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Stefano Magni
USA
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Nucleare: la domanda scandalosa che Obama non si pone 17/03/2014

Nucleare: la domanda scandalosa che Obama non si pone
analisi di Stefano Magni


Stefano Magni         Barack Obama

Chi vincerebbe una guerra nucleare? Questa domanda è scandalosa. Non se la pone, pubblicamente, nessuno. Chi se lo chiede seriamente viene tacciato di follia, scambiato per un “dottor Stranamore” e si rovina la carriera. E’ una questione di etichetta politica. Non si dice e basta. Eppure questa domanda scandalosa se la sono posta tutti i presidenti degli Stati Uniti, nel segreto delle loro stanze. Tutti, senza eccezione, almeno fino a George W. Bush. Chi non se l’è mai posta, facendo prevalere l’etichetta politica al realismo militare, pare proprio essere Barack H. Obama. Ed è questa, in ultima istanza, l’origine della sua debolezza e di tutte le crisi a cui stiamo assistendo in questi mesi: Corea del Nord, Cina-Giappone, Siria, Ucraina e, nel prossimo futuro, quasi certamente, anche l’Iran. Il condizionale è d’obbligo, perché la strategia nucleare è segreta e resta tale per almeno tre decenni. Dunque non sappiamo se gli Usa abbiano, attualmente, un grande asso nella manica, da giocare al momento giusto. Ma da come procedono le suddette crisi, sembrerebbe proprio che non ce l’abbiano.
Per capire questi concetti “scandalosi”, occorre procedere per gradi, tornando all’origine della strategia nucleare. Da Hiroshima e Nagasaki in poi, nessuno ha mai più voluto combattere una guerra atomica. La sua preparazione, teorica e pratica, serve solo a dissuadere l’avversario dal passare una “linea rossa” nucleare. In qualunque crisi, ogni presidente di una potenza atomica si è sempre posto la scandalosa domanda “chi vincerebbe una guerra nucleare?” e i suoi strateghi ne hanno simulato l’esito più plausibile. Se la risposta è “nessuno vince” o “vince il nemico”, il leader è indotto a sgonfiare la crisi, facendo rientrare la sua minaccia. Se la risposta è “vinco io” (anche accettando gravi perdite), il leader in questione è incoraggiato a spostare in avanti la linea delle sue pretese. Così è sempre andata dal 1945, da quando è stata usata la bomba atomica. E per quanto scandalosa sia quest’arma totale, nessuno la può “disinventare”. Nel 1948, gli Usa avevano l’atomica, l’Urss no. Quando Stalin bloccò Berlino, dovette desistere. Se fosse scoppiata la guerra nucleare, avrebbe certamente perso. Nel 1962, gli Usa avevano perso il monopolio della bomba, ma avevano la capacità (almeno teorica) di distruggere tutte le armi nucleari sovietiche in un colpo solo. Quando Chrushev tentò di installare missili nucleari a Cuba e Kennedy bloccò l’isola, alla fine dovette ritirarsi con la coda fra le gambe. Nel 1973, Usa e Urss avevano raggiunto uno stato di sostanziale parità nucleare. Quando scoppiò la guerra dello Yom Kippur, Richard Nixon dovette intervenire al fianco di Israele per dissuaderlo dall’usare, eventualmente, armi atomiche contro gli eserciti arabi invasori. Poi dovette premere ancora per fermare l’avanzata israeliana in Siria ed Egitto per evitare che l’Urss minacciasse seriamente di intervenire. Nel 1983, l’Urss aveva quantitativamente superato gli Usa in fatto di armi nucleari strategiche, ma non aveva comunque raggiunto la capacità tecnologiche delle ultime armi appena schierate dagli Usa. Dunque, quando Ronald Reagan dislocò gli “euromissili” in Europa occidentale, Mosca fece la voce grossa, ma dovette rientrare nei ranghi dopo alcuni mesi di tensione.

