Non facciamoci ingannare Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: la mappa senza Israele nel progetto Anp-Hamas
Cari amici,
Abba Ebanall'Assemblea Onu
è celebre la frase di Abba Eban, ambasciatore israeliano all'Onu negli anni 70, secondo la quale "gli arabi non perdono mai un'occasione di perdere un'occasione". Verrebbe voglia di applicarla anche oggi per commentare la rottura che l'Autorità palestinese ha provocato nelle trattative di pace. Dopotutto Israele sta benissimo com'è, non ha alcun bisogno di fare la pace con loro: ha un'economia che non ha mai smesso di crescere a ritmi asiatici nonostante la crisi che devastava l'Occidente, una scienza e tecnologia che sforna invenzioni ogni giorno, ha retto all'ostilità di Obama e dell'Europa, ha ampliato i suoi rapporti con Cina e India, intorno ha il governo egiziano meno ostile da decenni, la paralisi siriana e libanese, il re di Giordania che sopravvive grazie al suo appoggio. Hezbollah è impantanato in Siria, i razzi di Hamas non passano le barriere difensive, il terrorismo si è fatto quotidiano ma piccolo: uno stillicidio di sassi, coltelli, molotov, qualche cecchino ogni tanto. Certo, i morti innocenti non mancano, ma sono molto pochi rispetto ai tempi caldi della seconda intifada. Se n'è accorto anche uno dei giornalisti americani più obamiani, che in un'opinione sul New York Times (http://80.241.231.25/ucei/Viewer.aspx?Mode=S&ID=2014042527336368) ha detto che non è vero quanto dichiarato da Kerry, che la situazione di Israele è insostenibile, anzi è perfettamente sostenibile e piuttosto comoda, anche se a lui non piace.
Barack Obama
Solo il paternalistico attivismo neocoloniale americano (con l'aiuto del "poliziotto cattivo" rappresentato dall'Unione Europea) ha turbato questo quadro negli ultimi mesi, costringendo a viva forza Israele a fare concessioni all'Autorità Palestinese per il piacere di condurre con essa delle trattative palesemente inutili e cercando di portarlo a fare delle concessioni ben più importanti per ottenere "la pace". Quando i funzionari dell'Anp hanno sospeso gli incontri diretti con Israele e hanno spiegato che stavano alle trattative solamente per ottenere il prezzo della trattativa, cioè la liberazione di un centinaio di terroristi assassini detenuti nelle carceri israeliane e hanno preteso che nell'ultimo gruppo fossero compresi anche dei cittadini arabi israeliani, senza voler prendere impegni per la prosecuzione del negoziato, Israele ha reagito sospendendo l'ultimo gruppo di scarcerazioni. Immediatamente l'Anp ha reagito prima facendo quel che si era impegnata a non fare durante le trattative, cioè chiedendo l'adesione a una quindicina di agenzie e trattati dell'Onu, agendo così in maniera autonoma come stato, contro i trattati di Oslo, e minacciando di fare intervenire nel conflitto il tribunale internazionale dell'Aja contro i crimini di guerra (da cui hanno peraltro più da temere che gli israeliani). Mentre erano in corso ancora le trattative per riprendere le trattative (è un concetto bizzarro, ma così vanno le cose da quelle parti), hanno prima posto alcune condizioni notoriamente inaccettabili da Israele per riprenderle (il blocco delle costruzioni nelle comunità ebraiche in Giudea e Samaria, l'accettazione del principio dei confini secondo le linee armistiziali del '49, che è la loro richiesta finale per le trattative) e poi, quando la pressione americana era tale che Netanyahu aveva iniziato a cedere su alcuni punti essenziali (http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Report-Netanyahu-agreed-to-talk-borders-settlement-freeze-just-before-Hamas-Fatah-deal-350419), hanno annuciato l'accordo con Hamas, facendo naufragare del tutto il negoziato.
Verrebbe da dire: non hanno perduto un'occasione di perdere un'occasione. O anche: grazie Anp, che ha tirato fuori Israele da una situazione molto difficile. E' improbabile che i palestinisti trovino un'amministrazione americana più favorevole in generale agli avversari dell'Occidente, più disinteressata al sistema delle alleanze, e in particolare più vicina emotivamente a loro: Obama ha una famiglia in parte musulmana e coinvolta nell'islamismo, come nero percepisce la difesa degli interessi americani come colpevole colonialismo (l'ha dichiarato più volte), ha un pessimo rapporto personale con Netanyahu e in generale con Israele, con un bilancio del tutto fallimentare in politica estera si trova alla ricerca di un successo che possa riscattarlo, almeno agli occhi dei suoi amici, se non della storia. Sta avvicinandosi alla metà del suo secondo mandato e quindi è nel momento di maggior potere interno, senza che gli elettori possano più influenzarlo; ma fra poco sarà percepito come in scadenza, "anatra zoppa", come dicono gli americani, e non potrà più prendere impegni per il futuro. Anche da questo punto di vista, il tempo lavora per Israele.
