John Kerry sposa le tesi della propaganda antisraeliana: Israele 'Stato di apartheid' (1) Cronache acritiche e titoli compiaciuti sui quotidiani italiani
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto Autore: Guido Olimpio - la redazione - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio Titolo: «Se pure Kerry evoca la parola 'apartheid' per Israele - La 'profezia' di Kerry 'Apartheid in Israele' - Kerry: 'Israele rischia di diventare Stato di apartheid' - Kerry: 'Senza accordo di pace Israele è uno Stato di apartheid»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/04/2014, a pag. 11 l'articolo di Guido Olimpio dal titolo 'Se pure Kerry evoca la parola 'apartheid' per Israele', da REPUBBLICA a pag. 15' dal titolo "La 'profezia' di Kerry. 'Apartheid in Israele', 'dall'UNITA' , a pag. 13, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo "Kerry: 'Israele rischia di diventare Stato di apartheid' " e dal MANIFESTO a pag. 8 l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "Kerry: 'Senza accordo di pace Israele è uno Stato di apartheid".
Segnaliamo il modo acritico, se non apertamente compiaciuto, nel quale vengono riportate, fin dai titoli, le dichiarazioni antisraeliane del Segretario di Stato americano, rivelate dal Daily Beast. Il titolo del CORRIERE suggerisce che il consenso di Kerry a uno degli argomenti tipici della propaganda contro lo Stato ebraico conferisca ad esso legittimità. Nell'articolo di Olimpio l' accusa a Israele viene spiegata come una reazione agli ostacoli che sarebbero stati opposti al processo di pace sia dagli israeliani che dai palestinesi (in realtà, è l'intransigenza dell'Anp ad aver determinato il fallimento dei colloqui: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=52950 ). Il titolo di REPUBBLICA definisceaddirittura una"profezia" le parole di Kerry. Umberto De Giovannangeli cerca di rafforzare la credibilità delle dichiarazioni di Kerry affiancando ad esse quelle di noti propagandisti antisraeliani come Desmond Tutu e Richard Falk. Michele Giorgio persegue lo stesso scopo citando Jmmy Carter.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio - Se pure Kerry evoca la parola 'apartheid' per Israele
Guido Olimpio
Gli Stati Uniti stanno perdendo la pazienza. Provano e riprovano a rilanciare il cosidetto processo di pace in Medio Oriente. A volte lo fanno in modo convinto, in altre solo per salvare la faccia. Molti i piani usciti in questi anni, mai vincenti. Perché i due protagonisti, israeliani e palestinesi, sono stati decisivi nel creare problemi. Usando entrambi torti e ragioni come ostacoli. E allora non sorprende che il mediatore sbotti. Parlando in una sede importante — la Trilateral — il segretario di Stato americano John Kerry ha usato termini che non hanno precedenti nelle relazioni con lo Stato ebraico. «Se Israele non arriva rapidamente a un accordo di pace rischia di diventare uno Stato di apartheid» come fu il Sud Africa. Annotazione inedita e forte accompagnata da parole severe verso la politica degli insediamenti in Cisgiordania. Poi l’avvertimento sui pericoli di una nuova intifada contro gli israeliani. E a chiudere il suggerimento che nuove leadership nei due campi potrebbero essere più disponibili a un’intesa che oggi appare complicata. L’intervento di Kerry — rivelato dal Daily Beast — è uno di quelli che innesca polemiche. Intanto si discosta dalla posizione di Obama che, in passato, a una precisa domanda sull’accostamento Israele-apartheid aveva negato che avesse un fondamento. Un paragone, invece, formulato dall’ex presidente Carter. L’altro aspetto è più personale. Tra il segretario di Stato e Israele i rapporti sono stati tempestosi. In gennaio il capo della diplomazia era stato attaccato in modo duro dal ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon. Ieri il direttore dell’Anti-Defamation League, Abe Foxman, ha espresso «contrarietà» per il discorso di Kerry. Poi ha alzato i toni definendo l’intervento «poco diplomatico, ingiusto e controproducente».
LA REPUBBLICA - la redazione - La 'profezia' di Kerry 'Apartheid in Israele'
Se non ci sarà un accordo di pace, Israele rischia di diventare uno stato con un sistema di apartheid come quello famigerato del Sudafrica. È l’opinione del segretario di Stato americano John Kerry, espressa secondo il Daily Beast durante un incontro a porte chiuse con esperti americani, europei, russi e giapponesi della Commissione Trilaterale. Il paragone, in passato respinto dal presidente Obama, è considerato molto irritante per gli israeliani. Kerry ha spiegato che se le parti non si metteranno d’accordo, potrebbe lui stesso proporre un piano «da prendere o lasciare». In questo piano, ha aggiunto, «la soluzione con due stati verrà evidenziata come unica vera alternativa. Perché un unico stato finirebbe per diventare uno stato caratterizzato dall’apartheid, con cittadini di serie B, oppure distruggerebbe la possibilità per Israele di essere uno stato ebraico».
