Se non sono io per me, chi è per me?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
permettetemi di tornare su un paio di episodi presto dimenticati. Di tornarci PERCHE' sono stati dimenticati presto, in buona parte prima che se ne prendesse coscienza. Se ve li cito voi senza dubbio li ricordate - ma per il pubblico generale dell'informazione non ci sono mai stati o sono passati subito nell'oblio.
Il primo episodio è di una decina di giorni fa, quando Israele ha catturato nel Mar Rosso una nave che trasportava quaranta grandi missili, alcune centinaia di colpi di mortaio, altre centinaia di migliaia di proiettili di Kalashnikov destinati alla Striscia di Gaza. Nave di proprietà iraniana, proveniente dall'Iran che nel porto iraniano di Bandar Abbas aveva caricato i suoi proiettili, da recapitare a un movimento inserito dall'Onu, dagli Usa, dall'Unione Europea e di recente anche da Egitto e Arabia Saudita fra i gruppi terroristici.
La minaccia dei missili da Gaza
Il secondo fatto, avvenuto alla fine della settimana scorsa, consiste nel vero e proprio bombardamento missilistico (170 fra razzi e colpi di mortaio) che è partito da Gaza nei confronti dei villaggi e delle città circostanti e che è rallentato - non cessato del tutto -, solo dopo la rappresaglia israeliana. Non sono gli stessi razzi del primo episodio, naturalmente, ma danno l'idea dell'uso che i terroristi ne avrebbero fatto. Con la differenza che quelli della nave avevano una portata maggiore, avrebbero potuto arrivare a Gerusalemme, Eilat, Haifa, insomma su tutto il territorio israeliano. Del resto il regime iraniano, anche se sul momento ha negato la responsabilità dell'invio dei razzi, si è vantato ieri di aver molto rafforzato i movimenti terroristici di Gaza (http://www.jpost.com/Iranian-Threat/News/Iran-Palestinian-Resistances-missile-power-now-1000-times-stronger-345491).
Bibi Netanyahu a Eilat
Perché ricordare queste due cose? L'ho già detto, perché non le ricorda nessuno. Non è che Israele non abbia fatto il possibile per mettere in luce i due episodi. Lo stesso Netanyahu si è preso la briga di volare a Eilat per tenere una conferenza stampa davanti allo schieramento delle armi scaricate, disposte a fare una bella scenografia contro il deserto. Solo che non se lo è filato quasi nessuno. I diplomatici e i giornalisti occidentali, così pronti ad accorrere dovunque degli arabi facciano manifestazioni di "resistenza popolare", cerchino cioè di violare le regole costrruendo dove non possono o "pacificamente" tirino sassi e biglie d'acciaio e molotov contro la polizia israeliana, non hanno pensato che valesse la pena vedere con i propri occhi come l'Iran alimenta il terrorismo. Abbas ha taciuto sulla nave e ha dato un vago segno di distacco sul bombardamento ("la violenza è sbagliata da qualunque parte provenga") e America e Onu hanno mandato uno svogliato segnale di solidarietà. L'Unione Europea: come si dice nel gergo meteorologico, non pervenuta. Come ha detto lo stesso Netanyahu alla conferenza stampa, alla politica e al giornalismo internazionale fa molta più impressione la costruzione di un balcone in un sobborgo di Gerusalemme che una nave di armi ai terroristi. Per non parlare del loro uso, di cui i giornali parlano con tecnica consolidata di depistaggio, solo in subordine alla notizia della reazione israeliana.
Jan Karski, La mia testimonianza davanti al mondo (ed. Adelphi)
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=49111
Sarò esagerato, ma a me questo assordante silenzio ne ricorda un altro, quello su Auschwitz e il ghetto di Varsavia. Come racconta il membro della resistenza polacca Jan Karski nel suo libro "La mia testimonianza davanti al mondo" (pubblicato in America nel 1943, tradotto l'anno scorso da Adelphi in italiano), della distruzione sistematica degli ebrei polacchi si sapeva tutto già nel '42-'43. Lui stesso, in quanto inviato in Occidente della resistenza, ne parlò ai ministri del governo inglese, personalmente a Roosevelt, a scrittori e intellettuali. Senza esito: non vollero credergli o trarre le conclusioni dalla notizia. La stessa grande stampa americana, leggi il New York Times in prima linea oggi contro Israele, ebbe le notizie della Shoah e le pubblicò: ma in piccolo, in pagine interne, sotto titoli fuorvianti, nel corpo di articoli che parlavano d'altro. Roosevelt e il New York Times, che lo sosteneva in questo, non volevano soprattutto fare sembrare che la guerra avesse a che fare con il salvataggio degli ebrei: meglio non fare nulla per salvarli, non spendere un aereo per bombardare la linea ferroviaria che portava i vagoni piombati ad Auschwitz, piuttosto che far sapere all'opinione pubblica (giudicata da loro antisemita, forse a ragione, ma i primi antisemiti erano loro) che ci si dava da fare per salvare delle vite ebraiche. Altra storia attentamente rimossa.