Abu Mazen Ismail Haniyeh
Aggiungete che l'accordo con Hamas molto probabilmente non avrà alcun seguito. Non perché ci siano divergenze strategiche fra Fatah e Hamas (entrambi lavorano per la distruzione di Israele) né perché i primi siano "laici" e i secondi "religiosi" (è questione di sfumature). Come i ladri di Pisa del proverbio, litigano di giorno e rubano (o fanno i terroristi) insieme di notte. Ciò su cui non possono mettersi d'accordo è la spartizione del potere: Hamas non cederà il suo regno di Gaza, le sue milizie terroriste, i suoi razzi per un paio di ministeri. Fatah non cederà i suoi soldi, il suo riconoscimento internazionale (né naturalmente le sue milizie e le sue armi), con la prospettiva di perdere le elezioni fra sei mesi e trovarsi subordinata all'altro gruppo. E' già successo tre o quattro volte: in un momento critico dei rapporti con Israele, Abbas manda delegati a incontrarsi con Hamas (una volta a Doha in Qatar, poi al Cairo, ora a Gaza); si abbracciano, proclamano l'unità, promettono governi comuni in poche settimane ed elezioni in pochi mesi - e tutto finisce nel nulla. Bisogna essere volutamente ingenui, o naturalmente antisemiti come la politica estera europea, per credere che questa sia una condizione per la pace", perché "finalmente i palestinesi sono uniti". La capacità di Abbas di influenzare quel che succede a Gaza è nulla, come lo era due settimane fa. Provi a ordinare di non sparare più missili sulle città israeliane, e vedremo il risultato.
Il Gran Muftì di Gerusalemme stringe la mano a Adolf Hitler
Ma l'annuncio dell'accordo fra Fatah e Hamas non serve affatto a questo, non è la premessa di una nuova trattativa in cui Abbas non agisca più solo come il sindaco di Ramallah impropriamente trattato da mezzo mondo come se avesse uno Stato, ma rappresenti davvero tutte le forze palestiniste. Esattamente il contrario, serve a dire che la trattativa è solo uno strumento contro Israele e la lotta armata è un altro strumento altrettanto importante, se non di più. Il che del resto è scritto a chiare lettere sia nello statuto di Hamas che in quello di Fatah. L'accordo serve a dire: ci svicoliamo dalle trattative per condurre la lotta con altri mezzi. Certo, in questa maniera Abbas non avrà il suo stato su buona parte di Giudea e Samaria, mentre avrebbe potuto averlo se fosse rimasto nel negoziato e avesse manovrato in questo senso. Come poteva averlo nel 2008 quando glielo offriva Olmert o nel 2000, quando Barak lo offrì a Arafat. O negli anni Novanta dopo Oslo, se Arafat non avesse incoraggiato il terrorismo. O nel '67 quando a Khartoum gli stati arabi dissero il loro triplice no (alla pace, alla trattativa, al riconoscimento di Israele). O nel '47 quando l'Onu proposte la spartizione del mandato e gli arabi risposero con la guerra. O nel '37 quando la divisione era sostenuta dal rapporto Peel per la Gran Bretagna e fu il Muftì di Gerfusalemme, quello che divenne amico di Hitler, a dire di no.
Sempre occasioni perdute? Sono così inabili i palestinisti? Io credo che Abba Eban abbia torto. Due fatti convergenti possono essere una coincidenza, tre un indizio, ma quattro, cinque, sei sono una prova. Molto semplicemente i palestinesi non sono interessati a uno Stato, se la sua condizione è la pace con Israele. Possono fare degli accordi parziali, possono usare le trattative per acquisire diritti e posizioni negoziali, ma non sono disposti a convivere con lo Stato nazione del popolo ebraico. Se l'avessero voluto fare, uno Stato palestinese ci sarebbe da decenni. Il loro obiettivo è tutt'altro: distruggere Israele e riconquistare l'unico frammento di Medio Oriente governato da una nazione non islamica. Farlo è un progetto di lunga durata, che richiede un grande lavorio, un adattamento tattico continuo, la macelleria del terrorismo e le arti da suk della diplomazia, la guerra aperta e i negoziati, la vittimizzazione che conquista le simpatie dell'Occidente e il culto della violenza che mobilità il fronte interno. Questo è il senso delle "occasioni perdute". Non mosse inabili ma scelte tattiche lucide in vista dell'obiettivo finale. Non facciamoci ingannare.