UNITA' - Umberto De Giovannangeli - Kerry: 'Israele rischia di diventare Stato di apartheid'
U.d.G. Desmond Tutu Richard Falk
Israele rischia di diventare uno Stato in cui vige l'apartheid. A sostenerlo non è un ayatollah di Teheran né un affiliato ad Hamas. A lanciare il grido d'allarme è il segretario di Stato Usa, John Kerry, durante un incontro a porte chiuse con la «Commissione Trilaterale», think tank non governativo fondato nel 1973 su iniziativa di David Rockefeller. «Ribadiremo la soluzione dei due Stati come l'unica vera alternativa. Perché uno Stato unitario finisce per essere uno Stato in cui vige l'apartheid, con cittadini di seconda classe, oppure uno Stato che nega a Israele la capacità di essere uno Stato ebraico», ha detto Kerry, secondo quanto riferiva ieri The Daily Beast. Il capo della diplomazia Usa ha comunque insistito sul non considerare come «morti' i negoziati di pace, nonostante le ultime dichiarazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu, secondo il quale i colloqui si sarebbero del tutto interrotti in seguito all'accordo che il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Mahmud Abbas (Abu Ma-zen) ha siglato con llamas. Il riferimento all'apartheid era stato esplicitato in una intervista a l'Unitd, da uno dei simboli, assieme a Nelson Man-dela, della lotta contro il regime segregazionista in Sudafrica: Desmond Tutu. «In Sudafrica hanno cercato di ottenere la sicurezza dalla canna del fucile. Non l'hanno mai avuta. Perché la sicurezza per una parte non pub essere realizzata sulla sofferenza, l'umiliazione, le punizioni collettive inflitte ad un'altra parte della popolazione o a un popolo che rivendica la propria libertà e autodeterminazione. È una lezione della storia di cui Israele dovrebbe far tesoro. Purtroppo ancora non è così», aveva rimarcato il Premio Nobel per la Pace. Che raccontò così cib che aveva visto in un viaggio in Cisgiordania. Nel chiedergli cosa l'aveva più colpito, l'arcivescovo emerito della Chiesa anglicana aveva risposto: «I check-point. Sono centinaia e spezzano la Cisgiordania in mille laggi, spezzano comunità; quei check-point sono l'espressione di un dominio che segna la quotidianità di decine di migliaia di palestinesi. Li prostra, li umilia. Essi mi riportano indietro nel tempo, al Sudafrica dell'apartheid». Non solo Tutu. «Le politiche di lsraele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania equivalgono all'apartheid», il grave e documentato j'accuse è contenuto nelle 22 pagine del rapporto sui Territori palestinesi redatto da Richard Falk, l'accademico americano inviato speciale delle Nazioni Unite. Il motivo è che «i diritti dei palestinesi nei Territori vengono violati da Israele che da un lato prolunga l'occupazione in Cisgiordania e dall'altro pratica la pulizia etnica a Gerusalemme Est». A Gaza invece, afferma il rapporto di Falk (febbraio 2014), «l'intera Striscia resta occupata, nonostante il ritiro di Israele nel 2005, grazie ad un blocco terrestre, aereo e marittimo che nuoce in primo luogo ad agricoltori e pescatori». Da qui il suggerimento di Falk agli Stati membri dell'Onu di «imporre il bando totale alle importazioni da Cisgiordania e Gaza» con un particolare appello all'Europa «perché resta il partner commerciale più importante per Israele». In un capitolo ad hoc, Falk si sofferma su alcune «politiche stile-apartheid» come il fatto di «applicare il diritto civile nei confronti degli abitanti degli insediamenti e quello militare verso i palestinesi». Oppure «l'effetto combinato di misure che proteggono i cittadini israeliani, facilitano le loro aziende agricole, espandono gli insediamenti e rendono la vita impossibile ai palestinesi». «Se non si favorisce una pace fondata sulla soluzione "due Stati", allora Israele dovrà istituzionalizzare l'occupazione dei Territori, e ciò significa disgregare le base democratiche dello Stato e codificare un regime di apartheid. Questa sì sarebbe la morte del sionismo», rimarca a sua volta Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, figlia dell'eroe della Guerra dei sei giorni: il generale Moshe Dayan
MANIFESTO - Michele Giorgio - Kerry: 'Senza accordo di pace Israele è uno Stato di apartheid
Michele Giorgio Jimmy Carter
