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Libero Rassegna Stampa
25.04.2014 Genocidio degli armeni: una giusta critica a Erdogan, e una confusione tra Shoah e genocidi
nell'analisi di Filippo Facci

Testata: Libero
Data: 25 aprile 2014
Pagina: 16
Autore: Filippo Facci
Titolo: «Il genocidio degli armeni non è ancora terminato»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 25/04/2014, a pag. 16, l'articolo di Filippo Facci dal titolo "il genocidio degli armeni non è ancora terminato".
 
Pubblichiamo il pezzo di Filippo Facci, che non rinuncia, come spesso gli succede, a mischiare argomenti simili, lasciando al lettore  più confusione che chiarezza.
Ci riferiamo in modo particolare a quella che lui chiama
"quella parte del mondo ebraico ben decisia a sostenere l'unicità dell'Olocausto". L'errata interpretazione di Facci si rivela quando scrive: "nel gigantesco Holocaust Memorial di Washington,per pressioni turche e israeliane, ogni riferimento agli armeni era stato eliminato". Facci ignora evidentemente che l'Holocaust Memorial non è, come lui lascia credere, un museo dei genocidi, ma è invece il luogo della memoria della Shoah.
Anche se nell'articolo Facci ricorda poi alcune posizioni ebraiche e israeliane in favore del riconoscimento del genocidio operato dai turchi contro gli armeni -  con apprezzabili e condivisibili critiche alle dichiarazioni di Erdogan - la confusione tra genocidi e Shoah non è francamente accettabile.


Filippo Facci               Recep Tayyp Erdogan

  
Genocidio degli armeni         Holocaust Memorial a Washington

Ecco il testo:

Leggere delle «condoglianze» del turco Recep Tayyp Erdogan come se fossero una cosa seria, e vederle definire «clamoroso gesto pacificatore» da Carlo Pa-nella su Libero, come dire: farebbe ridere se facesse ridere. La banale verità, a 99 anni dal genocidio degli armeni da parte dei Giovani Turchi, è che Erdogan rimane a capo di una nazione in cui la recrudescenza anti-armena, nello scorso decennio, ha sfiorato livelli demenziali. Un'altra banale verità è che nello scacchiere politico occidentale permangono sacche di un negazionismo soft che tende a banalizzare il genocidio degli armeni in nome di un penoso scontro tra genocidi, laddove la Shoah deve sempre primeggiare. Brutto da dire, ma è la verità. Panella cita lo studioso Bernard Lewis tra coloro che de-rubricarono il genocidio a «pulizia etnica»: io potrei aggiungerci anche lo storico americano Guenter Lewy, autore di un libro Einaudi del 2006: tentò la stessa operazione. Ricordo anche quando l'ex ministro degli esteri Franco Frattini, con cui Panella collaborava, scrisse che il genocidio - Panella lo chiama soltanto «massacro» - fosse materia di cui l'Unione Europea non doveva più di tanto occuparsi: questo perché i due popoli stavano già risolvendola attraverso una commissione congiunta. Scrisse Frattini: «II Parlamento europeo ignora la decisione del premier turco (Erdogan, ndr) di affidare coraggiosamente a una commissione, cui gli armeni hanno tra l'altro aderito, il compito di far luce su questa pagina sanguinosa».

