Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Pim Fortuyn: libero l'assassino Analisi di Sylvain Ephimenko, del quotidiano olandese Trouw
Testata: Il Foglio Data: 09 maggio 2014 Pagina: 1 Autore: Sylvain Ephimenko Titolo: «La vendetta del giusto»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/05/2014, a pag. 1 dell'inserto, l'articolo di Sylvain Ephimenko dal titolo "La vendetta del giusto".
Sylvain Ephimenko Pim Fortuyn
Il giorno del rilascio di Volkert van der Graaf, venerdì 2 maggio, mi sono trovato di fronte all’uomo che lui aveva assassinato dodici anni prima. E’ stato per puro caso che quel giorno mi trovavo a Rotterdam, davanti alla statua di Pim Fortuyn. Si tratta di una piazza molto piccola, triste e deserta, fiancheggiata da torri di vetro. Mentre il ministero della Giustizia olandese si occupava del rilascio dell’assassino e portava Volkert verso una destinazione segreta, dove sarà protetto per anni dalle guardie del corpo, io osservavo la statua di bronzo e mi chiedevo: è meglio avere una statua dopo essere stato ucciso o essere l’assassino, vivo, uscito dal carcere dopo soli dodici anni? Mi facevo anche un’altra domanda: se la vittima fosse stata un uomo politico di sinistra e l’assassino un estremista di destra, l’avrebbero rilasciato dopo solo dodici anni di carcere? Il 6 maggio 2002 ho ricevuto una telefonata dal mio giornale: Pim Fortuyn era stato appena assassinato da uno sconosciuto nel parcheggio degli studi televisivi della città di Hilversum. Pim Fortuyn era un opinionista come me. Durante l’estate del 2001 aveva annunciato la sua intenzione di candidarsi alle elezioni del maggio 2002. Fu uno choc per tutto il paese perché Fortuyn aveva la reputazione di essere un uomo libero, senza tabù, uno che non esitava a dire ad alta voce quello che pensava. Un uomo di destra, un po’ arrogante, un gay disinibito, ma con un carisma raro in questi freddi paesi del nord Europa. Molto rapidamente, le posizioni assunte da Fortuyn in materia di immigrazione e islam avevano creato un’onda d’urto. L’Olanda è stata il simbolo europeo del politically correct nutrito per decenni di multiculturalismo. Dagli anni Settanta, l’immigrazione di massa aveva cambiato l’aspetto di grandi città come Amsterdam, Rotterdam e L’Aia. Le moschee si moltiplicavano come funghi e l’arabo e il turco erano insegnati ai giovani nelle scuole. Gli omicidi politici sono una cosa molto rara in Olanda, un paese dove il conflitto è di solito risolto al tavolo dei negoziati. L’ultimo assassinio politico (Willem van Oranje) era datato 1584. Il vero choc per questa nazione pacifica era quello di scoprire l’identità del killer: un ambientalista di trentadue anni. Attivista di sinistra, vicino al piccolo partito GroenLinks (Verdi di Sinistra), vegetariano e difensore dei diritti degli animali. Lo stupore è stato naturalmente più grande nella sinistra olandese. Ecco che l’Olanda ha avuto improvvisamente un martire, una vittima dell’intolleranza politica. Ma il martire era un politico di destra, sacrificato sull’altare dell’intolleranza da un attivista di sinistra. Tutto il contrario di quello che viene insegnato dal politicamente corretto. La pillola era difficile da digerire per i progressisti. I giornali, gli opinionisti di sinistra, si sono scatenati per trovare prove incriminanti. Non contro l’assassino, ma contro la vittima! Volevano annerire il personaggio di Fortuyn, trovare citazioni discutibili e suggerire in qualche modo che un po’ si era meritato il suo destino. Chi, come me, osava scrivere che i proiettili venivano dalla sinistra, veniva ricoperto di insulti. Come fare allora per minimizzare il gesto dell’ambientalista ? Come fare per gettare un’ombra sull’aura da martire della libertà di espressione della vittima ? Come banalizzare il delitto politico di sinistra che metteva a soqquadro l’ordine delle cose ? In Olanda i giudici si sono rifiutati di dare all’omicidio un valore veramente politico. Per esempio prendendo in considerazione l’ipotesi che forse Volkert avesse assassinato il futuro primo ministro. I giudici hanno sottolineato che la democrazia non era stata messa in pericolo