GERUSALEMME Ora Kerry ora condivide il contenuto di »Palestine, Peace not Apartheid», il libro dell'ex presidente Usa Jimmy Carter pubblicato qualche anno fa tra polemiche roventi? Forse. Comunque sia, mentre oggi si concludono senza alcun risultato i nove mesi di trattative israelo-palestinesi, il Segretario di stato americano si è convinto che, se nel prossimo futuro le due parti non troveranno un accordo per la formula dei due Stati, Israele rischia di diventare «uno Stato di apartheid» (gis Io 6, sostengono da tempo i palestinesi). Lo scrive il The Daily Beast - popolare sito Usa guidato da Tina Brown, ex editrice di Vanity Fair e The New Yorker - che riferisce di un intervento di Kerry al meeting della »Trilateral Commission', il gruppo di studio che promuove la cooperazione tra Nord America, Europa e Asia. Israele, se non saprà separarsi dai palestinesi, avrebbe spiegato Kerry «rischia di dar vita ad uno Stato di apartheid, con cittadini di seconda classe». Kerry - scrive Daily Beast - ha anticipato che a un certo punto gli Usa potrebbero sottoporre alle parti un proprio piano di pace, da prendere o lasciare. Rivelazioni del The Daily Beast a parte, gli Stati Uniti sanno bene cosa accade sul terreno. Ciò rende ancora più pesanti le responsabilità di Washington. ln particolare dell'Amministrazione Obama che prima ha lasciato intravedere l'avvio di una politica Usa in Medio Oriente in parte diversa da quella del passato e poi si è adeguata all'abituale linea di appoggio quasi totale agli alleati israeliani. Nonostante i «contrasti» tra Netanyahu e Obama riportati e analizzati per anni dalla stampa dei due paesi. Senza un arbitro realmente imparziale sarà impossibile soltanto immaginare una soluzione al conflitto israelo-palestinese. Senza l'applicazione della legge intemazionale il quadro non potrà che peggiorare, per i palestinesi naturalmente. La distanza tra le parti è enorme e il più forte, il governo israeliano, detta le sue condizioni al più debole. Gli ultimi giorni sono stati roventi. Ormai tutto è piegato alle esigenze dello scontro politico. Netanyahu ha bollato come una «mossa propagandistica», tesa solo a «colpire l'opinione pubblica internazionale», l'importante dichiarazione fatta domenica dal presidente palestinese Abu Ma-zen sull'Olocausto: «Il crimine più odioso contro l'umanità nell'era moderna», ha detto a poche ore dall'inizio in Israele delle commemorazioni per il Giorno della Shoah. ll leader palestinese ha espresso solidarietà alle famiglie degli ebrei e di tutti gli altri uccisi dai nazisti, aggiungendo che l'Olocausto «rappresenta il concetto di discriminazione etnica e razziale che i palestinesi respingono con forza e contro cui si battono». «Il popolo palestinese sta soffrendo per l'ingiustizia, l'oppressione e la negazione di pace e libertà. Siamo i primi - ha spiegato Abu Mazen - a chiedere di rimuovere l'ingiustizia e il razzismo». Per questo, ha aggiunto, «chiamiamo il governo israeliano a cogliere l'attuale occasione per concludere una pace basata sulla visione di due Popoli due Stati». A queste parole Netanyahu ha reagito accusando Abu Mazen di aver raggiunto nei giorni scorsi un accordo di riconciliazione con il movimento islamico llamas, che, ha detto il premier israeliano, «intende distruggere Israele». Ha quindi ribadito, alla Cnn, che Israele non parteciperà a negoziati con un governo palestinese appoggiato dagli islamisti. Hamas, ha concluso Netanyahu, dovrà riconoscere lo Stato ebraico se i palestinesi vorranno riprendere le trattative che Israele ha interrotto dopo l'accordo per la formazione di un governo di consenso nazionale tra Fatah, il partito di Abu Ma-zen, e il movimento islamico. In Israele però non tutti condividono l'interpretazione di Netanyahu; Efraim Zuroff, del Centro Wiesenthal. ha accolto con soddisfazione le dichiarazioni di Abu Mazen, altrettanto ha fatto lo scrittore David Grossman. Il Comitato centrale dell'Olp ha annunciato che lo Stato di Palestina aderirà ad altri 60 trattati ed istituzioni internazionali . L'Olp inoltre condiziona la ripresa delle trattative con Israele al riconoscimento da parte del governo Netanyahu dei «confini del 1967», al blocco dell'espansione delle colonie e al rilascio (concordato in precedenza) di decine detenuti palestinesi