pubblico ludibrio, «processati» come responsabili e addirittura venduti allo straniero, criminalizzati in blocco e dunque additati come obiettivo da colpire. Senza scorta, perché chi tra le forze dell’ordine dovrebbe tutelarne l’integrità si sarebbe già schierato con i rivoltosi. Un linguaggio da insurrezione, non un linguaggio da campagna elettorale. Un linguaggio in cui non si vince una normale competizione, ma si combatte in un Armageddon finale che non può non risolversi con la disfatta, anche fisica, di chi soccombe e viene sottoposto alla giustizia spietata dei vincitori. Qualcosa che va al di là delle intemperanze verbali che abbiamo conosciuto (e di cui, per esempio, la Lega è stata in passato campione assoluto). Una dismisura ricercata e perseguita con freddezza. Una sintonia con un’opinione pubblica esasperata e che accoglie, come si vede nei comizi sempre più affollati di questi giorni, le sparate di Grillo con entusiasmo e parossismo. In una spirale che andrà sicuramente oltre il 25 maggio, in cui le elezioni sono solo una tappa di una guerra senza fine .
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