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Ugo Volli
Cartoline
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Apartheid 04/05/2014

Apartheid
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

a destra: gli ebrei sotto apartheid nei paesi arabo/musulmani

Cari amici,

l'ha detto John Kerry: se Israele non firmerà presto un accordo di pace con l'Autorità Palestinese, cedendo alle sue pretese, diventerà uno stato di apartheid. E apartheid è una parola che ripetono tutti i nemici di Israele: i boicottatori, gli odiatori, gli islamisti come un fatto che autorizza a cercare di distruggere lo stato ebraico; i "diversamente sionisti", gli "amici critici",

John Kerry

 i Kerry e gli Obama come un "pericolo", una "minaccia", un'eventualità se Israele non si comporta come vogliono loro. (http://www.jpost.com/Opinion/Columnists/Our-World-John-Kerrys-Jewish-best-friends-350734 ) Chiunque sia stato una volta sola in Israele, chiunque conosca un po' la situazione sa bene che non vi è nessuna apartheid. Israele ha una minoranza araba intorno al 20% della popolazione, che è libera di organizzarsi religiosamente e politicamente, ha partiti e deputati e sindaci, esprime professori universitari e giudici e giornalisti e uomini di spettacolo, gode di tutti i diritti politici e civili, con la sola differenza, che da un certo punto di vista è un vantaggio, di non avere l'obbligo (ma la possibilità sì) del servizio militare.
Anche un Kerry sa queste cose, anche i dubbi "amici di Israele" di J Street e dintorni. Bisogna ripeterle, perché la propaganda antisionista e antisemita di parte islamica non si ferma davanti ad alcuna menzogna, ma non è questo il punto. Qual è allora?


La popolazione araba che non appartiene a Israele. Quando nel '67 l'esercito israeliano liberò in una guerra difensiva la Giudea e la Samaria che erano state illegalmente occupate nel '49 dalla Transgiordania (ribattezzatasi Giordania in seguito all'occupazione), trovò una popolazione locale cui era stata concessa la cittadinanza giordana, che ancora molti conservano; in seguito essa ricevette la cittadinanza dell'Autorità Palestinese.
Non sono cittadini israeliani e per questo non godono dei diritti politici in Israele, dove in seguito al terrorismo hanno avuto anche dei limiti all'accesso. Israele ha annesso Gerusalemme e il Golan, non Giudea e Samaria né Gaza, che ha anzi abbandonato del tutto. Gli accordi di Oslo stabiliscono che la condizione di queste zone dovrà essere deciso dall'accordo fra le parti.
La prospettiva dei due stati farebbe degli arabi che abitano il territorio del nuovo stato cittadini palestinesi e darebbe quelli che restassero nelle zone rimaste a Israele molto probabilmente la possibilità di diventare cittadini israeliani o residente permanenti come è accaduto a Gerusalemme e sul Golan.
Ciò che secondo Kerry e i suoi amici costituirebbe la minaccia dell'apartheid sarebbe la prosecuzione della condizione attuale, in assenza di una prospettiva immediata di soluzione a due stati.
Ragionano così: o Israele cede i territori che l'Autorità Palestinese vuole per farci costituire il suo stato (peraltro già molte volte proclamato), oppure bisogna costituire uno stato binazionale, in cui tutti gli elettori abbiano gli stessi diritti; ma in questo caso gli arabi sarebbero o presto diverrebbero maggioranza, distruggendo il carattere ebraico di Israele. Dunque bisogna cedere alle pretese arabe (http://www.timesofisrael.com/us-officials-even-if-israel-doesnt-like-it-palestinians-will-get-state/ ).
In questo ragionamento però vi sono quattro errori.
Il primo è pensare che Gaza debba seguire la sorte di Giudea e Samaria: nonostante le recenti proclamazione di unità, si tratta di due territori distinti, diversamente governati; da Gaza Israele si è sganciato, rinunciando di fatto alla sovranità.

Il secondo errore è pensare che la soluzione debba essere immediata; vi sono zone contese nel mondo che non trovano sistemazione da tempi altrettanto lunghi, come il Kashmir, il Sahara Occidentale, Cipro. Altre pretese di indipendenza sono aperte: la Transnistria in Moldovia, la Catalogna, la Scozia, la Crimea. Nessuno pensa che queste situazioni si possano risolvere dall'oggi al domani, nessuno minaccia sanzioni alla Turchia, all'India, alla Spagna o alla Gran Bretagna per questo; se la soluzione deve essere condivisa, c'è bisogno di costruirne le condizioni politiche.

