Buon compleanno
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Il lutto, e poi la gioia. Il lutto per coloro che si sono sacrificati o più spesso, sono stati uccisi. E la gioia perché nonostante tutto gli assassini non ce la fanno a concludere il loro progetto di sterminio, e la vita va avanti, magari cresce e migliora. E' questo il ritmo che l'odio degli antisemiti ha imposto alla vita ebraica, da millenni. Da quando il Faraone uccideva i neonati, e poi Israele si liberò dall'Egitto; da quando i Babilonesi distrussero il Tempio e gli ebrei lo ricostruirono, da quando i Romani distrussero la sovranità di Israele ma il popolo sopravvisse loro; da quando i padri della Chiesa e poi innumerevoli preti e vescovi e crociati e re e feudatari e riformatori ecclesiastici e poi i nazisti chiamarono allo sterminio degli ebrei e cercarono di attuarlo, ma il popolo di Israele rifiutò di scomparire. Da ultimo, quando gli Stati arabi e i terroristi cercarono di distruggere Israele con cinque guerre, due grandi ondate terroristiche, i dirottamenti, i rapimenti, e ora ancora provano, benevolmente incoraggiati dall'Europa e dall'amministrazione Obama, ma Israele è ancora lì, più forte e dinamico che mai.
Questa dialettica certamente angosciosa, ma anche piena di speranza, si riflette sulla vita di Israele con la contiguità di due ricorrenze, che vengono celebrate tutti gli anni consecutivamente. Prima si dedica un giorno al lutto per tutti i caduti di Israele (quello per la Shoah viene una settimana prima). E' Yom Hazicharon, il Giorno del Ricordo, che quest'anno cade proprio oggi. Si visitano le tombe dei caduti, cosa che nell'ebraismo è abbastanza rara, si tengono cerimonie militari, due volte, al tramonto della vigilia e poi in mezzo alla giornata, squilla dappertutto la sirena di allarme e il paese si arresta in meditazione per qualche minuto. Si fanno i conti e si vede che, dalla fondazione dello stato, i morti per le guerre coi paesi arabi e il terrorismo sono 25.664 di cui 12196 militari caduti in servizio e 2468 civili uccisi dal terrorismo. Dato che il rapporto fra la popolazione ebraica di Israele e quella italiana è di circa 1 a 10, è come se ci fossero stati 250 mila morti in guerra e 25 mila vittime del terrorismo. Se si contano i feriti, ogni famiglia ha un ricordo personale della violenza araba. Il lutto è tangibile e reale, lo si legge sulla faccia della gente, lo si sente nelle canzoni trasmesse alla radio.
Poi, alla sera, questa sera, inizia il nuovo giorno, com'è da sempre nel costume ebraico. E inizia Yom Haazmaut, il Giorno della Liberazione, il compleanno di Israele. La festa è grande e spontanea, non è la contraddizione del lutto, ma la sua giustificazione. Israele compie sessantasei anni, ha 8,2 milioni di abitanti, un'economia florida, una cultura fiorente, un turismo in espansione, una sicurezza interna invidiabile, una democrazia che funziona bene, una pace che nessun paese intorno conosce. Ci sono ottime ragioni per festeggiare. Certo, le sfide non mancano. In Europa il vecchio antisemitismo ha rialzato la testa, e non solo nei grotteschi movimenti di estrema destra, ma ben nel cuore della politica comunitaria. Certo, negli Stati Uniti governa un'amministrazione sostanzialmente ostile ad Israele e per di più avventurista, propensa a corteggiare i nemici dell'America e a tradire gli amici, sulla base di un'ideologia terzomondista che rischia di durare più di questo disgraziato governo. Certo, l'Autorità Nazionale Palestinese è del tutto indifferente agli interessi concreti del suo popolo e mira solo a mettere in difficoltà Israele, proteggendo anche un fastidioso microterrorismo d'usura. Certo, l'implosione degli Stati arabi vicini ha consentito una parentesi di calma negli ultimi anni, ma cela rischi molto gravi. Certo, c'è l'Iran che arma tutti i nemici di Israele e persegue senza sosta il sogno criminale della bomba atomica.
John Kerry Benjamyn Netanyahu
Ma l'imminenza e la vicinanza delle minacce è almeno servita a sottrarre Israele alla narcosi ideologica che avvolge l'Europa e gli Stati Uniti impedendo loro di prendersi carico dei loro stessi interessi: non che in Israele manchi una sinistra che confonde le proprie illusioni pacifiste con la realtà e odia il proprio paese al punto di appoggiare sistematicamente i suoi nemici; ma dopo l'errore di Oslo, che ha provocato più della metà delle vittime civili che si ricordano oggi, dopo gli esiti disastrosi del ritiro da Gaza e dal Libano meridionale, la guarda con giusta diffidenza. E soprattutto sa di combattere per la propria vita, di non poter rischiare nuove illusioni e nuovi errori. Vorrebbe la pace, naturalmente, ma non è disposta a scambiarla con la distruzione di Israele. E' ciò che non capiscono Kerry e l'Unione Europea, che credono di squalificare Netanyahu facendo sapere che resiste ai tentativi di fargli sacrificare la sicurezza di Israele a un'ipotetica età del latte e del miele che dovrebbe seguire alla sua capitolazione. Il pubblico israeliano sa bene che i palestinesi hanno sempre scatenato il terrorismo anche dopo gli accordi di pace e non si lascia intimidire.
Insomma, in un mondo difficile e pieno di pericoli è meglio procedere a occhi aperti e badare a potersi difendere, senza che questo impedisca lo sviluppo economico e sociale e la democrazia. E' quel che fa Israele e che continua a fare, arrivato alla tenera età di sessantasei anni, che non sono pochissimi neppure fra gli Stati. Buon compleanno dunque a Israele, nel ricordo di coloro che sono caduti per difendere la sua libertà
Ugo Volli