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"I filosofi e il nazismo" a destra, Martin Heidegger in un collage Cari amici, di recente si è riacceso l'interesse per il nazismo di Heidegger. Prima c'è stata qualche indiscrezione, poi la pubblicazione vera e propria (in tedesco per ora) dei suoi "Quaderni neri" (di nome e di fatto) in cui sono contenuti i suoi appunti degli anni cruciali della presa di potere del nazismo e del regime; è uscito un libro che lo accusa (Ivonne Sherratt, "I filosofi di Hitler"; Bollati Boringhieri - in verità bruttino e superficiale anche se sostanzialmente condivisibile, molto più approfondito e professionale, anche molto più distruttivo quello di Emmanuel Faye intitolato "Heidegger, l'introduzione del nazismo nella filosofia" Edizioni l'Asino d'Oro, Roma 2012). Sul libro e sugli appunti sono usciti molti articoli, qualcuno anche con l'aria incredibilmente sorpresa: per esempio Donatella Di Cesare sostiene qui (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=51732) che "c'è molto sbalordimento" per questi diari; il che non sorprende, visto che Di Cesare non ha trovato contraddizione fra il suo ebraismo e la vicepresidenza della «Martin Heidegger-Gesellschaft» dedicata alla preservazione della memoria dell'autore di quegli appunti; e quando deve presentare un libro dedicato alla proposta di trasformare mirabilmente lo stato di Israele in un'utopistica entità anarchica (il che incidentalmente implica la sua scomparsa...) non trova interlocutore migliore di quel Gianni Vattimo che più volte ha dichiarato di essere disposto a rivalutare i famigerati Protocolli dei Savi di Sion, anche se sono falsi (il che, incidentalmente coincide perfettamente con la posizione assunta dal filosofo del fascismo - e peggio - Julius Evola nella prefazione alla traduzione ufficiale fascista dei protocolli): chi va con lo zoppo... Un'altra reazione nel mondo ebraico italiano è quella di David Bidussa che, su quello che è diventato l'organo di corrente della sinistra ebraica chiede "Martin Heidegger era nazista? Lo si sapeva da tempo. Aveva convinzioni antisemite? Anche questo lo si sapeva da tempo. [...] cambia o non cambia la rilevanza di ciò che ha scritto e sostenuto Heidegger in campo filosofico? [...] le categorie che Heidegger propone, alla luce di queste nuove rivelazioni, sono prive di fondamento? sono “malate” di razzismo? Si modifica radicalmente, o anche marginalmente, l’impianto filosofico della sua riflessione? Tutto questo ha una ricaduta sui percorsi del pensiero filosofico contemporaneo? Se sì, come?" (http://moked.it/blog/2014/03/16/heidegger-2/). Quale che sia il loro retropensiero (probabilmente Bidussa vuol dire che le rivelazioni su Heidegger non importano...) sono domande che esigono una risposta, che io provo ad abbozzare. Il primo punto da cui partire, abbastanza ovvio è che Heidegger è stato il più influente filosofo del Novecento, almeno in quella corrente che si usa dire "continentale" per distinguerla dagli "analitici" anglosassoni. Il secondo punto è che sì, è noto che Heidegger fosse nazista e antisemita, come altri grandi esponenti della cultura novecentesca, per esempio Carl Schmitt, che è il teorico del diritto e della politica ancora più autorevole in Europa, grandi scrittori come Céline, poeti come Ezra Pound eccetera. Questo conta o no sulla loro valutazione? I difensori di Heidegger hanno sempre detto che le sue pubbliche prese di posizione naziste, come il "discorso del rettorato", pronunciato nel 1933 quando divenne il Führer dell'università di Friburgo (lo potete leggere qui, se vi interessa: http://www.wiki.eudia.org/index.php?title=Discorso_di_rettorato) fossero momentanee (così Habermas), magari opportuniste (l'ha sostenuto Marcuse), non pertinenti rispetto al suo pensiero (è il punto di vista fra l'altro di Hannah Arendt, sua amante da giovane e sua amica e aiutante anche dopo la guerra). E' un'idea un po' bizzarra, ma non del tutto infondata: che Sironi fosse stato un pittore fascista e che lo fossero stati anche Guttuso e nella scienza Guglielmo Marconi non influisce probabilmente sul senso del loro lavoro. Il giudizio sulla persona, sul suo eventuale opportunismo o meschinità non riguarda l'opera. In filosofia c'è un caso analogo abbastanza evidente: Gottlob Frege, il padre della filosofia analitica e della logica moderna era anche lui un antisemita accanito e negli ultimi anni della sua vita - morì nel 25 - un ammiratore di Hitler, come mostrano anche in questo caso i suoi diari (http://en.wikipedia.org/wiki/Gottlob_Frege). Quando uscì, la rivelazione fece scandalo nel mondo analitico, lasciando "scioccato" un suo grande studioso come Michael Dummett, ma certo non inficia la sua opera che parla di tutt'altro, di operatori