Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 24/04/2014, a pag.13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Abu Mazen si riconcilia con Hamas. L'ira di Israele: vogliono la guerra" e la sua intervista a Yossi Klein Halevi dal titolo "Con questa decisione il processo di pace è morto", dal GIORNALE, a pag. 17, l'articolo di Fiamma Nirensteindal titolo "L'intesa Olp-Hamas fa saltare i colloqui di pace" e da REPUBBLICA, a pag. 17, l'intervista di Fabio Scuto ad Avi Pazner dal titolo "E' una scelta di Abu Mazen ora trattare è più difficile".
Ecco gli articoli.
LA STAMPA – Maurizio Molinari - Abu Mazen si riconcilia con Hamas. L'ira di Israele: vogliono la guerra
A destra, Abu Mazen, Ismail Haniyeh
Maurizio Molinari
Hamas e Al Fatah siglano l’unità nazionale, Israele reagisce annullando l’incontro sul negoziato di pace e Washington avverte Abu Mazen: «Il nuovo esecutivo dovrà riconoscere lo Stato Ebraico altrimenti vi saranno conseguenze».
La svolta nei rapporti fra le due organizzazioni palestinesi arriva con una conferenza stampa a Gaza di Ismail Haniyeh, capo di Hamas. «Dopo sette anni di lotte e divisioni è il momento di unirci - dice - abbiamo scelto la riconciliazione per il bene comune». Pochi minuti dopo Haniyeh, il leader di Al Fatah Azzam al-Ahmad - inviato dal presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen - e un rappresentante della Jihad islamica firmato i documenti concordati a Doha e al Cairo. Prevedono che entro cinque settimane nascerà un «governo di unità nazionale» guidato da Abu Mazen o da Nasser al-Din al-Shaer, ex vicepremier di Hamas, che entro sei mesi si svolgeranno elezioni per i nuovi Parlamento e presidente, e che verranno liberati i reciproci prigionieri, detenuti dal giugno 2007 quando Hamas con un colpo di mano si impossessò della Striscia di Gaza, creando uno Stato de facto.
Resta da definire l’equilibrio del comando fra le forze di Hamas e dell’Autorità palestinese - di cui Al Fatah è la spina dorsale - ma Haniyeh assicura che «avverrà in tempi brevi». «Questo accordo è il risultato dell’intransigenza di Israele e delle bugie americane» afferma Azzam al-Ahmad mentre Hanyieh ne indica l’elemento centrale nella «difesa di Gerusalemme aggredita dalla giudaizzazione» che si spinge fino «a violare Haram el-Sharif», la Spianata delle moschee.
La prima reazione arriva dal premier israeliano Benjamin Netanyahu che tuona: «Con i negoziati di pace ancora in corso, Abu Mazen ha preferito la pace con Hamas a quella con Israele, ma non sono conciliabili. Chi sceglie Hamas, non vuole la pace». Il riferimento è al fatto che Hamas non riconosce Israele né gli accordi di Oslo, professa la lotta armata ed è stata inserita da Usa e Ue nella «lista nera» dei gruppi terroristici. Da qui la decisione di Netanyahu di annullare il prossimo incontro con i negoziatori palestinesi, in programma per tentare l’intesa sul prolungamento dei colloqui dopo l’imminente scadenza del 29 aprile.
Passa meno di un’ora e, mentre la folla palestinese festeggia nei centri urbani della Striscia di Gaza ed a Hebron in Cisgiordania, arriva la replica di Washington. È un alto funzionario, vicino al Segretario di Stato John Kerry, che parla: «Il nuovo governo palestinese dovrà riconoscere Israele, rinunciare alla violenza e fare propri gli accordi di pace siglati dall’Olp, altrimenti vi saranno conseguenze». Come dire: Abu Mazen deve riuscire a portare e Hamas al tavolo del negoziato, altrimenti rischia una crisi nei rapporti con gli Usa. Da qui il tentativo di Abu Mazen di rassicurare Kerry: «L’unità nazionale con Hamas non è in contrasto col negoziato con Israele».