Palestina senza ebrei

Il terzo errore, connesso a questo è credere che lo stato palestinese si possa costituire solo accettando tutti i diktat dell'Anp, che vuole Gerusalemme, "i confini del '67", uno stato assolutamente senza ebrei. Se si decidesse che la base per decidere il territorio dello stato palestinese è l'attuale zona "A" degli accordi di Oslo, dove vive il 95% della popolazione araba di Giudea e Samaria, sarebbe molto più facile arrivare a una divisione. Anzi, di fatto l'Anp già agisce in questo senso: ha potere solo su quella zona e si comporta all'Onu e altrove come uno stato sovrano.
Il quarto errore è escludere la prospettiva di uno stato unico sulla base di proiezioni demografiche che darebbero la maggioranza agli arabi subito o in tempi brevi. Il tema è molto controverso e tecnico, ma alcune cose sono chiare. In primo luogo, non si sono realizzate le profezie di sventura di alcuni demografi che immaginavano una prevalenza araba già quindici anni fa. Poi è chiaro che il tasso di fertilità ebraico (non solo dei charedim, anche degli ebrei laici e normalmente osservanti) è cresciuto molto, mentre quello arabo è calato fortemente, sicché ormai si equivalgono e la prospettiva di un sorpasso ebraico è imminente. Infine bisogna considerare che i dati dei censimenti palestinesi sono del tutto inaffidabili e gonfiati.
Escludendo Gaza, per i motivi che ho detto sopra, oggi in Israele vi sono sei milioni centotrentacinque mila ebrei, quattrocento mila persone non riconosciute come tali ma legate alla comunità ebraica da nessi di parentela, un milione e seicentomila arabi inclusi cristiani, drusi e beduini che sono almeno in parte pro-Israele.


Sotto l'autorità palestinese vi sono probabilmente un milione e mezzo o due di abitanti, il che fa un totale probabilmente un po' inferiore ai dieci milioni di cui oltre i due terzi dalla parte di Israele. Nel caso di un'unificazione non sarebbe dunque certamente in gioco la maggioranza, anche se l'omogeneità dello Stato sì. C'è chi oggi prende in considerazione la possibilità di mettere in vigore la legge israeliana (un passo prima dell'annessione) su tutta la Giudea e Samaria, lasciando liberi gli arabi di scegliere fra lo statuto di residenti permanenti e la cittadinanza. E questa la proposta dell'ultimo libro molto interessante della migliore editorialista israeliana degli ultimi anni Caroline Glick, "The Israeli solution" (http://www.amazon.it/Israeli-Solution-One-State-Peace-Middle-ebook/dp/B00F1W0DK4/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1398952920&sr=8-1&keywords=Glick+Israel ).

Caroline Glick

In questa maniera lo stato di Israele potrebbe efficacemente combattere il terrorismo, gli arabi di quelle terre avrebbero tutti i vantaggi dell'economia, del sistema previdenziale e sanitario e anche della giustizia israeliana, e certamente non si potrebbe parlare di apartheid.
Certo, bisognerebbe sciogliere l'Autorità Palestinese e voltare pagina rispetto ai trattati di Oslo, sbaraccare tutto l'apparato che nell'Anp, nelle organizzazioni internazionali, negli Usa e anche in Israele ha fatto del negoziato infinito la propria fonte di reddito. e questo non sarebbe facile né indolore. Ma forse non impossibile. I nemici, argomenta Glick, resterebbero tali ma probabilmente non avrebbero la forza o la voglia di reagire pesantemente; né gli arabi, né l'amministrazione Obama, e probabilmente neanche la Russia.
La difesa di Israele, sia sul piano militare che su quello legale, sarebbe più forte. E le condizioni sul terreno migliorerebbero molto per tutti, arabi ed ebrei. E' una proposta che oggi suona provocatoria, ma in qualche modo viene incontro anche ad alcune tendenze dei palestinesi. Io non ho naturalmente la certezza che possa funzionare. Ma prima di cedere parti vitali per la sicurezza di Israele, come la valle del Giordano, le alture della Samaria o Gerusalemme, certamente varrebbe la pena di pensarci molto bene.

Ugo Volli


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