Delle armi atomiche non si parla mai, ma restano lì, come una spada di Damocle, anche nelle crisi più recenti. Non c’è neppure bisogno di dichiararle: basta percepire la loro presenza nelle mani di un avversario disposto a usarle. Dal 2001 al 2003, gli Usa poterono occupare Afghanistan e Iraq, sotto il naso della Russia, senza temere alcuna conseguenza. Putin, infatti, era convinto (e non del tutto a torto) che dopo l’11 settembre Bush avrebbe potuto usare il suo arsenale atomico. Nel 2008, al contrario, Putin poté invadere la Georgia senza temere alcuna minaccia da parte degli Stati Uniti: Bush, impopolare, in uscita e privo di una maggioranza al Congresso, era politicamente troppo debole per poter anche solo pensare di minacciare l’uso di armi atomiche. In questi giorni, Putin pensa di aggredire impunemente i suoi avversari perché sa che Obama, benché politicamente solido, non ha alcuna intenzione di usare il suo deterrente nucleare. Ma per comprendere meglio questo cambiamento è meglio fare un altro passo indietro.
Dal 1983 in poi, Reagan, convinto dell’immoralità di una guerra nucleare, ha introdotto un elemento di novità assoluta: non minacciare la distruzione reciproca, ma introdurre difese anti-missile per neutralizzare la minaccia nucleare avversaria. La sua visione di scudo anti-missile era bilaterale: sia gli Usa che l’Urss avrebbero dovuto spostare la corsa agli armamenti dagli strumenti di offesa (missili) a quelli di difesa (sistemi anti-missile, in terra, nel mare e in orbita), in modo da “rendere obsoleta” l’atomica. Ad ogni fase di costituzione di uno scudo anti-missile si sarebbe potuto eliminare un lotto di armi nucleari, fino alla loro totale eliminazione. Questa politica è stata poi direttamente proseguita con convinzione da George Bush (padre), con un po’ meno convinzione da Bill Clinton e, infine, rivitalizzata da George W. Bush. La politica del “nuclear zero” di Barack Obama, in questo, può essere anche confusa con la strategia di Reagan e dei suoi successori. Ma Obama non pensa affatto di “rendere obsolete” le armi atomiche, grazie ad armi difensive. No: questo presidente pensa che le armi nucleari “siano già obsolete”. Cioè che, nessun capo di Stato, dotato di ragione, pensi di usarle, o anche solo minacciarne l’uso.
Questa teoria non è inventata da Obama. E’ dominante nelle accademie americane sin dagli anni ’70, tanto è vero che Reagan e i suoi successori hanno sempre avuto molte difficoltà a proporre una qualsivoglia dottrina nucleare, offensiva o difensiva che fosse. La dottrina dell’azzeramento nucleare parte dal presupposto che ogni difesa anti-missile, per quanto buona, sia sostanzialmente inutile. Che nessuno possa vincere una guerra nucleare, dato il livello di distruzione reciproca implicato (“l’unica mossa vincente è non giocare”). Che anche un minimo uso di armi atomiche provochi conseguenze inaccettabili, anche in termini di impatto climatico (la teoria dell’inverno nucleare ha ritrovato nuova linfa con simulazioni compiute dal 2007 ad oggi negli Stati Uniti). Infine: che non si possa nemmeno “pensare” a una guerra nucleare. Dunque l’unica politica sensata, per ridurre il rischio di una catastrofe globale, secondo questa teoria, è la costruzione di una reciproca fiducia e lo smantellamento graduale di tutti gli arsenali nucleari. Barack Obama è il primo presidente ad aver fatto sua questa teoria, col risultato che ha smesso di “pensare la guerra nucleare”. La sua politica si è sempre fondata sulla fiducia reciproca. Da qui il “Reset” con la Russia: azzeramento (non solo teorico) delle tensioni precedenti. Dal Reset si è, appunto, passati alla firma del trattato Nuovo Start, per il disarmo reciproco. E infine all’accomodamento delle tensioni strategiche e regionali: l’amministrazione Obama ha annullato quasi tutti i nuovi programmi anti-missile, poi ha fortemente ridimensionato il dispiegamento dello scudo in Europa, ha scartato l’opzione dell’uso della forza in Iran e infine ha rinunciato, di fronte alla pressione russa, a un eventuale intervento armato in Siria contro Bashar Assad, alleato sia dell’Iran che della Russia.
Il problema, però, è che le altre potenze atomiche continuano a “pensare la guerra nucleare”, a partire dalla Russia. Dalla fine della guerra fredda (1989) in poi, gli Usa non hanno mai più introdotto nuove armi nucleari nel loro arsenale strategico e hanno smantellato i loro missili più potenti e moderni, i Peacekeeper. La Russia, al contrario, ha introdotto due nuove classi di missili balistici intercontinentali, i Topol e i Topol-M, su lanciatori mobili che li rendono pressoché invulnerabili a un eventuale attacco statunitense. Inoltre hanno schierato, l’anno scorso, una nuova classe di sottomarini lanciamissili nucleari, i Borei, dotati di una nuova classe di missili balistici intercontinentali lanciabili dalla marina, i Bulava. Il Nuovo Start è servito a Mosca per smantellare armi obsolete, non per fermare la produzione e lo schieramento di quelle più recenti. La Russia ha rinnovato anche le proprie difese, completando, già negli anni ’90, l’enorme rifugio nel Monte Yamantau, negli Urali, capace di resistere ad ogni arma atomica esistente e in grado di far sopravvivere la leadership politica e militare russa anche in caso di guerra totale. Inoltre, le forze della difesa strategica hanno costantemente aggiornato il sistema anti-missile a protezione di Mosca, l’A-135. E’ bene ricordare, anche in questo caso, che gli Usa non hanno nulla di simile per proteggere Washington o qualunque altro loro obiettivo politico e militare.
Il risultato di questa asimmetria sta diventando evidente solo in questi ultimi anni. Nella crisi siriana, la sola minaccia di intervenire nella crisi, ha permesso a Putin di dissuadere Obama da un intervento contro il suo alleato Assad. Ora compie un passo successivo, invadendo parte di un altro Paese dell’“estero vicino” (come i russi chiamano le repubbliche ex sovietiche) ed è ancora convinto di avere lui l’ultima parola in fatto di dissuasione atomica. Insomma, alla domanda scandalosa “chi vincerebbe una guerra nucleare”, oggi la risposta potrebbe essere “la Russia”. Il solo immaginare una cosa simile avrebbe conseguenze molto pesanti, a partire dal Medio Oriente. Non è un caso che l’Iran, dopo la sua breve politica dei sorrisi, questa settimana abbia rilanciato un programma di costruzione di nuove centrali nucleari, in partnership con Mosca. Se l’ayatollah Khamenei si dovesse convincere che, alla mala parata, “vince la Russia”, sarebbe ancora più determinato a dotarsi di armi nucleari. Anche in caso di minaccia di attacco preventivo o di rappresaglia da parte di Israele, sa che entrerebbe in gioco il Cremlino, mentre Obama potrebbe tirarsi indietro. E’ normale che in Israele tengano il fiato sospeso.


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