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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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La Repubblica Rassegna Stampa
06.05.2014 Romain Gary: la riscoperta di un grande scrittore
un profilo del romanziere, di Daria Galateria

Testata: La Repubblica
Data: 06 maggio 2014
Pagina: 50
Autore: Daria Galateria - Romain Gary
Titolo: «Romain Gary, un'avventura lunga un secolo - Quei bastardi senza gloria in cerca di vendetta tra gli uomini del Fuhrer»
ûRiprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 06/05/2014, a pag. 50, l'articolo di Daria Galateria dal titolo "Romain Gary, un'avventura lunga un secolo" e, a pagg. 50-51, un racconto inedito dal libro "Una pagina di storia", edito da Neri Pozza, dal titolo "Quei bastardi senza gloria in cerca di vendetta tra gli uomini del Fûhrer".

Ecco l'articolo:


La vita davanti a sé
dall'alto:   Romain Gary, Daria Galateria
"La vita davanti a sè" il suo capolavoro

R
omain Gary (anzi Roman Kacew, ebreo lituano) avrebbe giovedì cent’anni, era nato a Vilnius l’8 maggio 1914 ed è ormai chiaro: è scrittore tra i più grandi del Novecento francese. Il mito della Francia sua madre se lo era portato “con i suoi fagotti” da Vilnius fino a Nizza, dove teneva una pensione. In nome di quel mito, nel 1940 Gary raggiunse rocambolescamente a Londra la Resistenza di de Gaulle, di cui fu una leggenda. Nel ‘44, colpito all’addome, svenne sulla cloche di un bombardiere della Royal Air Force; accanto a lui il primo pilota era accecato dalle scaglie di vetro. Gary rinvenne; lesse le altitudini al pilota; lo guidò fino alla pista. Grazie ai suoi “magnifici titoli di guerra”, la Francia lo fece diplomatico – anche se le sue tante donne lo definivano «un orso che si tiene sulle zampe posteriori». Fu subito un successo Educazione europea, il romanzo della guerra, che è anche il tema dei racconti tradotti ora da Riccardo Fedriga per Neri Pozza ( Una pagina di storia, pagg. 120, euro), che qui anticipiamo. L’ultimo, storia di una ragazza cieca nel male assoluto del dopoguerra tedesco, medita sulla menzogna pietosa; è stridente come un violino tzigano: sottile invece come un quartetto da camera il primo racconto, Il liuto, che costò caro a Gary. Nel 1951, un diplomatico francese fu sorpreso dalla polizia di New York in un bordello per soli uomini; dovette abbandonare la sede in 24 ore. Chauvel – è il suo nome – si riconobbe nel gay del Liuto, e Gary ne ebbe la carriera avversata. Nel 1962, sposò l’attrice Jean Seberg, che era diventata l’icona della Nouvelle Vague dopo À bout de souffle di Godard, e la sua celebrità ne guadagnò. Ma poi, oltre l’ecologia de Le radici del cielo , da cui fu tratto il film diretto da John Huston, e poi di Cane bianco, i critici cominciarono a trovare Gary troppo mondano, e “impolverata” la sua scrittura. Gary il camaleonte si creò un ennesimo nome, Émile Ajar, con cui firmò, “sbullonando” la sintassi, romanzi esilaranti come La vita davanti a sé, che portato al cinema da Moshé Mizrahi, vinse l’Oscar per il miglior film straniero nel 1978, e L’angoscia del re Salomone. Scriveva come un bambino mussulmano, col nome imprestato da un ambasciatore, Émile Najar, teorico dello Stato di Israele. L’ultimo sberleffo: poi il 2 dicembre 1980, finita l’età degli amori ( Biglietto scaduto era il titolo di un suo romanzo del 1975), si sparò in testa.

Ecco il racconto.

Una pagina di storia e altri racconti


«Secondo me se li sono mangiati tutti!» cerca di dare una spiegazione Adrien. In attesa, nascosti sul tetto, il villaggio addormentato sotto di loro, hanno aspettato per tutta la notte di sentir cantare un gallo, o abbaiare un cane.
«Ma anche i cani?» biascica Panaït. «Davvero pensi che si siano mangiati anche tutti i cani?».
Poi scoppia in una risata greve, piena di sputi, che insozza la calma della notte.
«Ora, finitela!» ordina infine Kopfff.
I tre rumeni si zittiscono. Il vecchio Michel Christianu stringe i pugni, smanioso, mentre la casa di Fédor comincia a uscire dall’ombra, come una preda dalla tana. L’esito della battaglia che stanno per scatenare lo lascia indifferente. Si è unito al tedesco solo per regolare dei conti personali: Fédor, il loro vicino, ha messo incinta sua figlia. «Triste » pensa Kopfff, «triste dover morire insieme a degli imbecilli, a degli animali. Ma in fondo… A contare è solo la Causa, non chi la serve!».
Poi si aggiusta nervosamente il monocolo sull’occhio affaticato: «Ci vuole portamento, un certo stile!». I suoi stivali sono lucidati con cura, i bottoni e il cinturone brillano nella notte. Ha messo la sua uniforme più bella, la sua uniforme di gala: ha un appuntamento con la Morte. Se soltanto riuscisse a controllare quelle labbra che gli tremano, quelle parole che gli si spezzano in gola e il bisogno feroce di pisciare. Ma si tratta di dettagli. Si sente ispirato, pronto a tutto, perfettamente all’altezza del proprio ruolo. Tra pochi minuti la collera del Führer ridurrà in cenere il villaggio di Pletsvi, un paesino grazioso, dall’aria placida e innocente, nel folto della foresta dei Carpazi. I pini profumano di buono e mormorano dolcemente, le imposte delle case, rosse, appagano lo sguardo in mezzo a quel verde, e sui tetti è tutto un fiorire di abbaini a forma di cuore. Ma non bisogna fidarsi delle apparenze. Il paese è subdolo, falso, come un traditore che tiene nascoste le proprie intenzioni. Non è forse vero che i suoi abitanti hanno osato ribellarsi? Che al primo rombo dei cannoni russi hanno attaccato il distaccamento locale delle SS, disperdendolo come una mandria di bestie? Che spinti dalla loro impudenza hanno osato mettere le mani sui pozzi di petrolio, proprio quando la gente per bene si preparava a darli alle fiamme per sottrarli al nemico? Ma ormai anche il destino di quei maledetti pozzi è segnato. Tra qualche minuto, al comando di Kopfff, la parte sana della popolazione – il borgomastro e il direttore delle raffinerie e il proprietario del giornale patriottico locale, L’avanti, il commissario di polizia e qualche altro elemento sicuro, appositamente fatto uscire di prigione… – tutta questa brava gente, dopo un primo spaesamento, passerà all’azione. Sono pochi, ma ben armati. E il loro obiettivo è semplice. Incendiare i pozzi e poi darsi alla fuga.
Panaït gira la sua faccia tonda ed ebete verso Kopfff, la bocca ancora aperta su un sorriso sdentato e pieno di saliva. «Pare una luna bavosa» pensa il tedesco con disgusto.
«Allora, andiamo?» guaisce Panaït.
Il candelotto di dinamite lo eccita. È destinato al suo odiato rivale, Fédor, l’amante felice di Maria Christianu. Per la miseria, Dio solo sa che voglia Panaït abbia di quella Maria! Eppure niente. Per quanto lui sbavi, lei non gli dedica più attenzione che a una lumaca.
«Non è ancora il momento» risponde bruscamente Kopfff.
Si sporge leggermente dal tetto. E mentre la luna impallidisce e le stelle muoiono, si delineano i confini del borgo, minuscolo, raccolto sul pendio di una collinetta, con le torri dei pozzi dritte come sentinelle. Da un tetto vicino, un’ombra agita le braccia: è Malescu, il direttore delle raffinerie Soproso (il cui nome completo suona “Società di Progresso Sociale”). Su altri tre o quattro tetti, Kopfff indovina altre figure. Oggi forse moriremo, pensa. Ma la sua vita appartiene al Führer. Quanto ai tre rumeni, a questi bruti, sono rifiuti di una razza inferiore, la loro esistenza è poca cosa. Sono vite in saldo, come le terre nei paesi ancora inesplorati.
«Così impara a girare attorno alle ragazze » borbotta Adrien e sputa.
«Sì, così impara!» singhiozza Panaït.
Poi prende a piangere, continuando a perdere saliva. Anche le sue lacrime hanno qualcosa di viscido. Il vecchio Michel Christianu tace e preme la guancia malrasata contro il calcio del fucile. L’età gli ha insegnato a essere prudente. Guardali, quei piccoli bastardi, pensa Kopfff, Sono impazienti di saldare i conti. Di saziare i loro vili rancori. Il tedesco ha un’espressione stravolta: il suo viso, accartocciato intorno al monocolo, è solcato da grosse gocce di sudore. Stringe i denti. E pensare che, quando tutto sarà finito, la gloria di questi bruti senza coscienza sarà celebrata col marmo e i loro nomi finiranno scolpiti accanto al mio… Il tedesco guarda l’orologio.
«M… meno d… dieci!» dichiara. [...] «T… tenetevi pronti!» ordina Kopfff.
L’oscurità si dirada. La luna si è fatta del colore del cielo. Di colpo, ecco il canto di un gallo. Un cane che latra.
«A… a… attenti!».
Ascolta i latrati nell’alba livida. Come in un lampo rivede il volto del Führer durante il suo ultimo discorso, al Palazzo dello sport a Berlino. «Ai pionieri del mondo nuovo, onore e gloria!» Sul quadrante i secondi corrono all’impazzata. Il cuore gli martella nel petto. «Lungo la strada della nobiltà e della grandezza nessuna distanza è incolmabile, nessuna vetta inespugnabile! Sieg Heil!».
È la voce del Führer a incitarlo così o è sempre quel cane che ulula in quest’alba livida? Non ci vede più… «Il monocolo». Fruga intorno a sé con le mani che gli tremano… Un’ultima occhiata alle sagome incerte immobili sui tetti vicini… «B… b… buona fortuna, c… camerati! B… b… buona fortuna o b… b… buona m… m… morte!».
© 1962 Éditions Gallimard © 2014 Neri Pozza Editore
( Traduzione di
Riccardo Fedriga)

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