LA COMMISSIONE
Era Frattini, in realtà, a ignorare che la commissione non esisteva più e che in sostanza non era mai esistita: i quattro esponenti armeni che vi avevano preso parte (i turchi erano sei) si erano dimessi per insanabili divergenze. Chiarì tutto il membro turco Ozdem Sanberlc «Lo scopo principale della commissione», disse, «è di impedire le iniziative a favore del genocidio dei Parlamenti occidentali». Perfetto. Chi oggi nutre fiducia nelle «condoglianze» di Erdogan, del resto, forse non sapeva neppure che il genocidio degli armeni manca dai libri di scuola turchi ma praticamente anche da quelli tedeschi: il quotidiano tedesco Die Welt diede notizia che il Brandeburgo aveva deciso di eliminare ogni riferimento ai massacri ottomani ed era rimasto l'ultimo Stato tedesco a parlarne in un testo scolastico; secondo Die Welt, era la mera conseguenza di pressioni esercitate da Ankara. Non meno triste che il negazionismo turco, a lungo, sia andato a braccetto con quella parte del mondo ebraico, appunto, ben decisa a sostenere l'unicità dell'Olocausto: Elie Wiesel e le più importanti organizzazioni ebraiche si ritirarono da un convegno internazionale giacché i suoi organizzatori avevano incluso anche il caso armeno nel programma. Nel gigantesco Holocaust Memorial di Washington, per pressioni turche e israeliane, ogni riferimento agli armeni era stato eliminato. Ma c'è anche un'altra realtà, per fortuna: ci sono studi e seminari anche israeliani dove i genocidi non vengono messi in contrapposizione bensì analizzati in parallelo, e il vice-ministro degli esteri israeliano Yossi Beillin, in Parlamento, nel 1994, affermò che lo sterminio degli armeni era stato un genocidio punto e basta. In Italia, in compenso, abbiamo l'Unità: nell'ottobre 2006 si scagliò contro la legge; e francese che tutelava gli anneni in quanto «finisce per relativizzare l'unicità dell'Olocausto». Eppure, dell'Olocausto, quel genocidio fu quasi concausa. Nel 1915, in piena Guerra mondiale, il regime dei Giovani Turchi fece deportare gran parte degli armeni di Turchia nelle lontane terre dell'Anatolia orientale: stiamo parlando del quaranta per cento della popolazione armena massacrata nel corso di poche settimane. Ebbene, svariate fonti storiche spiegano che Adolf Hitler, nel prefigurare lo sterminio degli ebrei, si ispirò chiaramente a quello degli Armeni, tanto da dire - il discorso fu pronunciato il 22 agosto 1939 - che nell'invadere la Polonia occorreva massacrare «uomini e donne e bambini» senza preoccuparsi di eventuali conseguenze future: «Chi mai si ricorda oggi», si chiese, «dei massacri degli Armeni?». Forse gli armeni. Nonostante i turchi. E nonostante Erdogan, quello delle «condoglianze». E nonostante il suo - di Erdogan - articolo 301 del Codice Penale, quello che vietava genericamente di offendere l'identità turca. Erdogan è lo stesso signore che il 14 aprile 2006 ordinò che gli alunni turchi scrivessero un tema sulle false affermazioni di genocidio riguardanti gli armeni, e che poi, non pago, indisse un concorso sul tema «La ribellione armena durante la prima guerra mondiale».

PECORE E CERVI
Erdogan è colui che giunse a far cambiare tutti i nomi degli animali che facevano riferimento all'Armenia: la pecora Ovis Armeniana diventava Ovis Anatolicus, il cervo Capreolus Armenus diventava Capreolus Cuprelus. Ora, però, siccome sembra interessato ad accordarsi con l'Armenia in chiave anti-russa, o chissà che altro, Erdogan si è alzato una mattina e ha fatto le condoglianze: «Quello che è successo durante la prima guerra mondiale è motivo di dolore per tutti». SI, ma occorrerebbe mettersi d'accordo su quello che è successo, almeno. Più ancora che le sofferenze degli armeni, il punto centrale resta la presenza o meno di premeditazione: se il regime dei Giovani Turchi, ossia, avesse organizzato intenzionalmente l'azione che portò centinaia di migliaia di uomini (e donne e bambini, sloggiati dalle loro case senza preavviso) a una penosa marcia della morte. Ma queste, in fondo, sono paturnie da impallinati sui diritti umani. A opporsi all'ingresso della Turchia in Europa (71 milioni di musulmani) del resto erano solo quattro gatti leghisti e comunisti, solo a poco tempo fa. Berlusconi magnificava «il grande amico» Erdogan, la sinistra faceva il pesce in barile, il Vaticano taceva per paura di ritorsioni contro i cristiani armeni. E i giornalisti? Nel novembre 2006 Napolitano andò ad Ankara e auspicò «l'ingresso della Turchia come Stato membro», ma gli inviati italiani gli fecero solo domande sul presidenzialismo. Intanto l'Herald Tribune e altri giornali del mondo si occupavano del caso Turchia per davvero, anche perché Ankara guardava apertamente all'Iran di Ahmadinejad e a una partnership militare con la Siria: le repressioni e i giri di vite contro la stampa, in Turchia, erano all'ordine del giorno. C'era Erdogan. C'è ancora

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