In attesa di appurare se ciò sarà possibile è l’ala destra del governo israeliano a sentire il vento a favore. Il ministro dell’Economia Naftali Bennet definisce l’Autorità palestinese «la più grande organizzazione terroristica del mondo» rilanciando la richiesta di estendere la legge israeliana alla maggioranza degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. E intanto a Gaza si combatte: un missile israeliano manca un militante islamico, ferendo almeno tre passanti, in moto e Hamas reagisce lanciando tre razzi contro Ashkelon e il Negev.
LA STAMPA – Maurizio Molinari - Con questa decisione il processo di pace è morto
Yossi Klein Halevi
«Con questa decisione l’iniziativa di pace Usa è morta»: ad affermarlo è Yossi Klein Halevi, il politologo dell’«Hartman Institute» di Gerusalemme attento alle posizioni di Netanyahu.
Perché ritiene che il negoziato sia senza speranza?
«Hamas persegue la distruzione di Israele attraverso la lotta armata dunque è incompatibile con il negoziato. Abu Mazen scegliendo Hamas rifiuta la trattativa promossa da Obama».
Come spiega questa scelta?
«Sotto un certo punto di vista è anche comprensibile perché l’accordo fra Abu Mazen e Netanyahu non c’è. Ma è una brusca inversione di rotta dei palestinesi, che li allontana da un’America che li ha molto difesi durante il negoziato».
Abu Mazen tuttavia può affermare di essere riuscito a riunificare i palestinesi. Lo rafforzerà come leader?
«Non lo credo, perché l’intesa fra Al Fatah e Hamas è frutto di reciproche debolezze non di una comune scelta strategica».
Quali sono tali debolezze?
«Dopo il rovesciamento di Morsi in Egitto, Hamas ha perso il sostegno dei Fratelli Musulmani, il suo più importante alleato. È isolata. Abu Mazen aveva scommesso la leadership sul successo di un negoziato fallito, dunque anche lui è molto indebolito. È questa la genesi di un’intesa assai poco solida».
Eppure un governo di unità nazionale e l’impegno a far svolgere le elezioni sono risultati di rilievo...
«A contare di più è l’assenza dell’intesa sulla sorte delle forze di Hamas. Non è chiaro se saranno sottomesse al comando di Abu Mazen. Senza definirlo, tutto il resto appare assai a rischio».
Le politiche di Netanyahu hanno spinto Abu Mazen verso Hamas?
«I palestinesi accusano Israele di volersi appropriare della Spianata delle Moschee ma lo status di questo luogo santo resta quello definito fra Israele e Giordania. È un falso argomento».
IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein- L'intesa Olp-Hamas fa saltare i colloqui di pace
Fiamma Nirenstein
Le quinte del dramma Medio Orientale sono logore e rosse di sangue, ma non importa: siamo all'ennesima replica. Ieri Abu Mazen e Ismail Haniyeh, i leader di Fatah e di Hamas, hanno annunciato, fra esplosioni di gioia popolare, di essere pronti a unificare il popolo palestinese in un governo di coalizione. Da subito sarà "tecnico", e fra sei mesi elettivo, e cinque settimane dopo Hamas e la Jihad Islamica entreranno tutti a far parte dell'OLP. Questo significherà una radicalizzazione di tutti i palestinesi? La vittoria di Hamas su Abu Mazen, che molti prevedono?
Una rinnovata presa del vecchio Abu Mazen che ormai da sei anni non ha più mandato legale per governare? Intanto, bisogna vedere se l'accordo regge. Vedere Azzam al Ahmad (di Fatah) insieme a Hanijeh ricorda Abu Mazen con Khaled Mashal che firmano la pace nel 2007, dopo l'orribile bagno di sangue in cui i palestinesi linciarono, fucilarono, precipitarono dai tetti di Gaza altri palestinesi. Quel sangue era ancora fresco. E oggi, il contrasto è già nel modo in cui le due parti presentano l'accordo: Fatah parla di trattative con Israele. Hamas non ci sta. E' un'organizzazione terrorista e antisemita che mira per statuto alla distruzione di Israele, esclude le trattative e pensa a "una nuova strategia" dice Haniyeh. Meglio di lui parlano i missili sulla popolazione civile del sud di Israele.
