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La Stampa Rassegna Stampa
23.03.2014 Il progetto autoritario di Erdogan
Maurizio Molinari intervista Robert Kaplan

Testata: La Stampa
Data: 23 marzo 2014
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «'Erdogan insegue il suo potere non la democrazia'»

Da LA STAMPA di oggi, 23/03/2014, a pag. 15, riportiamo l'intervista di Maurizio Molinari a Robert Kaplan, dal titolo 'Erdogan insegue il suo potere non la democrazia'.



Maurizio Molinari          Robert Kaplan     Recep T. Erdogan

Il blocco di Twitter svela la tendenza di Recep Tayyip Erdogan ad esercitare una versione autoritaria del potere»: ad affermarlo è Robert Kaplan, lo stratega di Stratfor, apprezzato analista di geopolitica dagli ultimi due presidenti degli Stati Uniti nonché autore del volume «The Revenge of Geography» (La rivincita della geografia) in cui esamina la dinamica dei nuovi conflitti.
Perché il premier turco ha bloccato l’uso di Twitter?
«Non c’è alcun dubbio sul fatto che Erdogan sia stato eletto democraticamente ma è anche vero che ha sempre avuto una tendenza autoritaria e tale decisione la evidenzia».
Da dove nasce questa tendenza all’autoritarismo?
«Dall’idea di voler imporre il proprio potere sugli altri esistenti in Turchia. Erdogan ha indebolito il potere militare, tradizionale pilastro del modello turco, ed ora sta facendo lo stesso con i giudici, accusandoli di complotti ai suoi danni. L’idea di Stato che Erdogan persegue è incentrata sul suo potere, non sull’equilibrio democratico fra i poteri in Turchia. Sembra essere convinto della simbiosi fra la Turchia e se stesso: non tollera chi si frappone ai suoi disegni politici e personali».
Perché i turchi sembrano non accettare più tali eccessi di Erdogan, scendendo in piazza o continuando a twittare?
«È stato il periodo di crescita economica che ha consolidato Erdogan, gli ha consentito di puntellare una gestione del potere personalizzata. Per alcuni anni i turchi hanno vissuto in un benessere che ha consentito a Erdogan di operare con grande libertà su più fronti. Ma ora questo boom economico si è affievolito, il Pil oscilla e dunque anche la tolleranza popolare per l’autoritarismo di Erdogan diminuisce».
Crede che il premier sia consapevole di questa erosione di popolarità?
«Dopo dieci anni di potere ogni leader democraticamente eletto barcolla. È una legge non scritta ma che si ripete spesso. Basta ricordare che Margaret Thatcher in Gran Bretagna non superò gli 11 anni consecutivi di governo. In Turchia siamo assistendo all’affermarsi di questa stanchezza popolare nei confronti del premier in carica. Ed è proprio perché Erdogan se ne rende conto che diventa più autoritario, come il blocco di Twitter ha dimostrato. Erdogan si scaglia contro tutto e tutti, mostrandosi convinto che l’aggressività gli consentirà di restare a galla».
Insomma la Turchia è un Paese in bilico...
«La Turchia oggi è una quasi-democrazia perché Erdogan non rispetta gli altri poteri dello Stato e tantomeno rispetta la libertà di espressione dei cittadini».
Questo significa che la sua parabola politica sta finendo?
«È presto per dirlo perché nonostante errori ed eccessi di Erdogan il fronte dell’opposizione resta diviso, frammentato, incapace di esprimere un leader alternativo. Se si votasse oggi per le elezioni politiche credo che Erdogan potrebbe vincere ancora, anche se con qualche difficoltà».
Quali sono le conseguenze nel breve periodo per Ankara?
«La Turchia sta andando verso una fase di prolungata instabilità. Avere un leader che continua a imporsi solo grazie alle divisioni dei rivali, proteso ad esercitare una forma autoritaria di potere su una nazione democratica alle prese con un’economia indebolita e spazi di libertà personale in diminuzione significa che Ankara si avvia ad affrontare un periodo di crescenti difficoltà interne. E questo deve essere motivo di preoccupazione per gli Stati Uniti e per l’Europa in ragione della posizione strategica della Turchia, incastrata fra Russia, Medio Oriente e Mediterraneo».

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