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La Stampa Rassegna Stampa
25.04.2014 Le reazioni a Gaza sull'accordo Fatah-Hamas
Reportage di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 25 aprile 2014
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Gaza, banchi vuoti e cambi di casacca 'Abu Mazen ci salverà'»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 25/04/2014, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo  "Gaza, banchi vuoti e cambi di casacca 'Abu Mazen ci salverà' ".

                                 
Maurizio Molinari           Abu Mazen                          Ismail Haniyhe

Kefiah a scacchi dell’Olp fra i banchi della verdura, immagini di Yasser Arafat dal macellaio e piccole tv sintonizzate sui canali di Ramallah: simboli e volti di Al Fatah riappaiono nel mercato Firas di Gaza, dove batte il cuore della Striscia che aspetta Abu Mazen come un salvatore all’indomani della sigla dell’accordo di riconciliazione con Hamas. «Ne abbiamo abbastanza di guerre e liti fra palestinesi, siamo alla fame» dice il verduraio Rafik Aljaruj, ammettendo di aver accolto l’intesa Hamas-Fatah «con la speranza di poter tornare a vivere dopo sette anni di impoverimento». Due banchi più in là Akram Jingiam, macellaio, indica sconsolato il corridoio centrale del mercato coperto dove, dal 1954, si vende e compra gran parte del cibo consumato a Gaza: «Guardate, è semivuoto, la Striscia è in ginocchio, non ci sono più soldi neanche per le uova, abbiamo bisogno di questa pace fra palestinesi, se Abu Mazen verrà qui lo abbracceremo». Il fruttivendolo Salman Atallah è più prudente: «Nessuno può dire come finirà questa intesa, c’è pessimismo in giro perché già in due occasioni le riconciliazioni sono fallite, dobbiamo solo sperare in Abu Mazen».

Se il popolo della Striscia aspetta il presidente palestinese come un salvatore è perché Hamas appare in ginocchio: la chiusura totale dei tunnel da parte dell’Egitto dei militari l’ha privata delle entrate «doganali», gli aiuti economici garantiti dai Fratelli musulmani di Mohamed Morsi sono svaniti, la Turchia e perfino il Qatar si sono allontanati. Il risultato è non poter pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici né quelli della polizia e ciò consente ai gruppi salafiti di guadagnare consenso popolare. «Se volete sapere perché Hamas dopo sette anni di rottura con Al Fatah ha scelto la riconciliazione - riassume Isra Almodalal, 23enne portavoce del governo palestinese nella Striscia - dovete guardare all’Egitto, ha avuto timore di implodere come i Fratelli Musulmani al Cairo e si è rivolta ad Abu Mazen».
Da qui l’intesa siglata giovedì su nuovo governo in 5 settimane e elezioni in 6 mesi così come l’annuncio sull’arrivo di Abu Mazen nella Striscia, per la prima volta dalla guerra civile del 2007, appena formato del nuovo esecutivo. Non si tratta tuttavia di un passaggio semplice. «Fatah e Hamas hanno concordato di affidare ad Abu Mazen la guida di un governo composto di esperti, tutti estranei ai partiti» spiega Talal Okal, commentatore di «Al Ayam» e possibile ministro. Si tratta dunque di scegliere i nomi «in maniera che siano accettabili a tutti, anche ad americani, egiziani e, sebbene nessuno lo ammetta, israeliani» aggiunge Okal, secondo cui «il governo sarà espressione dell’Autorità palestinese e dunque riconoscerà Israele come fatto da quelli precedenti». Hamas si limiterà a fare un passo indietro «lasciando ad Abu Mazen i negoziati» spiega il candidato-ministro, secondo cui «la prima cosa che dirà ad Israele è che l’uscita di scena di Hamas e l’arrivo delle forze palestinesi obbligano Israele a togliere il blocco a Gaza».
A Gerusalemme l’atmosfera è tutt’altra. Il governo di Benjamin Netanyahu sospende i colloqui con Abu Mazen «perché ha preferito Hamas alla pace», il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman assicura non «dialogheremo con i terroristi di Hamas» e Washington gli dà manforte con Jan Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato: «È assai difficile chiedere a Israele di negoziare con un’organizzazione come Hamas che ne invoca la distruzione». La replica arriva da Isra Almodalal: «Washington ha già fatto troppi danni ai palestinesi, deve smetterla di interferire, anziché continuare a difendere Israele dovrebbe porsi il problema di come porre fine alle sofferenze dei palestinesi». Il capo-negoziatore Saeb Erakat rincara la dose da Gerico: «Netanyahu ha usato la spaccatura fra Fatah e Hamas per evitare la pace, ora non avrà più scuse».
Il duello con l’amministrazione Obama è la prima prova da superare per il patto Fatah-Hamas anche se, a ben vedere, le maggiori urgenze sono sul fronte interno. «I tre argomenti che scottano - osserva uno dei negoziatori di Fatah impegnato nelle trattative all’hotel Moevenpick - sono chi pagherà gli stipendi dei dipendenti di Hamas, a chi risponderanno le Brigate Qassem di Hamas e come reagiranno i gruppi della resistenza armata, da Jihad a salafiti, che non vogliono deporre le armi». Nel tentativo di sciogliere il primo nodo Ismail Haniyeh, capo di Hamas a Gaza, ha telefonato alle sceicco del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani, ed al ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, per chiedere «fondi urgenti» a sostegno della riconciliazione. Ma non è tutto perché si riaprono anche le ferite della sanguinosa faida del 2007: i parenti delle vittime di Fatah uccise da Hamas contestano la scelta di Abu Mazen di «dimenticare i nostri morti» e inscenano sit in di protesta contro la riappacificazione «pagata col nostro sangue».

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