La preghiera degli Ebrei nelle fondamenta del Tempio Reportage di Maurizio Molinari
Testata: La Stampa Data: 30 marzo 2014 Pagina: 12 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Nella Gerusalemme del sottosuolo tra fedeli e turisti Indiana Jones»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/03/2014, da pagina 12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Nella Gerusalemme del sottosuolo tra fedeli e turisti Indiana Jones":
Maurizio Molinari Tunnel del Muro del Tempio
Per sentir battere il cuore di Gerusalemme bisogna entrare nelle sue viscere ovvero passeggiare nei tunnel sotterranei assieme al popolo di fedeli e curiosi che li frequenta per le ragioni più disparate. Scavati da generazioni di archeologi incuranti di conflitti e conquiste, risalenti alla genesi della città oltre 3000 anni fa e oggetto di roventi diatribe politiche fra israeliani e palestinesi, i tunnel accolgono chiunque desidera immergersi in una dimensione della Storia dove il passato è immanente. Sin dalle prime ore del mattino piccoli gruppi di ebrei ortodossi, uomini e donne, scendono i gradini del Minheret HaKote che li portano nel tunnel che costeggia il Muro Occidentale dell’antico Tempio di Erode. È la continuazione del Muro del Pianto. Ma rispetto ai circa 60 metri all’aria aperta questi sono 485 metri scavati sotto il quartiere arabo, consentono di toccare la pietra più grande del Secondo Tempio - circa 570 tonnellate di peso - distrutto dalle legioni di Tito e di arrivare nel luogo più vicino a dove l’archeologo Dan Bahat ritiene che si trovasse il Santuario. È questo il motivo per cui gli ebrei ortodossi hanno ricavato fra le impalcature di legno alcuni piccoli spazi nei quali pregare, separatamente, rivolti verso il luogo considerato più sacro dall’ebraismo. Luci basse, sedie di plastica bianca, piccoli libri di preghiera e un silenzio assordante distinguono questi mini-luoghi di fede, dove gli ortodossi non si accorgono neanche dei gruppi di turisti e appassionati di ogni possibile origine che quasi li toccano fisicamente attraversando con foga, e armati di smartphone, cunicoli angusti e imprevedibili. Uscendo dal tunnel ci si ritrova nei pressi della Via Dolorosa, nel quartiere cristiano. Bastano dieci minuti a piedi per uscire dalla Porta di Damasco e trovarsi davanti all’entrata della Grotta di Zedekia. Si tratta di 20 mila mq, che scendono fino ad un massimo di 10 metri sotto il suolo, in un luogo dove la tradizione vuole che re Salomone fece estrarre il calcare necessario per la costruzione del Primo Tempio. Nei secoli queste grotte, forse perché segnate da un’origine misteriosa, sono diventate il punto di incontro dei massoni. Tutto iniziò quando la prima Loggia della Terra Santa vi celebrò la riunione inaugurale, il 7 maggio 1873. Forse non è un caso che lungo questo percorso, segnato dall’acqua che gocciola inarrestabile da soffitti sopra i quali c’è il quartiere musulmano della Città Vecchia, si incontrano le persone più diverse: donne vestite in abiti lunghi bianchi come se dovessero andare a una cena di gala, uomini attempati con i cappelli alla Indiana Jones e giovani un po’ disorientati, quasi tutti europei e nordamericani. È un angolo della città dove il Medio Oriente sembra restare sull’uscio. Ovvero l’esatto opposto di quanto avviene nel sottosuolo della Città di David, la collina a Sud dell’Antico Monte del Tempio - dove oggi si trova la Spianata della Moschea - sulla quale i gevusei costruirono il primo insediamento fra le valli di Hinnom e Kidron. Qui siamo fuori dalle mura della Città Vecchia e il tunnel cananeo e di Ezechia consentono di scendere, su percorsi asciutti e bagnati, fino all’acqua che sgorga dalla fonte di Gihon ovvero il motivo per cui fu possibile il primo insediamento umano, forse 3500 anni fa. I 70 cm di altezza dell’acqua sotterranea spiegano perché i gevusei si accamparono nel luogo dove il re David avrebbe costruito il suo palazzo dando vita a una sovrapposizione fra fede, tradizione e leggenda che accomuna le tre grandi fedi monoteistiche. A popolare questi tunnel angusti dove sembra esserci più acqua che aria è una moltitudine di individui dalle origini più diverse: gli studenti di scuole rabbiniche arrivano dotati di lumini da minatore legati al capo per farsi largo nell’oscurità con un’enfasi che stride con il silenzio impenetrabile dei turisti cinesi cristiani che, uno a uno, con pazienza e meticolosità sembrano voler toccare ogni centimetro delle pareti del tunnel. Quasi per impossessarsene. E poi ci sono i russi. Cristiano-ordodossi o ebrei, uomini e donne, hanno quasi tutti abiti firmati e guide private. Si muovono in gruppi ristretti, spesso di due sole persone. Guardano turisti e scolaresche con evidente distacco. Sembrano vivere il tunnel come una sorta di safari per vip fra i tesori dell’antichità. Al ritorno in superficie i contrasti del Medio Oriente si impongono immediati, mozzafiato: il grappolo di case ebraiche di Shiloach incastonate dentro la moltitudine umana del quartiere arabo di Silwan riassume l’aspro conflitto politico che circonda i tunnel. I leader arabi li considerano uno strumento per imporre la «giudaizzazione» di Gerusalemme mentre per gli archeologi israeliani sono uno strumento teso a recuperare un patrimonio dell’umanità. Quale che sia l’opinione su tale lacerante disputa, il variegato popolo dei tunnel continua incrociarsi sotto il suolo di Gerusalemme, attratto dal mistero di come tutto ebbe inizio.
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