Pace con l’Egitto: 35 anni di speranze, opportunità perdute e un incerto futuro Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
Sadat, Mubarak, Al Sisi
Il mese scorso sono trascorsi 35 anni esatti dal trattato di pace tra Israele e Egitto. Da un lato si sono susseguite una serie di crisi, dall’altra non si è mai giunti a ottenere una speranza per un maggiore sviluppo nelle relazioni tra i due paesi, per non dire tra Israele e il mondo arabo.
Ci fu invece l’espulsione dell’Egitto dalla Lega Araba, che trasferì la propria sede dal Cairo a Tunisi. La classe dirigente egiziana non aprì le braccia alla pace: l’allora ministro degli esteri Ismail Fahmy – coincidenza vuole che sia il padre dell’attuale ministro degli esteri Nabil Fahmy – si dimise per protesta. E gli egiziani non accolsero con calore i loro vicini israeliani. Le relazioni fra i due paesi si svolsero a livello governativo. Durante la sua lunga permanenza al potere il presidente Mubarak non tentò mai di porre fine agli ostacoli psicologici, culturali e religiosi che impedivano rapporti più profondi. Eppure una cooperazione economica, culturale e scientifica avrebbe garantito stabilità nella regione, così come il progresso e migliori condizioni di vita; avrebbe attratto investimenti stranieri e tecnologia con grande vantaggio per entrambi i paesi. Infine avrebbe spinto altri paesi arabi a modificare il loro atteggiamento.
Da documenti pubblicati recentemente che riguardano i negoziati tra egiziani e israeliani negli anni 1977/1979: precisamente quanto si augurava il presidente Sadat, che aveva dichiarato “ Dobbiamo trovare il modo per dimostrare che siamo più che amici; i nostri due popoli e le nostre due religioni hanno molto in comune”. Mubarak, diventato presidente dopo aver assistito all’assassinio di Sadat, non cercò mai di fare di più se non “ considerare la pace per quel che era”, promosse le relazioni con gli Stati Uniti mentre limitava i contatti con Israele, per giungere poi a quella che fu definita “pace fredda”.
Non era favorevole a una cooperazione economica e industriale su larga scala, anche se favorì due progetti: la costruzione di una raffineria di petrolio a Alessandria, e un gasdotto che riforniva gas naturale a Israele. Per quanto importanti fossero i due progetti, realizzati da compagnie egiziane e israeliane, nulla avevano a che vedere con la vita quotidiana degli egiziani e non contribuirono a normalizzare i rapporti fra i due paesi.
Questo spiega perché oggi non esistono più. La raffineria è stata venduta al Kuweit, il gasdotto non è più in funzione dopo 14 attentati avvenuti dopo la caduta di Mubarak, mentre il Consiglio Supremo delle Forze Armate tentava inutilmente di impedire gli attentati. Fornire gas a Israele veniva giudicato da molti come una forma di odiata normalizzazione, per l’Egitto era meglio farne a meno. La preoccupazione principale di Mubarak era restaurare i legami con la Lega Araba, ma non secondo la visione di Sadat, che avrebbe voluto semmai che fosse la Lega a chiedere all’Egitto di rientrare. La Lega puntualmente permise il rientro dell’Egitto nell’ovile nel 1989, quando vide che la pace con Israele era ai minimi livelli. Mubarak ha potuto vantarsi di “ avere riportato l’Egitto nel giusto posto nel mondo arabo”, ma non fece nulla per lo sviluppo economico e sociale del paese. Infine, il mancato sviluppo gli fece perdere il potere dopo un regime durato 30 anni.
La pace ebbe invece un eccezionale successo nel campo dell’agricoltura. Grazie alla determinazione di Yusef Wali, un devoto musulmano che era ministro dell’agricoltura e che credeva nella reciprocità delle due religioni, ci fu una cooperazione mai vista prima con Israele negli anni’80 e ’90. Israele insegnò all’Egitto le tecniche di irrigazione a goccia e come far crescere frutta e verdure su terreni desertici. Esperti israeliani arrivarono in Egitto, vennero create fattorie modello e migliaia di giovani egiziani vennero ospitati al Kibbutz Bror Hail per apprendere le tecniche agricole più avanzate. Il risultato fu una rivoluzione, perché l’Egitto divenne quasi auto-sufficiente nella produzione di frutta e verdure. Questa importante cooperazione avvenne nella massima discrezione, quasi in segreto, perché contraddiceva la politica della ‘pace fredda’ ed era osteggiata fortemente dal partito Wafd, dal partito di sinistra Tagammu e dalla Fratellanza Musulmana. Tutti accusavano Israele di “ avvelenare il terreno egiziano attraverso l’irrigazione a goccia “ e di vendere fertilizzanti contaminati ai contadini egiziani.
Dopo la rivoluzione Yusuf Wali è stato imprigionato con l’accusa di corruzione.
Malgrado tutto, questa pace fredda ha resistito attraverso due intifade, due guerre in Libano e due pesanti conflitti con Hamas. L’Egitto ha richiamato tre volte gli ambasciatori per evidenziare il proprio disaccordo, ma non si è mai spinto oltre. Sebbene il Cairo stia dalla parte della causa palestinese, il conflitto ha coinvolto il paese in cinque guerre con Israele senza risultati di rilievo. Anche i Fratelli Musulmani, durante il breve periodo del loro governo, non ruppero i legami diplomatici con Israele, mandarono persino un nuovo ambasciatore a Tel Aviv (venne richiamato solo durante l’operazione ‘scudo di difesa’).
Detto questo, probabilmente avrebbero cambiato politica una volta che la dittatura islamica fosse stata proclamata, come era nel loro piano fin dall’inizio.
Cosa succederà ora ? Gli egiziani sono stanchi del caos dopo tre anni di manifestazioni di massa, un’economia fuori controllo e una crescente insicurezza. La maggioranza ripone le proprie speranze in Abdel Fattah Al Sisi, il nuovo uomo forte d’Egitto e il candidato più vicino a vincere le prossime elezioni presidenziali che si terranno a fine maggio.
Ma Sisi sa, comunque, che la loro fiducia non è illimitata. Se non riuscirà a rimettere in sesto l’economia entro un anno o due o creare una nuova dittatura militare, si troverà nella stessa situazione di Mubarak e Morsi.
Israele per ora non è un problema, la pace fredda continua. Entrambi i paesi cooperano nella guerra al terrorismo islamico, particolarmente nella penisola del Sinai e contro i tentativi di Hamas di destabilizzare il paese. Lo scambio di informazioni di intelligence è fondamentale; Israele ha concesso all’Egitto di trasferire nel Sinai più truppe di quante erano previste nel trattato di pace.
Se Sisi verrà eletto, come tutti prevedono, dovrà decidere se proseguire con la pace fredda come prima oppure assumere la rilevante decisione di promuovere la cooperazione con Israele che porterà grandi benefici a entrambi i paesi.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta