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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.05.2014 Il pericolo iraniano e i 'no' palestinesi alla pace: parla l'Ambasciatore d'Israele
intervista a Naor Gilon di Paolo Valentino

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 maggio 2014
Pagina: 16
Autore: Paolo Valentino
Titolo: «Israele avverte l’Italia: 'Sbagliato sottovalutare le intenzioni dell’Iran'»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/05/2014, a pag. 16, l'intervista di Paolo Valentino all'Ambasciatore d'Israele in Italia, dal titolo "Israele avverte l’Italia: 'Sbagliato sottovalutare le intenzioni dell’Iran' ".


Paolo Valentino   Naor Gilon

ROMA — «L’Italia non deve farsi troppe illusioni con l’Iran. Un giorno, quando le sanzioni verranno tolte, gli iraniani non ragioneranno in modo sentimentale, tenendo a mente chi per primo aveva riaperto il dialogo. Sceglieranno i loro partner commerciali in modo geo-strategico, pensando a dove intendono acquistare potere negoziale, America, Cina, Russia e guardando ai nuovi equilibri del mondo, con l’ambizione di essere superpotenza regionale e forse qualcosa in più».
Non usa giri di parole, Naor Gilon. L’ambasciatore d’Israele a Roma non fa mistero che il suo governo non abbia visto positivamente l’eccessiva esposizione italiana verso Teheran. Anche se in questa fase, precisa, gli sembra di registrare «un rallentamento» rispetto alla gestione Letta-Bonino: «Mi pare che questo governo sia più prudente verso l’Iran, che ricordo è ancora sotto sanzioni, l’unica leva che li tiene al tavolo del negoziato. In tutta sincerità il nostro problema con l’Italia, anche con altri Paesi ma soprattutto con l’Italia, è che rischia di creare la falsa percezione che tutto sia cambiato e aperto nel rapporto con Teheran, mandando un segnale sbagliato. E questo è pericoloso per il negoziato».
Eppure la trattativa nucleare sembra registrare progressi significativi. Cosa vi preoccupa?
«Gli obiettivi dell’accordo preliminare non sono quelli giusti, non danno abbastanza garanzie. E non solo noi, i Paesi arabi del Golfo temono un Iran nucleare. Noi non vogliamo che l’Iran diventi come il Giappone o il Canada, che hanno la tecnologia necessaria per il nucleare militare, ma non fanno il salto. Quelli sono Paesi pacifici, mentre l’Iran è pericoloso, ha ambizioni egemoniche sull’intera regione. Teheran dovrebbe avere una limitata capacità atomica civile, sotto controllo internazionale. Dovrebbe essere bloccato non a 3 mesi, ma a 3 anni dalla possibilità di costruire un ordigno».
Intanto l’altra trattativa, quella che vi riguarda direttamente con i palestinesi, è nuovamente deragliata. Per colpa di chi?
«Mi sembra chiaro. Tutte le volte che ci avviciniamo a un accordo, loro fanno inversione a U. E’ successo tra Arafat e Ehud Barak, tra Abu Mazen e Ehud Olmert. Quella attuale è un’inversione più sofisticata: prima è sparito dalla scena il famoso paper americano, che i palestinesi hanno rifiutato. Poi hanno minacciato di dissolvere l’Autorità. Quindi, contro ogni impegno preso, hanno chiesto di aderire a 15 organizzazioni dell’Onu. Dulcis in fundo, l’alleanza con Hamas. La sequenza dimostra che cercavano una strada per chiamarsi fuori».
Nel merito, dov’è stato il punto di rottura?
«A parte l’acqua, ci sono 5 temi fondamentali: la natura dell’entità palestinese, Gerusalemme, i confini, la sicurezza e i rifugiati. Hanno avuto il sì degli europei sullo Stato, su Gerusalemme Est come capitale, sui confini del 1967. Restano due temi sui quali dovevano concedere qualcosa. Ad esempio vorrebbero altri rifugiati in Israele, dove i palestinesi sono già il 20% della popolazione. E’ la teoria del salame, coniata da Arafat: otteniamo quello che possiamo nel negoziato, demografia e democrazia faranno il resto, cioè diventare col tempo una maggioranza, che potrebbe eleggere il proprio governo dentro Israele. E’ la sostanza del dibattito sullo Stato ebraico, che non significa uno Stato senza non-ebrei».
Lei non cita le 13 mila abitazioni nei territori occupati, che il suo governo ha autorizzato nei 9 mesi passati... Non sono state una causa del fallimento?
«Molte riguardano territori che, sotto ogni piano immaginato finora, dovrebbero essere comunque israeliani. Ma in generale, abbiamo dimostrato in passato che gli insediamenti non sono un ostacolo, a cominciare da quando evacuammo più di 10 mila persone da Gaza senza ottenere nulla in cambio, a parte i missili verso i villaggi israeliani al confine».
Che succede ora?
«Che Abu Mazen sta alleandosi con Hamas, senza porre loro alcuna condizione, come rinunciare al terrorismo, riconoscere Israele o accettare gli accordi passati. Sta facendo un accordo tecnico. Ma così apre ad Hamas le porte dell’Olp. Se ciò avvenisse, sarebbero loro poi a diventare responsabili della trattativa».
Prenderete misure unilaterali?
«Penso che Israele reagirà. Ci sono diverse idee che vengono discusse. I palestinesi ci devono molti milioni di dollari in utenze arretrate, energia e servizi. E siccome noi siamo gli esattori delle loro tasse, dedurremo quello che ci devono prima di versar loro il gettito fiscale».

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