Ayaan Hirsi Ali come Brendan Eich ? Un accostamento inaccettabile tra chi difende i diritti e chi li nega
Testata: Il Foglio Data: 15 aprile 2014 Pagina: 1 Autore: Ayaan Hirsi Ali - la redazione Titolo: «La spietata verità - Non chiamatela libertà d’opinione»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/04/2014, a pagina 1/ 2, l'articolo di Ayaan Hirsi Ali dal titolo "La spietata verità", e a pagina 3 l'editoriale dal titolo "Non chiamatela libertà di opinione".
L'editoriale istituisce un inaccettabile paragone tra Ayaan Hirsi Ali, discriminata per la sua difesa della libertà e dei diritti, e Brendan Eich, licenziato da Mozilla per le sue posizioni omofobe, dunque per la sua opposizione alla libertà e ai diritti.
Ecco il testo del discorso di Hirsi Ali:
Ayaan Hirsi Ali
Un anno fa la città di Boston era ancora in lutto. Alle famiglie che una settimana prima avevano figli e fratelli da abbracciare erano rimaste solo le fotografie e i ricordi. Altri erano ancora davanti ai letti degli ospedali a guardare giovani uomini, ragazze, bambini affrontare operazioni chirurgiche dolorose e menomazioni permanenti. Tutto questo perché due fratelli, influenzati da siti internet jihadisti, hanno deciso di lasciare vicino alla linea d’arrivo di uno degli eventi più importanti dello sport americano, la maratona di Boston, due bombe fatte a mano nascoste dentro a degli zaini. Tutti voi della classe del 2014 non dimenticherete mai quel giorno e i giorni successivi. Non dimenticherete mai il momento in cui avete appreso la notizia, dove eravate o cosa stavate facendo. E quando ritornerete qui, tra 10, 15 o 25 anni, vi tornerà tutto in mente. La bomba è esplosa appena a 10 miglia dal campus. Tempo fa ho letto un articolo che diceva che gli adulti non hanno molti ricordi della loro vita prima degli otto anni. Questo significa che uno dei vostri primi ricordi potrebbe essere la mattina dell’11 settembre. Voi meritate ricordi migliori dell’undici settembre e dell’attentato alla maratona di Boston. E non siete i soli. In Siria almeno 120 mila persone sono state uccise, non in battaglia, ma in massacri di massa, a causa di una guerra civile che si combatte sempre più sul filo della divisione settaria. La violenza sta aumentando in Iraq, Libano, Libia, Egitto. Molto più di quanto non fosse quando voi siete nati, oggi la violenza è concentrata soprattutto nel mondo musulmano. Un’altra caratteristica dei paesi che ho appena nominato, e del medio oriente in generale, è che la violenza contro le donne sta aumentando. In Arabia Saudita c’è stato un aumento notevole nella pratica della mutilazione genitale femminile. In Egitto ci sono fino a 80 casi di violenza sessuale al giorno e il 99 per cento delle donne dice di aver subìto molestie. E’ preoccupante soprattutto il modo in cui la legislazione conferma lo status delle donne come cittadine di second’ordine. In Iraq è stata proposta una legge che abbassa a 9 anni l’età minima per il matrimonio delle bambine. Questa legge dà al marito il diritto di negare a sua moglie il permesso di uscire di casa. Questo elenco di diritti è tristemente lungo. Spero di parlare a nome di molti quando dico che questo non è il mondo che la mia generazione sperava di lasciarvi in eredità. Quando siete nati l’occidente era in trionfo, il comunismo sovietico era appena stato sconfitto. Una coalizione internazionale aveva cacciato Saddam Hussein dal Kuwait. La missione successiva delle Forze armate americane sarebbe stata contro la carestia nella mia terra natale, la Somalia. Non esisteva un dipartimento della Sicurezza interna e pochi americani parlavano di terrorismo. Vent’anni fa nemmeno il più cinico dei pessimisti avrebbe anticipato tutto quello che è andato storto nella parte del mondo in cui sono nata. Dopo così tante vittorie per il femminismo in occidente, nessuno avrebbe previsto che i diritti basilari delle donne sarebbero stati ridotti in moltissimi paesi mentre il Ventesimo secolo lasciava spazio al Ventunesimo. Oggi tuttavia parlerò di un futuro migliore, perché penso che il pendolo abbia già oscillato troppo dalla parte sbagliata. Quando vedo milioni di donne in Afghanistan sfidare le minacce dei talebani e mettersi in fila per votare; quando vedo le donne in Arabia Saudita sfidare l’assurdo divieto di guidare; e quando vedo le donne tunisine celebrare l’arresto di un gruppo di poliziotti per un atroce stupro di gruppo, mi sento più ottimista di quanto non fossi qualche anno fa.La mal definita primavera araba è stata una rivoluzione piena di delusioni. Penso tuttavia che abbia creato l’opportunità di sfidare le forme di autorità tradizionale – compresa l’autorità patriarcale –, e perfino di mettere in discussione le giustificazioni