logici e del rapporto fra la capacità dei nomi di significare e quella di riferirsi alle cose. Per Heidegger è diverso. L'idea di una distinzione fra opinioni personali private e opera scientifica è del tutto insensata dal suo punto di vista. Il suo pensiero e quel che a lui pare sapere scientifico sono atti che mirano a cogliere il destino del popolo. Vi sottopongo un piccolo brano del "discorso del rettorato" per farvi capire questo punto fondamentale, sempre che abbiate voglia di penetrare oltre il fitto velo di quel che Adorno chiamava "gergo dell'autenticità": "Se vogliamo l’essenza del sapere propriamente scientifico, inteso nel senso dell’interrogante e stabile stanziarsi, senza protezione, nel bel mezzo della non saputezza dell’ente in quanto intero, allora questa volontà d’essenza costituisce il mondo del nostro popolo, quel mondo che, in quanto appartiene al più intimo ed estremo pericolo, è geistig, spirituale, nel vero senso della parola. Infatti il Geist, lo spirito, il genio, non è il vuoto acume, né il Witz, il gioco disimpegnato dell’arguzia, né l’interminabile esercizio dell’analisi logico-intellettuale, e neppure la ragione universale; lo spirito, il genio, è invece l’originariamente intonata, sapiente risolutezza a favore dell’essenza dell’essere. E il mondo spirituale di un popolo non è la sovrastruttura di una cultura, né, tantomeno, l’arsenale delle conoscenze e dei valori utilizzabili; esso è piuttosto la potenza della più profonda custodia delle sue forze di terra e sangue, in quanto potenza della più intima vivacità e del più ampio sconvolgimento del suo Dasein. Solo un mondo spirituale è, per il popolo, garanzia di grandezza." Popolo [Volk], Terra e sangue, risolutezza, lotta, potenza, grandezza, volontà. Heidegger rielabora qui, quando Hitler è appena arrivato al potere, come in tutta la sua produzione anche precedente temi francamente ed esplicitamente nazisti (si pensi solo all'"essere per la morte" che è la sola garanzia di "autenticità" dell'esistenza nel suo capolavoro "Essere e Tempo"). Qual è dunque la novità degli appunti appena pubblicati? La conferma che il suo nazismo non smise mai di essere antisemita, anche quando andava a letto con Hannah Arendt o aveva allievi ebrei. Del resto è noto che uno dei suoi primi atti da rettore fu (nel 1933, dieci anni prima della "soluzione finale") di togliere al suo maestro ebreo Husserl ogni affiliazione accademica e anche il permesso di usare la biblioteca; ed è anche ben noto che dopo la liberazione Heidegger rifiutò ogni scusa o ritrattazione, a meno di non essere così ingenui di prendere per una condanna il sardonico paragone che Heidegger fece fra la Shoah e la meccanizzazione dell'agricoltura. Certo Heidegger ebbe alcuni fastidi dai suoi colleghi meglio ammanicati quando cercò, come la mise Jaspers, di guidare il Führer, cioè di porsi come guida spirituale del nazismo, dato che Hitler non aveva certo bisogno di mosche cocchiere. Ma gli appunti mostrano che ciò non influì affatto sulle sue convinzioni profonde, che il suo nazismo e il suo antisemitismo rimasero intatti fino alla fine. E che lo stesso filosofo abbia voluto che fossero conservati questi quaderni e comparissero poi nella sua opera omnia la dice lunga: nessuna vergogna per il nazismo, nessun pudore o rimorso per l'antisemitismo. E nessun distacco fra queste opinioni e l'opera filosofica: le proposizioni antisemite che si sono lette nelle anticipazioni sono espresse in pieno "gergo dell'autenticità" come il nazismo teorizzato nei suoi seminari di quel tempo. La domanda allora non è che valore ha l'opera nazista di un nazista, ma perché quest'opera è stata ampiamente recuperata e valorizzata (badate bene, dalla cultura di sinistra, non da quella di destra), perché oggi appare imprescindibile e fondamentale, come in filosofia del diritto lo è Schmitt. La risposta andrebbe data considerando il fascino che la dittatura esercita sulla cultura europea. Lo stesso Sartre, che fu con Arendt uno dei primi sdoganatori di Heidegger, espresse il suo appoggio allo stalinismo e poi al maoismo: la "grande filosofia europea" dei Foucault, dei Deleuze oggi degli Zizek, non ha mai perso occasione di esaltare tutti i totalirismi, da ultimo quello islamico. Noi viviamo in una cultura ancora "post-hitleriana" per dirla col filosofo del diritto francese Legendre, che non si è affatto presa il beneficio di inventario rispetto al suo penchant totalitario e che è nel suo cuore infettata di antisemitismo. Iniziare a rifiutare almeno un nazista convinto e mai pentito, un antisemita volgare come Heidegger e i suoi allievi sarebbe il dovere di tutti noi, in particolare di chi studia filosofia e storia del pensiero. Ugo Volli |
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