Che cosa bisogna fare per la pace?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra, Raed Al-Danna, immam della moschea di Al Aqsa: "Aspettiamo le legioni arabe per liberare Haifa, Safed, Jaffa"(Discorso tenuto a Milano il 27 aprile 2014)
Cari amici,
tutti i giornali e i politici europei e l'amministrazione Obama dicono che Israele deve assolutamente fare la pace, naturalmente a costo di “penosi sacrifici” e che se non fa la pace è colpa sua perché continua a costruire appartamenti soprattutto nelle “colonie di Gerusalemme Est”, che poi sarebbero i quartieri ebraici di Gerusalemme, che di coloniale non hanno un bel niente. E poi dicono che la pace si fa con i nemici, naturalmente e che quindi bisogna assolutamente mettersi d'accordo con Hamas, che fino a prova contraria è un'organizzazione terrorista inserita negli elenchi dei terroristi (cioè dei criminali peggiori che ci siano, tanto dagli Usa quanto dall'Unione Europa).
Distruzioni causate dalla guerra in Siria
Ma bisogna fermarsi a riflettere un attimo. Quando si fa la pace ? Di solito quando c'è la guerra ? E dov'è la guerra in Medio Oriente ? Be' 140.000 morti in Siria parlano chiaro. E il caos in Libia anche, e le mille condanne a morte e il terrorismo rampante in Egitto pure. E gli attentati continui in Iraq, che rendono di nuovo impossibile la vita normale, vogliamo parlarne ? Insomma, sì, la guerra c'è dappertutto – salvo che in Israele e nei territori contesi con l'Autorità Palestinese. Dunque sì, magari un accordo ci vuole, ma il punto fondamentale non è “fare” la pace, ma preservarla, che è il lavoro quotidiano dell'esercito di Israele.
La differenza non è da poco. Perché fare la pace in guerra presuppone il fatto che eserciti contrapposti si uccidano e che a un certo punto i loro capi si mettano d'accordo per far tacere le armi, di solito lasciando gli schieramenti come stanno. Consolidare una pace è un'altra cosa, vuol dire trovare una sistemazione accettabile, che possa durare per il futuro. Allora se accettiamo la banalità che la pace si “fa” con i nemici, la pace si “consolida” con quelli che hanno interesse a farlo, che cioè non cercano di far partire una guerra. E' una banalità, ma non più banale di quella dei nemici. Che però ha delle conseguenze. Per consolidare una pace, bisogna innanzitutto riconoscere l'altro. E riconoscere significa accettare la sua identità, prendere atto che ha i suoi diritti. Poi, ovviamente è necessario non cercare di far ripartire la guerra, rinunciare agli obiettivi che si potrebbero solo conquistare con la guerra, cioè quelli che metterebbero in pericolo l'identità e la sicurezza altrui. E infine, con queste premesse, si arriva a mettersi d'accordo su quel che è conteso, di solito i confini di un territorio.
Mahmoud Abbas
Esaminiamo velocemente questi punti, perché ci diranno qualcosa sulla situazione attuale. Prima premessa. Israele riconosce l'Autorità Palestinese come “legittima rappresentante del popolo palestinese”. E' una pietosa menzogna, perché il “popolo palestinese” è un'invenzione di cinquant'anni fa, è chiaro che non è mai esistita una nazione con questo nome, che la maggioranza di loro sono immigrati provenienti da altrove, compreso Arafat nato al Cairo e il capo negoziatore Erkat della cui bizzarra pretesa di discendere dai cananei e la reale provenienza dall'Arabia Saudita vi ho parlato. I palestinesi si rifiutano però di riconoscere Israele come Stato nazionale del popolo ebraico, perché si rifiutano di riconoscere il popolo ebraico. Si tratta di una religione, per loro, o di una “razza”, e non di un popolo. Questo serve a escludere i diritti storici degli ebrei sulla terra di Israele: le religioni o le razze non hanno diritto a territori. Bisogna comprenderli, dicono i loro amici. Ne va della loro “narrativa”, cioè delle storie che raccontano per giustificare le loro pretese. Ma, a parte il fatto non marginale che le loro storie sono clamorosamente false, perché non solo Israele è chiamato “popolo” fin dagli strati più antichi della Bibbia, ma le prove che un “popolo di Israele”, Am Israel, abbia avuto un suo stato per oltre mille anni su quelle terre sono infinite: prove bibliche, archeologiche, nelle storie dei popoli vicini. Ma soprattutto questa “narrativa” che porta alla guerra va abbandonata, se si vuolle la pace. E però Abbas (il capataz dell'Autorità Palestinese, arrivato al decimo anno di un mandato di quattro) ribadisce a ogni piè sospinto: non riconosceremo Israele come lo Stato del popolo ebraico.
L'altro punto. Ci sono due cose che distruggerebbero Israele: una conquista del suo territorio e un cambiamento radicale della composizione etnica della sua popolazione. Entrambi i punti sono rivendicati dai palestinesi. Sulla conquista del territorio (o sulla sua rivendicazione, fra il dire e il fare c'è di mezzo l'esercito israeliano), i testi di propaganda si accumulano ogni giorno. Leggete qui la parole di Abbas (http://www.israele.net/tutto-israele-palestina-per-il-movimento-guidato-da-abu-mazen), guardate quel che ha detto l'altro giorno il capo religioso della moschea di Al-Aqsa, massima autorità religiosa islamica di Gerusalemme (http://www.jpost.com/Middle-East/Al-Aksa-mosque-Imam-says-Arab-legions-to-liberate-Haifa-Safed-Jaffa-Beit-Shean-351161): conquisteremo tutto, appena possibile. Vi sembra che la pace fra Italia e Croazia reggerebbe se a Roma si gridasse che presto torneremo a Fiume, Pola e Zara?
Yunis Al Astal
Vi è poi semplicemente il fatto che ancora più frequentemente i dirigenti palestinesi incitano alla guerra e all'omicidio. Guardate per esempio questo leader religioso e deputato del parlamento dell'Anp, Yunis Al Astal, (anch'esso arrivato all'ottavo anno di uin mandato di quattro, tanto per sottolineare il carattere democratico di quello “Stato”): è nostro dovere massacrare gli ebrei http://elderofziyon.blogspot.it/2014/03/hamas-mp-we-must-massacre-jews.html. E' così che si fa la pace? E guardate come è stato assalito il solo dirigente del governo dell'Anp cher abbia avuto il coraggio di dire che sparare a sangue freddo e ammazzare un poliziotto fuori servizio che stava andando alla celebrazione della cena pasquale non fosse stata una buona idea (http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Palestinians-aim-wrath-at-minister-who-condemned-Passover-murder-of-Israeli-349899)
John Kerry
Insomma, chi lavora a non consolidare la pace, a eroderla, a innescare uno stato di guerriglia, sono proprio i palestinesi. E allora forse qualcuno dovrebbe dire a Kerry, ai pensosi editorialisti dei giornali più autorevoli in Occidente, all'Unione Europea, che in Israele c'è una specie di pace, che si tratta di non distruggerla, che la prima cosa che dovrebbero fare sarebbe mettere la mordacchia ai loro amici incendiari, invece di fare la morale a Israele.
Ugo Volli