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Ugo Volli
Cartoline
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Il viaggio 31/03/2014

Il viaggio
Cartoline da Israele, di Ugo Volli

Un viaggio in Israele inizia sempre dall'aereo. Una volta erano le navi a portare gli immigrati al porto di Haifa e a tenerli collegati con l'Europa, ma oggi l'ingresso nello stato ebraico avviene dall'aeroporto Ben Gurion, o, se uno vola con El Al, dal primo contatto con la compagnia di bandiera israeliana. Questo avviene ben prima dell'imbarco, in quel rituale dell'interrogatorio di sicurezza che non manca mai all'uscita dal Ben Gurion e anche al check in degli aerei El Al. Chi fa le domande sono per lo più ragazzi e ragazze, dall'aria un po' ispida un po' cordiale, a tratti severa, a tratti apparentemente ingenua. Chiedono le cose più ovvie per scoprire un pericolo, se hai fatto la valigia da solo o qualcuno ci ha messo le mani e avrebbe potuto magari infilarci una bomba, o se qualcuno ti ha affibbiato un pacchetto da portare in Israele. Ma poi vogliono sapere da dove vieni, che scuole hai fatto, che percorso farai in Israele. Cose così, che sembrano chiacchiere e invece sono sondaggi psicologici per vedere se vien fuori la tensione di chi mente. Se esamini la procedura, capisci di essere già sotto la protezione dell'antiterrorismo israeliano. Quando poi sali sull'aereo ti accoglie un'ospitalità calorosa e concreta e il senso di essere già in Israele.

Dopo tre ore o poco più d'improvviso appare la costa, una striscia di sabbia con dietro i grattacieli di Tel Aviv. L'aereo si abbassa con virate strette sulle colline. Appena più in là si vedono i territori amministrati dall'Autorità Palestinese, con un confine netto che segue la discontinuità fra boschi e campi e capannoni industriali e le colline brulle punteggiate da villaggi bianchi. Non si può non pensare che ci sono meno di otto chilometri in linea d'aria fra l'unica porta internazionale di Israele e gli avamposti che potrebbero essere occupati domani dai terroristi, se non glielo impedisse la sicurezza israeliana: due ore a piedi, dieci minuti di macchina, pochi secondi di un razzo che si può lanciare anche da un'arma a spalla.


Tel Aviv

Sono riflessioni allarmanti e si è già nel grande spazio bianco del Terminal: colonne ramificate in alto come l'attacco di una chioma di un albero, l'affaccio sulla fontana che rallegra la grande hall delle partenze, la discesa quasi ripida che ti invita a correre verso Israele, poi la coda dei passaporti, disciplinata e disordinata assieme, in cui viene naturale guardare la grande differenza di chi arriva: qualche prete, qualche “ultraortodosso” tutto nero con moglie e pargoli al seguito, un rabbino elegante col suo borsalino, turisti americani troppo nutriti, orientali, arabi, parecchi francesi, naturalmente moltissimi israeliani con l'aria un po' sollevata di chi torna a casa... Non c'è più l'interrogazione di sicurezza, anche il visto è diventato un foglietto a parte, tutto è computerizzato, si arriva in fretta fra la folla in attesa, che fa a gara ad attirare l'attenzione un po' vaga di chi arriva e cerca facce amiche, ma è sperduto per la stanchezza, il rumore, la barriera fitta della gente.

Dieci chilometri dopo l'aeroporto ecco Tel Aviv, ancora una scossa di vita quasi troppo affollata: la grande mole dei grattacieli, ma sotto i negozietti, i marciapiedi un po' sconnessi e pieni di gente, l'autostrada a otto corsie che ti lascia in un dedalo di viuzze con case bianche Bauhaus, alberi, fiori, ancora gente, qualche scorcio conosciuto o riconosciuto. Finalmente rivedi il mare, che dal basso è un grande animale scuro e vivo con la striscia rossa del sole al tramonto. C'è una felicità tutta particolare nel tornare in questa città, il senso di un posto così pieno di traiettorie che anche la tua ci può stare e così ricco di convinzione che ti porta con sé dove vuoi. Ti viene subito voglia di fare una corsa sul lungomare, di comprare delle verdure in uno dei negozietti sempre aperti, magari di sognare la borsa dei diamanti, il museo d'arte contemporanea, la fondazione della città un secolo fa. Ma vai a mangiare, non è difficile trovare humus e felafel. E poi, che tu ne abbia l'età o meno, la tentazione di andare in giro e assorbire un po' dell'incredibile energia di questa città è così forte che è impossibile non cedere almeno un po'.

Ugo Volli 


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