Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Così la Prima guerra mondiale cambiò il Medio Oriente Analisi di Lorenzo Cremonesi
Testata: Corriere della Sera Data: 15 maggio 2014 Pagina: 37 Autore: Lorenzo Cremonesi Titolo: «Un sisma che sconvolse anche il Medio Oriente»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/05/2014, a pag. 37, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo "Un sisma che sconvolse anche il Medio Oriente".
Lorenzo Cremonesi 1917: l'ingresso del generale Allenby a Gerusalemme
Medio Oriente e Prima guerra mondiale: è il tema affrontato nell’ottavo dvd della serie «14-18 Grande guerra». Ma di solito se ne parla poco. In genere tendiamo a raccontare il conflitto come una «guerra civile europea». Dimenticando però che quello stesso conflitto condusse non solo alla fine dell’Impero ottomano, ma soprattutto resta all’origine della destabilizzazione cronica che da un secolo scuote gli ex Paesi coloniali sulla sponda meridionale del Mediterraneo, dal Marocco alla Mezzaluna fertile. Tanto che il caos violento delle cosiddette Primavere arabe, esplose nel 2011 e tuttora al centro delle tensioni regionali, viene letto anche come l’ennesimo tentativo da parte delle popolazioni locali di cambiare e rimodellare i confini «artificiali» concordati segretamente nel 1916 tra Francia e Inghilterra (i cosiddetti patti Sykes-Picot), ancora prima che le truppe del generale Allenby raggiungessero Gerusalemme nel novembre 1917. Se è vero che in Europa la Grande guerra terminò solo nel 1945, in Medio Oriente invece la si sta ancora combattendo e in questo momento in modo più cruento che mai. Lo scenario più apocalittico è quello siriano, oltre 150 mila morti in tre anni, quasi 9 milioni di profughi, il Paese in ginocchio sotto il tallone della repressione della dittatura alawita e spaventato dagli eccessi anarcoidi dei fondamentalisti sunniti. Questa era stata per oltre quattro secoli una provincia ottomana, comprendente anche Palestina e Transgiordania. Se paragonata ai tumulti del Novecento, l’era del dominio del sultano da Costantinopoli appare tutto sommato pacifica. Alla fine dell’Ottocento Mark Twain nel suo scanzonato Innocenti all’estero descrive una Gerusalemme «quieta, trasandata e sonnolenta sino alla noia». La sua indignazione nasce dopo aver rilevato la sporcizia dei Luoghi Santi e le beghe da pollaio tra le diverse denominazioni cristiane. Nulla a che vedere però con le tensioni politiche che seguiranno le prime sommosse arabe antisioniste scaturite dalla Dichiarazione Balfour del 1917, con cui Londra prometteva di creare in Palestina un «focolare ebraico». Alla base di tutto questo sta quella Linea nella sabbia , così come recita il titolo di un libro dell’inglese James Barr pubblicato di recente, tracciata brutalmente con il righello dagli ufficiali coloniali di Londra e Parigi. La logica era semplice. La regione veniva divisa in due, senza tener conto affatto delle realtà locali, ignorando tradizioni religiose, etniche, divisioni tribali antiche millenni. Il confine partiva sopra San Giovanni d’Acri, tra la Galilea settentrionale e il Libano meridionale, tracciava la frontiera che tutt’oggi divide la Giordania dalla Siria e quella tra l’Iraq e la Turchia contemporanei. A sud est stava la zona di influenza britannica, a nord quella francese. Poco importava che in mezzo si trovasse l’unità etnico-territoriale del popolo curdo, ancora meno che i cristiani dei monti del Libano fossero amalgamati ai drusi, con i quali si massacravano da anni. E poco importava soprattutto che venissero così tradite le promesse di indipendenza nazionale fatte dagli inglesi agli arabi per garantire la loro fedeltà nella lotta contro turchi e tedeschi. Dallo sgambetto nacquero quelli che un altro noto storico britannico, David Fromkin, nel suo Una pace senza pace , chiama gli «Stati figli di Francia e Inghilterra: Libano, Siria, Giordania, Iraq, Israele e Palestina». Un tradimento che pesa tutt’oggi nei modi di pensare e nei pregiudizi delle piazze arabe nei confronti degli occidentali, una volta soprattutto gli inglesi e adesso gli americani. Scriverà Lawrence d’Arabia nell’introduzione al suo classico I sette pilastri della saggezza : «Era evidente, sin dall’inizio, che, se avessimo vinto la guerra, le nostre promesse sarebbero state carta straccia». È una condanna impietosa, la sua, contro le ingiustizie commesse nei confronti degli arabi da parte delle potenze vittoriose. «Se fossi stato un consigliere onesto, avrei detto agli arabi di tornare a casa e non arrischiare la vita per una simile prospettiva», aggiunge autocritico, giustificandosi solo con la sua speranza di allora per cui una travolgente vittoria della rivolta araba contro l’esercito ottomano avrebbe potuto indurre le grandi potenze a rivedere il proprio atteggiamento. Ma così non fu. Di conseguenza la versione tradizionale dell’antisionismo arabo, che sia di matrice laica come quello di Nasser o dell’Olp, oppure islamico-fondamentalista come quello di Hamas e dei Fratelli musulmani, resta fortemente impregnata dal «peccato originale» derivato dalla Prima guerra mondiale. Come del resto non è difficile trovare tra le milizie estremiste sunnite, che oggi stanno cavalcando il progetto del «nuovo califfato» per abolire il confine tra Siria centro-meridionale e Iraq occidentale, il desiderio di ricostruire un Medio Oriente rinato dalle ceneri dei confini coloniali.
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