Non stupisce dunque che all'annuncio Benjamin Netanyahu abbia detto che Abu Mazen deve decidere: preferisce fare la pace con Israele o con Hamas? Intanto Netanyahu ha convocato il Consiglio di Sicurezza e ha deciso di cancellare la riunione con i palestinesi prevista per ieri sera: gesti che potrebbero portare alla conclusione dell'attuale processo di pace. Anche se Abu Mazen nega ci sia una contraddizione tra la sua scelta di unità e la prosecuzione delle trattative. Il 29 di questo mese si conclude l'attuale tranche dei colloqui e Abu Mazen ha messo sul tavolo condizioni che Israele non può accettare a scatola chiusa: i confini del '67, Gerusalemme est come capitale, il rilascio di altri 1200 detenuti, fra cui non mancano molti pluriomicidi terroristi, e lo stop completo a ogni costruzione nei territori. Sono misure che mettono Israele in pericolo di vita. Abu Mazen, inoltre, non ha accettato la richiesta fondamentale di Netanyahu, ovvero riconoscere l'esistenza di Israele come Stato del popolo ebraico.
Abu Mazen, ha già siglato contro gli accordi la richiesta all'ONU di far parte di dodici commissioni, fra cui quella per i diritti umani che potrebbe consegnare Israele al tribunale per i crimini contro l'umanità. Adesso la mossa più audace: Abbas spera di poter controllare Hamas durante il prossimo match con Israele, perchè Israele resta un nemico; e per Haniyeh la speranza è che si apra l'orizzonte di un fronte palestinese estremista, tutto da gestire contro Israele.
La REPUBBLICA - Fabio Scuto - E' una scelta di Abu Mazen ora trattare è più difficile
Avi Pazner
Fabio Scuto
Sfrecciano nel cielo di Gaza i caccia con la Stella di David e colpiscono il loro obiettivo, mentre a terra si festeggia l’accordo di riconciliazione fra le due anime della Palestina. Non è certo un bel segnale: è insieme un avviso e una minaccia. Perché come ha detto il premier Benjamin Netanyahu tra Hamas e la pace, Abu Mazen alla fine ha scelto Hamas.
«È esattamente così. Il presidente dell’Anp aveva due scelte possibili, ha scelto Hamas e si vedono già i primi risultati. Abu Mazen sa perfettamente quali sono le sue priorità — spiega Avi Pazner, ambasciatore di lungo corso, è stato anche in Italia, ex portavoce del Ministero degli Esteri e consigliere di diversi primi ministri — sapeva benissimo che una decisione del genere non poteva rimanere senza conseguenze, la prima delle quali è la cancellazione di un incontro fra negoziatori che doveva tenersi stasera (ieri sera, ndr ) ». Quest’accordo di riconciliazione gela ogni possibilità di negoziato con la leadership palestinese?
«Difficile dirlo. Certo Hamas non riconosce l’esistenza dello Stato di Israele ed è difficile trattare con qualcuno che dice che non esisti. Noi abbiamo avuto la sensazione che Abu Mazen, in questa nuova tornata negoziale, non fosse interessato davvero ad un accordo, ma ha solo cercato di prendere tempo». Vuol dire che il presidente palestinese ha privilegiato gli equilibri interni a un vero negoziato di pace?
«Non sappiamo cosa esattamente sia accaduto all’interno, conosciamo però il risultato e non è un buon risultato. A questo punto ciascuno può agire per conto proprio e per i propri esclusivi interessi, anche unilateralmente».
Anche gli Stati Uniti vedono svanire un negoziato su cui avevano puntato molto...
«Guardi non è mai detta l’ultima parola, ci sono ancora due settimane di “finestra” per poter trattare, ma evidentemente la situazione è diventata ancor più complessa».
Abu Mazen dice che non c’è contraddizione fra i due elementi, l’intesa con Hamas e il negoziato di pace, e adesso dopo mesi di stallo in politica interna sembra voler procedere velocemente: governo di unità nazionale, elezioni in cinque mesi.
«Si nota effettivamente una certa fretta. Lui probabilmente pensa di vincere le elezioni, se ci saranno. È un politico navigato, ma ha un’età e il tempo a disposizione per affrontare grandi mutamenti non sembra poi molto».
Si è molto parlato di faide interne all’Anp. Con una leadership palestinese diversa sarebbe più facile per Israele trovare un’intesa?
«Nella nostra Terra non ci sono più profeti da oltre duemila anni».
Per inviare la propria opinione a Stampa, Giornale e Repubblica cliccare sulle e-mail sottostanti