domenica 20 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.05.2014 Nigeria: l'Occidente non può restare indifferente ai crimini di Boko Haram
Cronaca di Alessandra Muglia, analisi di Barbara Stefanelli

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 maggio 2014
Pagina: 15
Autore: Alessandra Muglia - Barbara Stefanelli
Titolo: «Le studentesse rapite in Nigeria. I Paesi occidentali verso l’intervento - Quelle ragazze nostre sorelle»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/05/2014, la cronaca di Alessandra Muglia dal titolo "Le studentesse rapite in Nigeria. I Paesi occidentali verso l’intervento" e, da pag. 1,  l'editoriale di Barbara Stefanelli dal titolo "Quelle ragazze nostre sorelle".

Ecco la cronaca di Alessandra Muglia:

                    
Alessandra Muglia         Terroristi di Boko Haram

Teste di cuoio britanniche, soldati e negoziatori americani, squadre specializzate francesi: dopo le condanne e lo sdegno, arrivano le prime concrete offerte di aiuto alla Nigeria per ritrovare le oltre 200 studentesse prelevate da scuola dai Boko Haram, gli estremisti islamici che hanno fatto della lotta all’istruzione, soprattutto femminile, la loro missione. Sono stupite e soddisfatte le donne nigeriane che con la loro coraggiosa mobilitazione su Twitter e nelle piazze sono riuscite a portare il dramma del Paese all’attenzione del mondo, denunciando la latitanza/inerzia delle istituzioni locali («non ci chiediamo: le troveranno? Piuttosto: le stanno cercando?») e invocando l’aiuto della comunità internazionale. Sotto l’hashtag #BringBackourGirls si sono ritrovate sconosciute casalinghe nigeriane e Hillary Clinton, hanno fatto sentire la propria voce Shirin Ebadi («Chi si oppone all’istruzione nega l’Islam»), Malala e Angelina Jolie («incredibile crudeltà»). Le proteste si sono diffuse dalla capitale Abuja a Lagos, da Londra a Washington. Così il dramma delle ragazze rapite ha reso evidente che i Boko Haram non sono un problema soltanto nigeriano: per via del loro raggio d’azione esteso ai Paesi confinanti e per i probabili legami con altri gruppi jihadisti africani come gli Shebab somali e Al Qaeda nel Maghreb.
Gli Stati Uniti sono stati i primi a offrire il proprio sostegno. Lunedì hanno annunciato l’invio di un pool di esperti, anche militari (una decina), che si occuperanno di coordinare la comunicazione, la logistica, la raccolta di informazioni (operazioni di cui c’è un gran bisogno vista la confusione nel Paese). L’appello lanciato dal presidente Obama è stato raccolto ieri dalla Gran Bretagna che si è detta pronta a fornire un sostegno di intelligence e uomini delle forze speciali. Per la Francia, il ministro degli Esteri Fabius ha prospettato l’invio di una «squadra specializzata dotata di tutti i mezzi a nostra disposizione». Un’offerta di aiuto è arrivata anche dal premier cinese Li Keqiang ieri ad Abuja per il World Economic Forum africano, un palcoscenico che avrebbe dovuto dare lustro alla prima economia africana per attirare investitori e che invece risulta offuscato dall’emergenza terrorismo: «La cooperazione cinese potrebbe estendersi alla lotta al terrorismo», ha annunciato.
Ma ritrovare le ragazze resta un compito arduo anche con i rinforzi in arrivo. Perché sono passate ormai tre settimane da quando nello stato nordorientale del Borno le studentesse, la notte prima degli esami, sono state indotte con l’inganno dai terroristi spacciatisi per soldati a uscire da scuola e a salire a bordo di camion spariti nella foresta Sambisa, al confine con il Camerun. Si è perso tempo prezioso: soltanto ieri le autorità hanno annunciato una ricompensa di 300 mila dollari per chi fornisce informazioni. Ma ormai, come fa notare più di un osservatore locale, è probabile che i terroristi per non dare all’occhio si siano divisi in piccoli gruppi, ognuno con poche ragazze al seguito, sparsi nei 60 mila chilometri quadrati della boscaglia. I Boko Haram useranno probabilmente le loro «prede» come scudi umani, così da scongiurare bombardamenti. In attesa di venderle come schiave o mogli in Ciad e Camerun, come hanno minacciano nel video choc diffuso lunedì scorso.
La tratta delle donne nel Borno, intanto, non si ferma: lunedì notte altre 11 ragazze sono state rapite dai jihadisti. E ieri si è appreso il bilancio delle vittime dell’attacco sferrato sempre nel Borno al villaggio di Gamboru Ngal, devastato lunedì con un rastrellamento casa per casa: 300 morti. Una strage. L’ennesima.