dal killer, perché le elezioni avrebbero avuto luogo, come previsto, un paio di settimane più tardi. Ecco perché si sono rifiutati di imporre una severa pena detentiva. Volkert, che diceva di vedere Fortuyn come “un pericolo per la società”, è stato condannato a soli diciotto anni di carcere. Per la famiglia Fortuyn e i suoi amici, l’insulto fu immenso e doloroso. Il 2 maggio 2014 Volkert van der Graaf è stato rilasciato per “buona condotta” con riduzione di sei anni della condanna. Un nuovo insulto alla memoria della vittima, perché Volkert non ha mai detto di essersi pentito del suo crimine. Questa liberazione si è svolta in un clima generale di amarezza e rimpianto in Olanda. Perché le cose sono molto cambiate in questo paese dal processo nel 2003. Sia il pubblico che le élite sono d’accordo, oggi, nel dire che la sentenza contro Volkert era stata troppo leggera all’epoca. Questo cambiamento è dovuto in parte a un secondo assassinio politico avvenuto meno di due anni dopo ad Amsterdam. E anche questa volta era un opinionista di destra, un regista, a essere assassinato. L’assassino, in questo caso, era un islamista. Mi ricordo bene quei giorni di tensione. Il cadavere di Theo van Gogh giaceva ancora nella camera mortuaria, ma nella grande casa di Amsterdam il tono degli ospiti era rimasto ottimista. Quattro giorni prima, in una mattina grigia nel novembre 2004 , il regista olandese e polemista era stato ritualmente assassinato nel cuore della città di Amsterdam da Mohammed Bouyeri. Sul suo corpo che ancora tremava per gli ultimi spasmi, il pazzo di Allah aveva lasciato un ultimo messaggio. Cinque fogli, scritti nel nome di Allah il Compassionevole, il Misericordioso, indirizzata al membro del Partito liberale Vvd Ayaan Hirsi Ali. Per piantare una lunga lettera sulla pancia della sua vittima, Bouyeri non aveva utilizzato il grosso coltello da cucina con il quale aveva macellato Theo van Gogh. Aveva usato un coltello più piccolo, un “fileermes”, come si dice in olandese. Non c’è dubbio che l’immagine di quei fogli inchiodati nella carne umana è rimasta nella nostra mente. Proprio come quella frase, l’unica della lettera che era stampata in grassetto: “Ayaan Hirsi Ali, ti fracasserai contro l’islam”. E infatti Ayaan era, quel 7 novembre 2004, una delle nove ospiti della mia cena ad Amsterdam. Come eravamo arrivati a quel punto? Probabilmente da un senso di urgenza, ma anche dal desiderio di proteggere questa donna in pericolo di vita che conoscevamo tutti personalmente. C’erano, quella notte, tre giornalisti, uno scrittore e quattro professori universitari. Tutti avevamo pubblicato regolarmente libri o articoli sulle famose quattro “I” (immigrazione, integrazione, identità e islam) che costituivano in quel momento il cuore del dibattito nei Paesi Bassi. Insieme avevamo in comune una sfiducia per i concetti del multiculturalismo che costituiscono una forma di dittatura. Ho già accennato che l’atmosfera della serata non era quella di una veglia funebre. Anche se attraverso l’assassinio di Van Gogh erano la libertà d’espressione e la critica della religione a essere state uccise in via Linnaeusstraat. Soprattutto volevamo esprimere la nostra solidarietà alla deputata liberale. In realtà era lei, oggetto dell’odio islamista, la prima a essere preoccupata per la nostra sicurezza. Ha trascorso la serata a convincerci a chiedere la protezione della polizia (che poi fu data alla maggior parte di noi). Ayaan aveva vissuto per oltre due anni dietro delle finestre con vetro a prova di proiettile e circondata da guardie del corpo armate. Questa giovane donna di origini somale, rifugiata nei Paesi Bassi sin dagli anni Novanta, aveva denunciato l’islam politico e lo status della donna all’interno della religione. Odiata dai musulmani, anche dai moderati, Ayaan era stata oggetto di una feroce avversione da parte della sinistra olandese. Perché aveva sostenuto che i tradizionali valori progressisti (laicità, parità di genere e critica della religione) non erano più in buone mani a sinistra. Ayaan aveva deciso di scrivere la sceneggiatura per un cortometraggio intitolato “Submission”. Il