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Informazione Corretta Rassegna Stampa
27.04.2014 1998: La non-visita di Arafat al Memoriale della Shoah di Washington D.C
Manfred Gerstenfeld intervista Walter Reich

Testata: Informazione Corretta
Data: 27 aprile 2014
Pagina: 1
Autore: Manfred Gerstenfeld
Titolo: «1998: La non-visita di Arafat al Memoriale della Shoah di Washington D.C»

1998: La non-visita di Arafat al Memoriale della Shoah di Washington D.C. Manfred Gerstenfeld intervista Walter Reich

 (Traduzione di Angelo Pezzana)

Washington,il museo      Yassera Arafat         Walter Reich

Walter Reich è stato direttore del Memoriale della Shoah di Washington D.C. dal 1995 al 1998. Attualmente insegna Affari Internazionali, Etica e Comportamenti Umani al Memoriale Yitzhak Rabin della George Washington University.

 “Nel gennaio 1998, l’Amministrazione Clinton si impegnò molto nei colloqui di pace tra Israele e I palestinesi. Yasser Arafat venne a Washington per incontrare il presidente, anche se molti israeliani e ebrei americani erano scettici sulla attendibilità di Arafat dopo gli attentatti terroristici che dopo Oslo avevano ucciso molti israeliani.

 “ La decisione di invitare Arafat a visitare il Museo della Shoah di Washinton è stata una gravissima provocazione. E’ stata una iniziativa di Aaron David Miller, membro del gruppo per la pace in Medio Oriente della Casa Bianca, che giudicava quella visita un segnale per far proseguire il lavoro diplomatico dell’Amministrazione. In quella occasione usò la sua appartenenza al consiglio di amministrazione del Museo della Shoah per influenzare Miles Lerman, presidente del Consiglio, al fine di ottenere la sua approvazione “.

 “ Sebbene fossi il direttore del museo, non venni informato. Quando Lerman mi parlò dell’ “idea” di invitare Arafat –senza però dirmi che era già stato invitato – gli risposi che la giudicavo pessima, perché avrebbe sfruttato la memoria stessa dei milioni di morti. Quella visita, il suo uso, sottolineai, avrebbe condizionato la pubblica opinione. Sarebbe stata solo pubblicità, con il museo e le vittime come contorno.

 “ Aggiunsi che Arafat era stato invitato a visitare Yad Vashem, il memoriale israeliano della Shoah, anch’esso un museo con finalità educative come quello di Washington. Non si prese mai nemmeno il fastidio di accettare l’invito, anche se si trovava a Gaza. La visita al museo di Washington gli avrebbe consentito di lavarsi la coscienza. Dissi ‘Questa volta Arafat, la prossima Milosevic ?’ Misi in guardia che Arafat ne sarebbe uscito non dicendo che finalmente aveva capito perché gli israeliani erano preoccupati per la loro sicurezza, ma che la Germania nazista aveva fatto agli ebrei esattamente ciò che Israele sta facendo ai palestinesi.

 “ Allora Lerman disse a Miller di ritirare l’invito a Arafat, cosa che fece. I palestinesi, sentendosi danneggiati, fecero allora pressioni sulla Amministrazione Clinton per ottenere un nuovo invito. Si rivolsero ancora a Lerman e la Segretaria di Stato Madeleine Albright dichiarò durante la trasmissione ‘Meet the Press’ della NBC che non era stato giusto annullare la visita di Arafat, e che avrebbe potuto visitare comunque il museo in qualità di VIP.

 “ Circondato da numerose pressioni e critiche, temendo anche che gli venisse revocato l’incarico, Lerman incontrò Arafat nel suo albergo e lo ri-invitò. In una riunione del Comitato Esecutivo del Consiglio del Museo, i membri, uno dopo l’altro, mi chiesero di scortare Arafat nel Museo, rimanendo al suo fianco anche perché avrebbe deposto una corona davanti alla fiamma sempiterna. Respinsi tutte le richieste. Era una questione di coscienza- dissi – nel museo della coscienza.

 “ Ma nel giorno in cui Arafat doveva visitare il museo, il suo staff cancellò la visita. Era appena scoppiato lo scandalo di Monica Lewinsky e giornali e fotografi erano tutti alla Casa Bianca. La possibilità che Arafat venisse fotografato e la pubblica opinione influenzata dal suo gesto era svanita. Io diedi lo stesso le dimissioni da direttore del museo, scrivendo al presidente che non ero d’accordo con lui sull’ “uso del museo e la memoria della Shoah, in un contesto politico e diplomatico che coinvolgeva negoziazioni”.

 “ Sulla scia dello scandalo Arafat, il sottocomitato del Congresso che provvede al finanziamento al Museo della Shoah, votò una risoluzione che prevedeva una inchiesta sul Museo stesso. Il rapporto mi colpì molto. Citava preoccupazioni che le istituzioni federali, specialmente una che porta la responsabilità morale di rappresentare la memoria della Shoah, potesse essere sensibile alle pressioni politiche al suo interno o dal Congresso, e che il Museo della Shoah non doveva essere usato come uno strumento per specifiche iniziative politiche, come era successo nell’affare Arafat.

 “ Dobbiamo trarre da tutto questo una lezione, morale e psicologica, proteggere l’integrità della Storia e riconoscere che anche coloro che portano la responsabilità di preservare la memoria della Shoah possono essere oggetto di pressioni che mirano a sfruttare quella memoria per fini politici e diplomatici, convincendosi che quella era la cosa giusta da fare. La conseguenza positiva dell’Affare Arafat sta nel fatto che da allora il Museo della Shoah è stato come immunizzato da future imposizioni da parte del governo federale.

 “ Questa storia ha un seguito. Dodici anni dopo, in un editoriale mea culpa sul Washington Post, Miller scrisse qualcosa di raro e ammirevole. Ammise che aveva avuto torto quando cercò di invitare Arafat ‘una delle idee più stupide negli annali della politica estera Usa’. Umilmente ammise che ‘ vi è un grave pericolo nell’appropriarsi della memoria, tentando di legarla a un’altra vicenda o a una esperienza tragica che opprime ancora le menti di milioni di persone”.

Manfred Gerstenfeld è presidente emerito del  “Jerusalem Center for Public Affairs” di Gerusalemme. Ha pubblicato più di 20 libri. E’ stato di recente ristampato il suo libro “ Israel’s New Future” con una nuova introduzione e il nuovo titolo di “Israel’s New Future Revisited”.
Il suo nuovo libro può essere acquistato su Amazon


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