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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Charles Lewinsky Un normalissimo ebreo 05/05/2014

Un normalissimo ebreo                                           Charles Lewinsky
Traduzione di Simona Sala
Abendstern

“Sono solo Emanuel Goldfarb. Un normalissimo ebreo. Fallito miseramente nel suo progetto di diventare un normalissimo tedesco”

Emanuel Goldfarb è il protagonista dell’originale e affascinante  monologo che la casa editrice svizzera Abenstern pubblica con il titolo “Un normalissimo ebreo” nella bella versione di Simona Sala.
Il nome dell’autore, Charles Lewinsky, non si dimentica facilmente se si ha avuto l’occasione d’imbattersi  in quel capolavoro letterario che Einaudi pubblicò nel 2007, “La fortuna dei Mejer”, la coinvolgente saga di una famiglia ebraica sullo sfondo del lungo conflitto franco-tedesco, dalla battaglia di Sedan del 1870 alla fine della seconda guerra mondiale, una storia pervasa dal tipico umorismo yiddish e costellata da personaggi indimenticabili che vivono il rapido cambiamento della società durante il passaggio del secolo.
Nato nel 1946 a Zurigo Lewinsky, oltre che uno scrittore di talento, è anche un artista eclettico capace di orientare la sua creatività nelle forme espressive più diverse: dalle trasmissioni televisive, ai drammi teatrali, dai romanzi ai film, passando per la realizzazione di numerosi testi di canzoni, musical e pièce teatrali.
Insignito di prestigiosi riconoscimenti, tra cui il premio Schiller nel 2000 e il Schweizer Buchpreis per il romanzo “Gerron” nel 2011, Charles Lewinsky torna nelle librerie italiane con il romanzo “Un regalo del Fϋhrer” (Einaudi) e con l’opera “Un normalissimo ebreo” da cui è stato tratto il film omonimo realizzato per la televisione tedesca Ard.
Ein ganz gewöhnlicher Jude è il titolo originale di un libro che, declinato nella forma del monologo,  spicca per la prosa scorrevole, per la struttura innovativa e per le riflessioni sulla questione dell’identità, sul tema dell’Olocausto oltre che sull’ influenza che tale tragedia ha avuto nell’esistenza delle seconde generazioni.
Il libro prende avvio “in un’animata strada del centro di Amburgo” dove all’interno di un’auto  un uomo poco appariscente “è immerso nella lettura di una lettera” e dialoga con un altro personaggio che sta cercando di convincerlo ad accettare l’invito di una scuola a parlare della propria cultura di appartenenza.
Che si tratti di cultura ebraica si percepisce sin dalle prime pagine allorquando Lewinsky, descrivendo l’appartamento di Emanuel Goldfarb, si sofferma con apparente noncuranza sulla cornice della porta dove è fissata una mezuza, quell’oggetto rituale ebraico che racchiude una pergamena su cui sono stilati i passi della Torah corrispondenti alle prime due parti dello Shema.
In effetti Goldfarb è un giornalista ebreo tedesco che “scrive di cultura”, ma non è disposto a parlare di ebraismo in quella scuola. Con tale convincimento entra nel suo moderno soggiorno studio, si reca al piccolo tavolo in disparte dove è posata una macchina per scrivere IBM, vi inserisce un foglio e comincia a scrivere una risposta al signor Gebhardt, docente nella scuola e autore della lettera, per declinare l’invito.
Ciononostante, nell’immaginare la missiva, Goldfarb intraprende un viaggio introspettivo nel suo passato, con un’analisi a tratti impietosa di quella parte della sua esistenza che ha messo da parte per vivere una quotidianità fragile ed effimera.
La scrittura della lettera lascia il posto al racconto orale inciso su un dittafono e la stessa figura di Gebhardt passa in secondo piano rispetto alle tematiche e agli argomenti complessi sui quali il protagonista s’interroga.
Alcune fotografie di famiglia che estrae da una scatola lo inducono ad affermare che “..gli ebrei e i non ebrei non guardano le proprie foto di famiglia allo stesso modo” perché non tutti hanno avuto la fortuna di morire in tempo: per molti altri c’è stato Theresienstadt, Auschwitz ecc. Una coppia di sposi negli anni cinquanta raffigura i suoi genitori, Simon ed Edith, sopravvissuti all’Olocausto, “due pianeti con orbite diverse”, uniti solo dalla volontà di non arrendersi che, come altri superstiti, decidono di fare un figlio per credere di poter ancora andare avanti e ritrovare un po’ di fiducia nel futuro.
Goldfarb cresce con la responsabilità di dimostrare sempre qualcosa e con la consapevolezza di dover essere irreprensibile in ogni momento perchè “quando giocavo a calcio nel cortile, era tutto il popolo ebraico che dava calci al pallone, e se il pallone finiva contro il vetro di una finestra, si avvertiva subito la minaccia di un pogrom….”
Goldfarb riflette anche sulla mole di passato che il popolo eletto si trascina appresso per affermare poi, con amaro umorismo “…non so per quale motivo ci siamo meritati questa punizione. Qualunque sia stata la causa, credo che ormai dovremmo avere scontato la pena”.
Pagina dopo pagina il protagonista s’interroga sulla religione, sul valore dello Yom Kippur anche per gli atei, sulle motivazioni del fallimento del suo matrimonio con una donna cristiana (…”poi è arrivato un figlio, ed era un maschio, il mio figlio maschio, e non era circonciso…in un matrimonio non vi è nulla di più terrificante della constatazione di non vivere nello stesso mondo”), sul  suo rapporto con Israele.
E fra una riga e l’altra ribadisce il suo rifiuto a parlare agli studenti tedeschi perché è troppo difficile spiegare a qualcuno come si riesca ad essere ebrei in Germania e come “un normale ebreo sia una cosa che non può esistere, che saremo sempre ebrei in Germania e mai tedeschi ebrei”.
Alla fine del libro Goldfarb, figura di rara intensità cui la penna sapiente di Lewinsky conferisce l’incisività e la forza di un personaggio reale, spegne il dittafono e trascrive tutto ciò che ha raccontato per ritrovarsi fra le mani non la lettera destinata a Gebhardt bensì il documento autentico della propria identità.
“Un normalissimo ebreo” è un’opera che riconcilia con il piacere della lettura, per la scelta misurata delle parole, per la cifra linguistica elegante, per il ritmo narrativo incalzante e per la capacità di cogliere spunti di riflessione su questioni controverse ben più di un trattato sociologico.
Non aggiungo altro per consigliarvi la lettura di un testo che non delude gli estimatori della saga dei Mejer e riconferma l’abilità narrativa di uno scrittore talentuoso come Charles Lewinsky.

Giorgia Greco


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