film doveva girarlo Theo van Gogh. La condanna era stata durissima. In quel film sul corpo delle donne arabe, seminudo e coperto di ferite, si potevano leggere dei versetti del Corano. Blasfemia. Appena due mesi dopo la trasmissione di “Submission” alla televisione olandese, Theo van Gogh fu brutalmente assassinato da Bouyeri. Della cena post mortem con gli amici mi è rimasta un’immagine strana. Quella di Ayaan Hirsi Ali che cerca di prendere la parola nella confusione generale. A un certo punto si alzò improvvisamente su una sedia per farsi sentire. E poi ci fu il silenzio. Era una visione bizzarra di uomini domati da una tigre. Pochi giorni dopo hanno portato Ayaan fuori dall’Olanda per motivi di sicurezza verso una destinazione segreta. In realtà lei è rimasta diverse settimane negli Stati Uniti, isolata dagli amici e circondata dalle sue guardie del corpo Se ho lungamente evocato e descritto questa cena è perché ha avuto un certo impatto sul dibattito e l’atmosfera elettrica che regnava nei Paesi Bassi dopo l’assassinio del 2 novembre. L’idea dell’assimilazione degli immigrati era considerata quasi come un’abiezione post coloniale. Per quanto riguarda l’integrazione, era accettata solo a sinistra con la formula: “Integrazione sì, ma con conservazione dell’identità di origine”. Persino le scuole islamiche dovevano essere finanziate con i soldi pubblici. Questa apartheid tra le comunità era stata stimolata dallo stato. Per quanto riguarda la laicità, quella era gradualmente indebolita dalle richieste sempre più forti da parte della comunità islamica, sostenute dai partiti di sinistra o democristiani (sale di preghiera nelle università e aziende, piscine miste pubbliche vietate, il velo islamico autorizzato nelle scuole). Ci sono diversi fattori che, con una velocità sorprendente, alla fine hanno rovinato questo edificio. Primo di tutto: il breve ma cruciale contributo di Pim Fortuyn. Ma anche l’impatto dell’11 settembre e la comparsa sulla scena di dissidenti dell’islam come Hirsi Ali o il docente di origine iraniana Afshin Ellian. E, naturalmente, l’inizio di un dibattito tra politici, giornalisti, accademici e scrittori. Ma il vero motore del cambiamento rimane l’esasperazione di una parte della popolazione. Gli olandesi che si sentivano sempre più stranieri nel loro stesso paese. Quelle stesse persone che hanno vissuto l’immigrazione di massa e la trasformazione delle città come uno sradicamento. Naturalmente la risposta della sinistra multiculturalista è stata feroce. Aveva molto da perdere con il crollo dei tabù che aveva introdotto. Ma anche, e soprattutto, con il crollo dei propri punti di riferimento. Inventarono così il delitto di “islamofobia”. Finché tutte queste invettive, tutti gli amalgami e la demonizzazione dei partecipanti a un dibattito democratico, non hanno finalmente cambiato il corso degli eventi. In Olanda i vecchi tabù sono caduti uno dopo l’altro, senza neanche un’ondata di crimini razzisti e l’emergere di un “nuovo fascismo”. La critica dell’islam è considerata oggi come un cosa naturale che non scandalizza più nessuno. Oggi è possibile discutere del posto che deve avere un islam sempre più esigente, intollerante ed espansionista nella società moderna. Naturalmente Pim Fortuyn e Theo van Gogh sono stato assassinati e non saranno mai più in grado di esprimersi. Naturalmente Ayaan Hirsi Ali ha preferito andare “in esilio” negli Stati Uniti. Ed è vero che l’assassino di Fortuyn è stato liberato dopo un breve soggiorno in carcere. Ma sarebbe sbagliato credere che l’Olanda sia in uno stato di regressione. O che il passaggio dalla vecchia propaganda di sinistra possa essere invertito. Oggi la politica lassista sull’immigrazione è diventata restrittiva nella maggior parte dei partiti. Il vero pericolo è una radicalizzazione di coloro che affermano di essere gli eredi di Pim Fortuyn. Penso al leader del Partito per la Libertà, Geert Wilders, per esempio. Un populista di destra che potrebbe vincere le elezioni europee di questo mese.
L’autore di questo articolo è opinionista del quotidiano olandese Trouw
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