Ecco l'editoriale di Barbara Stefanelli:

              
Barbara Stefanelli          Per la liberazione delle ragazze rapite


Blessing Abana, Deborah Abari, Deborah Abbas, Hadwa Abdu... Sono i primi nomi di una lista che corre fino a quasi 300: sono i nomi delle ragazze rapite, tra il 14 e il 15 aprile, nel dormitorio di una scuola in Nigeria. Rapite da uomini armati di kalashnikov, torce e una fede fanatica. Le hanno caricate sui camion in mezzo al bestiame razziato nei campi e portate nella foresta di Sambisa, dove sono ancora prigioniere.
Il sogno di un diploma per diventare un giorno avvocate, insegnanti, chirurghe fa dunque paura ai terroristi. Nel video in cui rivendica il sequestro, il leader del gruppo Boko Haram dice ridendo: le ragazze sono fatte per diventare mogli — a 12 anni, anche a 9 — non per studiare, adesso troveranno un marito o saranno vendute al mercato. Boko Haram, una sigla che significa «l’educazione occidentale è peccato», combatte e minaccia la popolazione da anni con l’obiettivo di creare nel Nord un’area integralista islamica. Ma questa non è una storia di musulmani contro cristiani. L’elenco di quei nomi, pubblicato dalla Christian Association of Nigeria, dimostra che le ragazze sono cristiane e musulmane. È una storia contro l’educazione, soprattutto contro l’educazione delle bambine. Una storia per il potere, che passa dal controllo delle donne. Come è successo in Pakistan con Malala, colpita da una raffica in faccia; come succede in Afghanistan dove in alcune zone le studentesse vengono punite con l’acido.
In Nigeria i rapimenti non sono cominciati e non sono finiti il 14 aprile. A lungo il presidente Goodluck Jonathan ha cercato di minimizzare, ha sospettato le famiglie di tramare contro il futuro di una nazione che — prima economia continentale — ospita oggi orgogliosa il World Economic Forum on Africa. Ma, incredibilmente, qualcosa di intangibile ha rotto il silenzio del colosso: un hashtag, #BringBackOurGirls , ha cominciato a contagiare la Rete. Ora, se fate una ricerca, troverete le foto delle donne in rosso che manifestano da Abuja a Manhattan, la denuncia di Wole Soyinka, le parole di Hillary Clinton, Sean Penn, Desmond Tutu. Troverete petizioni da firmare, scritte che colorano i muri delle città e messaggi tracciati su una scatola di fiammiferi. «Riportate a casa le nostre ragazze». Un’onda virtuale che ha mosso i governi: prima gli Stati Uniti, poi la Gran Bretagna e la Francia. Forse la foresta di Sambisa non resterà inaccessibile a lungo, come è stata per quei padri che — inseguendo i camion, a mani nude — hanno cercato di riprendersi le figlie e sono stati respinti dagli Ak-47 degli integralisti.
A noi resta una domanda alla quale vorremmo rispondere non solo con le squadre speciali e l’intelligence . Che possiamo fare perché qualcosa cambi? Una risposta l’hanno data Nicholas Kristof sul New York Times e la giovane Malala. Vogliono fermare l’istruzione per le ragazze? E noi mandiamole a scuola: tutte, a lungo, libere, sempre di più, anche in Occidente. Perché un libro nelle mani di una bambina che sa quello che vuole è più potente di cento droni contro il terrorismo.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT