IC 7 - Il commento di Fulvio Miceli dal 27/04/2014 allo 03/05/2014
Testata: Informazione Corretta Data: 05 maggio 2014 Pagina: 1 Autore: Fulvio Miceli Titolo: «Il commento di Fulvio Miceli»
Il commento di Fulvio Miceli dal 27/04/2014 allo 03/05/2014
Fulvio Miceli, membro della redazione di Informazione Corretta
Come giudicare le dichiarazione di Abu Mazen sulla Shoah, da lui definita il “più odioso crimine contro l'umanità dell'era moderna”? (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=53210 ) Il "riconoscimento" della realtà storica del genocidio nazista degli ebrei ha fatto seguito a un accordo tra Fatah e Hamas, che dovrebbe portare alla formazione di un governo comune tra le due fazioni palestinesi, e al conclamato fallimento dei negoziati israelo-palestinesi voluti dall'amministrazione Obama. Il fallimento dei negoziati è dovuto essenzialmente proprio all'intransigenza negoziale di Abu Mazen, un politico che è fin qui riuscito a presentarsi come un “moderato” disponibile al compromesso pur non avendo mai accettato nessuna concessione in vista della pace ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=250&sez=120&id=53261 ). Hamas persegue dichiaratamente la distruzione di Israele. Di più: la sua carta costitutiva prefigura apertamente un nuovo genocidio, totale, degli ebrei. E' difficile, dunque, non convenire con il premier israeliano Benjamyn Netanyahu, che ha giudicato la “pace” di Fatah con il gruppo islamista incompatibile con la pace con Israele e in contraddizione con le dichiarazioni di Abu Mazen sulla Shoah. Su quest'ultimo punto, Netanyahu è andato più in la, definendo le parole del presidente palestinese una forma di “gestione del danno” (http://www.timesofisrael.com/well-seek-other-roads-to-peace-excluding-hamas-pm-says/ ). In fondo, sia gli Stati Uniti che l'Unione Europea riconoscono la natura terroristica di Hamas. Continuare a considerare un credibile interlocutore di Israele chi con Hamas si appresta a governare potrebbe d'ora in avanti risultare più difficile (in realtà, almeno la responsabile della politica estera europea Catherine Ashton sembra non avere problemi al riguardo: per lei un governo Fatah-Hamas avrebbe anzi il vantaggio di garantire l'unità del futuro Stato palestinese: http://www.timesofisrael.com/eu-hails-fatah-hamas-deal-says-peace-talks-priority/ ) . Da qui la necessità per Abu Mazen di correre ai ripari con un'offensiva comunicativa nei confronti della comunità internazionale.
Vedere nella dichiarazione sulla Shoah una mossa essenzialmente propagandistica appare ragionevole anche alla luce di un passaggio particolarmente insidioso del discorso di Abu Mazen: quello nel quale si afferma che è perché “i palestinesi conoscono l’oppressione e la discriminazione” che si trovano nella “migliore posizione” per condannare i crimini nazisti. Anche se i responsabili dell' “oppressione e della discriminazione” di cui i palestinesi sarebbero vittime non sono stati esplicitamente indicati da Abu Mazen, è facile capire a chi facesse riferimento, e come le sue parole siano interpretabili da un'opinione pubblica bombardata da messaggi che presentano il conflitto israelo-palestinese come la lotta di un popolo oppresso (i palestinesi) contro uno Stato potente e aggressivo (Israele). Nello stesso “riconoscimento” della Shoah da parte di Abu Mazen non manca dunque una stilla di veleno. Certo, il presidente dell'Anp non avrebbe potuto in quel contesto affermare un'equivalenza tra oppressione dei palestinesi e persecuzione degli ebrei, e tra Israele e nazisti, perché ciò avrebbe compromesso lo scopo principale dell'operazione: costruire la narrazione ingannevole dell' “apertura” a Israele (e poco importa se solo una logica molto discutibile permette di giudicare un' “apertura” il semplice riconoscimento di un fatto storico: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=53244 ) proprio a ridosso di scelte politiche il cui segno inecquivocabile è quello della chiusura e dello scontro. Tuttavia, l'associazione mentale tra Shoah e conflitto israelo-palestinese, e l'idea che in quest'ultimo gli ebrei siano passati dal ruolo di vittime a quello di carnefici, sono state suggerite ed è facile prevedere che non mancherà chi sia disposto a farle proprie e ad affermarle in modo esplicito.
Per convincersene basterebbe guardare a quanto spesso e con quanta facilità temi simili siano al centro, in varie forme, dalla propaganda antisraeliana, anche in Italia. Per esempio, ogni 25 aprile, con le contestazioni alle bandiere della Brigata Ebraica. L'odio antisraeliano spacciato per “antifascismo” è stato espresso quest'anno con brutale chiarezza da Davide Piccardo, portavoce del Coordinamento degli islamici milanesi, che ha dichiarato: “andare alla manifestazione del 25 aprile con la bandiera israeliana significa insultare la resistenza”(http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=53216). Un altro tema tipico della propaganda antisraeliana è stato invece fatto proprio da un uomo ben più potente e influente del portavoce degli islamici milanesi: il segretario di Stato americano John Kerry, che ha sostenuto che Israele rischierebbe, in assenza di un accordo di pace con l'Anp, di divenire uno “Stato di apartheid” ( http://informazionecorretta.hosting.dgtmedia.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=53233 ). Una tesi che nulla ha a che vedere con la realtà del paese ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=53273 ) e che lo stesso Kerry ha in parte ritrattato ( http://www.nytimes.com/2014/04/29/world/middleeast/kerry-apologizes-for-remark-that-israel-risks-apartheid.html?ref=middleeast&_r=0) , ma che tuttavia, espressa dal responsabile della politica estera del principale alleato di Israele, non può che suonare come una forma più o meno esplicita di ricatto, in base al quale il prezzo per Israele del rifiuto di cedere alle condizioni palestinesi, qualunque cosa queste comportino per la sua sicurezza e persino per la sua esistenza, sarebbe l'isolamento internazionale come Stato paria, accompagnato dallo stigma del razzismo presso l'opinione pubblica mondiale. Una riprova ulteriore di quanto la propaganda, la disinformazione, i miti e gli stereotipi antisraeliani abbiano un fondamentale valore strategico: siano cioé armi che i nemici dello Stato ebraico utilizzano per indebolire in primo luogo la sua posizione politica e la sua forza negoziale, e in prospettiva la sua capacità di difendersi da attacchi terroristici e militari. Gli amici di Israele sono dunque chiamati a contrastarli costantemente e, per quanto possibile, in modo sempre più attento ed efficace.