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L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
19.03.2014 Sull'incontro tra Abu Mazen e Barack Obama
La cronaca faziosa del quotidiano vaticano

Testata: L'Osservatore Romano
Data: 19 marzo 2014
Pagina: 18
Autore: redazione dell'Osservatore Romano
Titolo: «Visita di Abu Mazen a Washington»

L' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 19/03/2014, pubblica a pag. 18 un articolo dal titolo "Visita di Abu Mazen a Washington".
L'occhiello dell'articolo recita "Obama rilancia i colloqui di pace": affermazione valida agli inizi, molto meno adesso che sembra verranno prolungati visto il quasi nessun progresso ottenuto, dato il perdurante rifiuto palestinese di riconoscere Israele come Stato ebraico. Il quotidiano vaticano, d'altro canto, riporta acriticamente la posizione palestinese. "
Abu Mazen", si legge nell'articolo, ha  "ricordato come il riconoscimento dello Stato di Israele sia avvenuto nel 1993, ai tempi dell'accordo di Oslo". Un riconoscimento che  non implica l'accettazione del diritto di Israele ad esistere come Stato ebraico, e che pertanto potrebbe successivamente essere rimesso in discussione dalla dirigenza palestinese.
Inoltre la richiesta di liberare terroristi responsabili di omicidi e stragi è presentata come richiesta di liberazione di "detenuti". Persino Marwan Barghouti, condannato per cinque omicidi, e Ahmad Sadat, capo del gruppo terroristico FPLP e responsabile dell'omicidio del ministro israeliano Rehavam Zeevi, sono definiti "due importanti prigionieri".
Ecco il testo dell'articolo:

Barack Obama ha esortato ieri sera il presidente palestinese Abu Mazen «ad assumersi dei rischi», assieme al premier israeliano, Benjamin Netanyahu, per cogliere l'occasione di una pace che da decenni appare molto difficile. Abu Mazen ha dal canto suo sfidato ancora Israele a dimostrare la sua serietà, mantenendo l'impegno di liberare un nuovo gruppo di detenuti palestinesi, come previsto dagli accordi del luglio scorso. Nel tentativo di sbloccare i colloqui israelo-palestinesi, Obama aveva ricevuto due settimane fa Netanyahu, esortandolo ad assumere decisioni "difficili". Ma intanto si profila un rinvio della scadenza prevista inizialmente per i colloqui. Nelle intenzioni statunitensi avrebbero dovuto produrre risultati entro il 29 aprile, quanto meno un accordo quadro sui grandi temi in discussione: confini, sicurezza, status di Gerusalemme, colonie, rifugiati, reciproco riconoscimento. Invece, prevedibilmente, andranno avanti per mesi. «Israele, se vuole mostrarsi davvero uno Stato serio, deve mantenere l'impegno di liberare i prigionieri, come era stato previ-sto», ha dichiarato Abu Mazen davanti ai giornalisti. Secondo quanto trapelato sulla stampa araba, tra gli altri ci sono i nomi di due importanti prigionieri: Marwan Barghouti e Ahmed Sadat. Ma tra gli ostacoli che tengono le parti ancora lontane c'è il rifiuto palestinese di riconoscere Israele come Stato ebraico. Un argomento ribadito da Netanyahu anche durante la sua visita ufficiale a Washington, quando dal podio di una conferenza aveva esortato Abu Mazen a smetterla di «negare la storia», sostenendo che in questo modo il presidente palestinese avrebbe messo «in chiaro la sua determinazione a porre fine al conflitto». Ancora ieri, Abu Mazen ha però ricordato come il riconoscimento dello Stato di Israele sia avvenuto nel 1993, ai tempi dell'accordo di Oslo. Parole di apprezzamento nei confronti di Abu Mazen sono nel frattempo giunte dal presidente israeliano, Shimon Peres, secondo il quale è evidente la volontà del leader palestinese di porre fine al conflitto con Israele: è «un vero partner per la pace, un uomo di principi, che si oppone alla violenza e al terrore», ha affermato il capo di Stato e premio Nobel per la pace. Ora, ha aggiunto Peres, «siamo a un punto nodale dei negoziati e dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per assicurarci che continuino». Si tratta, in fondo, della stessa posizione espressa dal presidente Obama che ha sottolineato come arrivare alla pace sia «duro e complicato, ma non impossibile». A patto però di assumere le «decisioni necessarie a progredire, per quanto difficili».

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