religiose per l’oppressione delle donne. Ma per soddisfare questa opportunità, noi occidentali dobbiamo offrire la giusta dose di aiuto. Esattamente come la città di Boston un tempo è stata la culla di un nuovo ideale di libertà, dobbiamo ritornare alle nostre radici diventando ancora una volta il faro del libero pensiero e della libertà del Ventunesimo secolo. Davanti a un’ingiustizia dobbiamo reagire, non soltanto con la condanna, ma con azioni concrete. Uno dei posti migliori per farlo è nei nostri istituti di istruzione superiore. Dobbiamo rendere le nostre università dei templi non dell’ortodossia dogmatica, ma del vero pensiero critico, dove tutte le idee sono le benvenute e dove il dibattito civile è incoraggiato. Sono abituata a essere fischiata nelle università, per cui sono grata dell’opportunità di potervi parlare oggi. Non mi aspetto che tutti voi siate d’accordo con me, ma apprezzo tantissimo la vostra apertura all’ascolto. Sono qui davanti a voi come qualcuno che sta combattendo per i diritti delle donne e delle ragazze in tutto il mondo. E sono davanti a voi come qualcuno che non è spaventato di fare domande scomode sul ruolo della religione in questa battaglia. La connessione tra la violenza, soprattutto la violenza contro le donne, e l’islam è troppo chiara per essere ignorata. Non aiutiamo gli studenti, le università, gli atei e i credenti quando chiudiamo gli occhi davanti a questa connessione, quando cerchiamo scuse anziché riflettere. Per questo chiedo: il concetto di guerra santa è compatibile con il nostro ideale di tolleranza religiosa? E’ blasfemia – punibile con la morte – mettere in discussione l’applicazione alla nostra èra di certe dottrine risalenti al Settimo secolo? Sia il cristianesimo sia l’ebraismo hanno avuto le loro riforme. E’ arrivato il tempo anche per una riforma dell’islam. Queste argomentazioni sono inammissibili? Di certo non dovrebbero esserlo in un’università che è stata fondata dopo lo scandalo dell’Olocausto in un tempo in cui molte università americane ancora imponevano restrizioni agli studenti ebrei. Il motto della Brandeis University è “La verità, anche quella più inaccessibile”. E’ anche il mio motto. Perché è solo mediante la verità, la verità spietata, che la vostra generazione può sperare di fare meglio della mia nella lotta per la pace, la libertà e l’uguaglianza dei sessi.
Ecco l'editoriale del FOGLIO
Brendan Eich Il logo di Mozilla
In una società seriamente impegnata nella difesa del pluralismo si può perfino arrivare a rispettare le aziende che cacciano un amministratore delegato fresco di nomina reo di avere in testa opinioni difformi rispetto al consenso prevalente in fatto di sessualità e famiglia, oppure si può difendere l’università che ritira la laurea honoris causa a un’attivista, scrittrice e musa liberale che si rifiuta di sguazzare nello stagno del politicamente corretto quando si parla dell’islam e delle sue derive fanatiche. Quel che invece non si può rispettare, poiché radicalmente disonesto, è che certe opinioni vengano castigate nel nome della libertà d’opinione e del pluralismo delle differenze. Vogliamo difendere la libertà di Mozilla di cacciare Brendan Eich perché ha idee lontane dal coro conformista della Silicon Valley? D’accordo, ma non diciamo poi che “la cultura dell’organizzazione riflette la diversità e l’inclusività”, come ha fatto Mozilla nel suo comunicato; non usiamo la foglia di fico del pluralismo per coprire malamente un’agenda politica e culturale che avanza con fervore militante. Che poi è la stessa agenda che ha fatto saltare il riconoscimento di Ayaan Hirsi Ali all’università ultra liberal Brandeis. La parola “islam” non compare nemmeno nella nota con cui questa istituzione “definita dalla libera espressione in tutta la sua storia” ha liquidato la controversia. Ross Douthat, columnist conservatore del New York Times, ha esplorato con intelligenza questa “autoillusione” dell’ideologia liberal che spaccia il suo programma per perfetta neutralità o pluralismo universale. Douthat aveva già spiegato il meccanismo dell’ipocrisia attraverso l’articolo di una studentessa di Harvard di nome Sandra Y. L. Korn, che suggeriva alla sua università, e in generale all’accademia, di piantarla con la difesa formale della libertà di pensiero e stabilire quali idee si possono legittimamente esprimere e quali vanno bandite a priori. Korn semplicemente suggerisce di dichiarare esplicitamente ciò che i centri di potere e le fucine intellettuali dell’élite americana praticano in modo sistematico, verniciando però la propria ideologia con l’infingardo argomento del pluralismo e dell’universale diritto di opinione.
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