Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/04/2014, a pag. 45, una lettera seguita dalla risposta di Sergio Romano, dal titolo "Le molte previsioni sbagliate sui risultati delle elezioni turche".
Descrivendo un paese arretrato, pronto a condonare a Erdogan autoritarismo e corruzione, Romano contraddice la tesi, da lui sempre sostenuta, che l'ingresso della Turchia in Europa porterebbe solo benefici.
Erdogan, a differenza di un leader laico come Kemal, a cui Romano lo paragona, non è solo un musulmano, ma il portatore di una visione integralista dell'islam.
Di fronte alle sue reiterate vittorie elettorali, Romano non smentisce - e come potrebbe ?- la sua tesi sull'ingresso della Turchia in Europa, ma cerca un'impossibile via d'uscita.
Ecco il testo:
Sergio Romano Recep Tayyp Erdogan
Kemal Ataturk
La lettera al Corriere:
Sono rimasto stupito dalla nota sul reprobo Erdogan.
Il suo giudizio abitualmente corretto ed equilibrato
mi è parso lasciare il posto a espressioni forti e
trancianti, quasi da persona schierata e moralista
Osmano Roveda
La risposta di Sergio Romano:
Caro Roveda,
Suppongo che lei si riferisca al passaggio di un articolo sulla Turchia (Corriere del 27 marzo) in cui ho scritto, prima delle elezioni, che «il nuovo Sultano» era «ferito, forse azzoppato». «Ferito» mi sembra ancora la parola che può meglio spiegare le rabbiose reazioni alla campagna contro la sua persona nelle settimane precedenti e l’ammonimento («saranno puniti») che ha lanciato al Paese dopo la vittoria. «Azzoppato», invece, è chiaramente sbagliato. Nonostante il testa a testa fra i due candidati di Ankara e, forse, qualche irregolarità nelle procedure di voto, Erdogan ha riportato una indiscutibile vittoria. L’errore non è soltanto mio, ma è certamente un errore, e occorre cercare di capire perché sia stato commesso. Credo che le ragioni siano almeno due.
In primo luogo abbiamo applicato alla crisi i criteri astratti dell’ortodossia democratica: se vi è corruzione, il popolo non può che essere indignato e severo. Abbiamo dimenticato che l’elettore fa le sue scelte sulla base di considerazioni non sempre razionali. Prova sentimenti di simpatia e antipatia, è attratto dallo stile di un candidato e respinto da quello di un altro, perdona i peccati della persona che ispira la sua fiducia, vota Tizio per impedire la vittoria di Sempronio. Non può sorprendersi del trionfo di Erdogan l’italiano che ha assistito alla lunga parabola di Silvio Berlusconi nel corso di due decenni; non può sorprendersene il francese che assiste al ritorno in scena di Nicolas Sarkozy nonostante i sospetti sulla provenienza del denaro che ha finanziato le sue campagne elettorali.
In secondo luogo abbiamo sottovalutato l’importanza di una Turchia profonda, soprattutto anatolica, che è molto grata a Erdogan per la sua politica sociale, per il sostegno fornito alla piccola e media industria, per la lunga crescita del Paese negli anni del suo governo, per la riforma sanitaria e il considerevole miglioramento del livello di vita. Gli è grata, incidentalmente, anche perché Erdogan è musulmano, vuole restaurare le antiche tradizioni, non guarda il popolo dei fedeli dall’alto in basso come l’intellighenzia laica di Istanbul e di Smirne. Il fatto che sia autoritario, irritabile e intollerante non è considerato un difetto, ma, in alcune circostanze, una qualità. Paradossalmente Erdogan è ammirato e rispettato nel suo Paese con sentimenti molto simili a quelli di cui beneficiò Kemal Atatürk quando creò la Turchia moderna. Kemal era laico, Erdogan è musulmano. Ma il brusco stile dei loro governi è molto simile.
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