Riprendiamo dall'ESPRESSO, a pagg. 94-97, l'articolo di Letizia Gabaglio dal titolo "Nel paese delle start up".
Letizia Gabaglio
A prima vista, il vecchio porto di Jaffa, uno dei più antichi al mondo, sembra un oggetto estraneo sul lungomare di Tel Aviv. Basta girare la testa di poco, infatti, e a qualche centinaio di metri è tutta un'altra scena, fatta di grattacieli e modernità. Perché questa città, inaspettatamente giovane, oggi è il cuore pulsante dell'innovazione di Israele. È qui infatti che si concentra la maggior parte delle circa 4mila start up fondate negli ultimi 10 anni in questo fazzoletto di terra: gli appartamenti del quartiere bianco,dovegli affitti sono più contenuti, pullulano di giovani che, una volta finito il servizio militare, decidono di provare a realizzare il sogno di sviluppare la propria idea e di portarla sul mercato. Magari vendendola a una big company, come è successo a Shvat Shaked e alla sua Fraud Science, un manipolo di ingegneri convinti di aver messo a punto il sistema migliore per capire chi sono i buoni e chi i cattivi quando si tratta di transazioni online. Nel 2007 Shaked hussa alla porta di Paypal, leader mondiale dei pagamenti su web, e convince l'amministratore delegato e quello di eBay che il suo è l'algoritmo di cui avevano bisogno. In poche settimane l'affare si concretizza e la start up viene acquistata per 169 milioni di dollari. Quella di Fraud Science non è una storia isolata, da queste parti anzi sembra essere la norma, anche in questi anni di crisi economica mondiale. Lo testimoniano i dati di IVC, istituto di ricerche israeliano: fra il 2003 e il 2012 più di 700 start up sono state acquistate per una spesa totale di 41,6 miliardi di dollari. Solo nel 2013 le aziende straniere hanno acquistato per 6,45 miliardi, il 20 per cento in più di quello che avevano fatto l'anno precedente. E l'onda di ottimismo legato alle imprese hi-tech israeliane non sembra sgonfiarsi. Nei primi mesi del 2014 si sono registrati una serie di "colpi". Il più famoso è quello di Viher, app per scambiarsi messaggi e telefonate, comprata dal colosso giapponese Rakuten per 900 milioni di dollari; più o meno la stessa cifra che aveva dovuto sborsare Google l'anno scorso per comprarsi Waze, l'app di navigazione Gps usata da milioni di automobilisti. D'altronde la Silicon Wadi, come viene chiamata l'area intorno a Tel Aviv, dove è massima la concentrazione di imprese hi-tech, è la seconda area di massima innovazione al mondo, dietro solo alla Silicon Valley. Gli israeliani, però, non innovano solo sulla rete. PrimeSense, per esempio, è i I nome, piuttosto famoso, dell'azienda che ha inventato la tecnologia che è alla base della Kinect di Microsoft e di molti altri dispositivi — si calcola che in tutto il mondo ce ne siano 20 milioni - in grado di leggere i movimenti del corpo e interagire con essi. Un altro nome abbastanza affermato è quello di Medigus, nata nel 2000 dall'idea dell'ingegnere informatico Elazar Sonnenschein, pioniere nello sviluppo di mini telecamere per analisi endoscopiche, e padre di una procedura innovativa per trattare il reflusso gastroesofageo che ha da qualche settimana ha ottenuto l'approvazione dell'ente regolatorio americano, la Fda. Oppure quello di Prolor,start up biotech che ha sviluppato una tecnologia per riprodurre, migliorandole, molecole già usate a scopo terapeutico, che l'anno scorso è stata acquistata da Opko Health, multinazionale pharma. Ma pronte sulla rampa di lancio ci sono già altre storie di possibile grande successo. HealthWatch, per esempio, è una start up che mette a punto tessuti intelligenti per il monitoraggio di alcuni parametri importanti per la salute: si mettono in lavatrice come una maglietta qualsiasi, ma quando si indossano controllano il battito del cuore e se c'è qualcosa che non va inviano un segnale ai cellulari. LifeBeam lavora nello stesso campo, ma si è inventata una caschetto per ciclisti che registra il battito cardiaco e controlla che tutto vada per il meglio e invia i dati via Bluetooth a un display che si può indossare al polso. «Ci sono campi dove il successo si costruisce con il tempo, come la medicina. I fondi di investimento israeliani puntano di più sulla tecnologia o il web perché il ritorno è più immediato, spiega Yair Shoham, di Intel Capital, il fondo di investimento del colosso dei microchip che va alla ricerca di nuove opportunità su cui scommettere: «La diagnostica a tutti i livelli è un buon compromesso". Intel è l'azienda privata più grande presente in Israele ed è il prototipo di quello che le big companies vogliono realizzare da queste parti. Non solo chiudere buoni affari ma sfruttare a pieno l'ambiente effervescente. A partire da quello della Silicon Wadi: il centro ricerche di Haifa, nel nord del paese, che dal 1974 sforna chip innovativi. E' qui che ingegneri e antropologi sono al lavoro per studiare il "perceptual computing", interfacce in grado di comprendere gesti delle persone e di trasformarle in comandi per i diversi piccolissimi computer che in futuro abiteranno tutti gli ambienti. Intel è stata un'apripista da queste parti, a cui nel corso degli anni si sono aggiunte, tra le altre, Ibm, Google, Microsoft, Samsung. Ma cosa ci sarà mai in Israele che non si trova da altri parti del mondo? Un mix fra caratteristiche umane e decisioni politiche mirate a incentivare ricerca e sviluppo. » La cultura israeliana è molto meno strutturata rispetto alla media di quelle occidentali: l'autorità è sempre messa in discussione, non ci sono posizioni acquisite. E' una mentalità che ritroviamo anche nello sviluppo della tecnologia: nulla è dato per scontato e tutto si può sempre mettere in discussione», spiega Shmuel (Mooly) Eden, presidente di Intel Israele e vice presidente mondiale, il papà del Centrino, il microchip che ha rivoluzionato il mondo dei laptop. il termine che spiega questo atteggiamento è "chutzpah", a metà fra la presupponenza e l'arroganza, fra la sfrontatezza e l'ingenuità che consente anche all'ultimo degli impiegati di fare delle domande scomode al suo capo. «Durante le riunioni tutti possono mettere in discussione quello che dico, anzi. Più c'è discussione, diversità di vedute e interazione, più si cresce», va avanti Eden. Lo raccontano bene Dan Senor e Saul Singer in "Start-up nation", il libro che da queste parti è diventato una specie di bandiera nazionale, quando raccontano la prima visita di Scott Thompson, amministratore delegato di PayPal, nei laboratori di Fraud Science da lui appena comprata: tutti lo ascoltano attentamente e alla fine lo bersagliano con domande per certi versi sfrontate e inusuali. » Alla fine non sapevo più se erano loro a lavorare per me o viceversa», confesserà Thompson. Il capitale umano su cui si può puntare nella Silicon Wadi è poi particolare: un insieme di eccellente preparazione scientifica, capacita di risolvere problemi, determinazione e abitudine a vivere in una situazione scomoda. Israele è infatti la nazione con la più alta densità di ingegneri, scienziati e tecnici rispetto alla popolazione (145 ogni 10mila persone, in Usa sono 85, in Giappone 70), la numero uno in termini di paper scientifici pubblicati e la terza nella classifica dei paesi con il numero maggiore di brevetti (sempre rispetto al numero dei cittadini). Su una superficie non molto più grande di una grande metropoli americana gli israeliani sono stati capaci di aprire 8 università, tutte ben piazzate nelle classifiche internazionali. L'Istituto di Tecnologia Israeliano - Technion -ad Haifa, che dal 1912 sforna ricercatori di ottimo livello, è fra le prime 20 migliori università in computer science. L'Università Ebraica di Gerusalemme vanta invece un'ottima scuola di biologia e medicina e nelle scienze umanistiche. Eppure, a sentire i cervelloni israeliani c'è di più. «Quello che fa davvero la differenza nello spirito di intraprendenza di un giovane è l'esperienza del servizio militare., sottolinea Eden. Comunque la si pensi, non si può cercare di capire il "miracolo tecno-economico" israeliano senza contare che qui tutti i giovani, maschi e femmine, sono obbligati a prestare servizio nell'esercito: un'esperienza sul campo dove anche i meno esperti sono chiamati a grandi responsabilità. L''esercito offre poi la possibilità di studiare: dopo gli anni di ferma obbligatoria chi decide di continuare può specializzarsi. Ed è proprio il bisogno di tecnologia per la difesa e le operazioni di intelligence che sostiene alcune linee di ricerca. Due, tre, anche cinque anni di questa vita, secondo gli israeliani,da una parte formano caratteri in grado di guidare un'azienda e perseguire un obiettivo, dall'altra forniscono conoscenze hi-tech utili da spendere nel mondo civile. Ma tutto questo non basterebbe se nel corso degli anni non fossero state realizzate delle politiche a sostegno dello sforzo dei giovani scienziati. Nel 1991, per esempio, per cercare di dare un'opportunità ai tanti ricercatori provenienti dai paesi del blocco sovietico, finalmente liberi di uscire dai loro paesi, il governo creò 24 incubatori di impresa e finanziò centinaia di nuove imprese con grant da 300mila dollari. Poi fu il turno del cosiddetto piano Yozma: far nascere e crescere i fondi di venture capital, attirando prima quelli stranieri per imparare da loro come fare. Oggi, a distanza di 25 anni Israele è il secondo paese al mondo per densità di venture capitalist. Tutti alla ricerca dell'idea migliore da finanziare, dei ragazzi più intraprendenti, della storia più convincente.
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