John Kerry
Ecco, il punto è questo, che nell'opinione dei leader del mondo e delle testate giornalistiche più importanti che si cerchi di ammazzare degli ebrei non è grave, mentre è grave che gli ebrei si difendano o si insedino in terre rivendicate dagli arabi (cioè, in definitiva, tutto Israele). Questo è il sentimento che emerge da mille episodi, da ultimo dai paternalistici avvertimenti (dico paternalistici ma dovrei dire mafiosi) di Obama e Kerry: Obama che dice a Netanyahu per via di un'intervista il giorno prima di incontrarlo che sta portando Israele alla rovina perché ha fatto costruire nell'ultimo anno una cinquantina di condomini (mille e cinquecento appartamenti) per lo più nei sobborghi di Gerusalemme e nei "blocchi di insediamenti" oltre la linea verde e che questo provocherà il boicottaggio di Israele (cioè lo organizzerà lui). Kerry che dopo avere inserito il riconoscimento da parte dell'Autorità Palestinese di Israele come stato del popolo ebraico (che è la base per la cessazione vera della guerra, cioè la rinuncia all'arabizzazione forzata di Israele) nel suo "framework" per l'accordo fino al 9 marzo, avendo ricevuto una lavata di capo nel suo ultimo incontro con Abbas, sentenzia il 14 marzo che "è un errore l'insistenza di Netanyahu sul riconoscimento del carattere ebraico dello Stato di Israele", il 14 marzo. E sullo sfondo anche lui, ogni volta che può, evoca ricatti di boicottaggi e terrorismo "popolare".
Di questa indifferenza chi governa Israele e il popolo ebraico in generale hanno preso nota. Ci si può fidare delle garanzie di Obama e Kerry? E' evidente che no. Lo sanno bene gli ucraini e i georgiani, i sauditi e i ribelli siriani, lo temono i polacchi e i baltici. Delle garanzie dell'America di Obama non si fida nessuno: troppo forte la propensione a sacrificare gli alleati in favore di patti coi nemici (che in buon italiano si chiamano tradimenti). I quali patti poi si rivelano del tutto illusori, come mostrano i casi della Russia, dell'Iran, della Siria. Ma per Israele c'è di più. Qualcuno ha scritto che gli europei dalla seconda guerra mondiale hanno tratto la lezione che la difesa degli interessi nazionali sia un principio sbagliato e pericoloso, che porta a guerre e crimini e che vada sostituita da un senso di solidarietà internazionale e di giustizia collettiva: una conclusione ragionevole per loro come mostrano i settant'anni di pace in Europa, almeno nella sua parte occidentale. Non è detto che i popoli della ex Jugoslavia o dell'ex blocco sovietico la pensino alla stessa maniera. Il popolo ebraico ne ha tratto invece la conclusione opposta: che c'era assoluto bisogno di uno Stato che difendesse gli interessi degli ebrei, che se no non sarebbero sopravvissuti, nel disinteresse generale. Detto con la famosa frase di Hillel nel trattato delle "Massime dei padri" nella Mishnà: "Se io non sono per me, chi è per me?" Episodi anche non grandissimi come quelli della nave iraniana e dell'ultimo bombardamento missilistico provano ancora una volta questo ragionamento. Israele deve difendersi da solo, non lo farà per lui l'Europa né l'America, non sarà il suo comportamento costruttivo o virtuoso a indurre gli altri Stati e l'opinione pubblica a preoccuparsi della vita dei suoi cittadini. Anzi.
Ugo Volli