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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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L’isolamento del Qatar 16/03/2014

L’isolamento del Qatar
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)

Il significato della radice q-t-r in arabo è “trainare”, in ebraico è “emettere vapore”. Basandosi su questi due significati Eliezer Ben Yehuda ha dato il nome di “qatar” (locomotiva a vapore) al sistema trainante il treno, proprio perché lo traina ed emette vapore, cioè aria calda. La capacità del “qatar” a trainare il treno dipende dalla sua potenza e dal collegamento al treno, perché senza entrambi non potrebbe entrare i movimento, sarebbe soltanto un brutto e rumoroso apparato che sbuffa aria calda.

 Fin dalla fine del 1996 l’Emirato del Qatar si comporta secondo questi due significati: con grande potenza traina il mondo arabo e crea una grande quantità di aria calda. Nel novembre del 1996 ha iniziato a far funzionare l’emittente televisiva al-Jazeera con un programma ben preciso: fare una propaganda sfrenata contro i dittatori arabi, Israele, gli Stati Uniti e l’Occidente in generale, e dare un sostegno totale all’organizzazione dei Fratelli Musulmani, incluso il movimento di Hamas. Tale programma riflette l’approccio politico e culturale dell’emiro, lo Sceicco Hamad bin Khalifa al Thani, e gode del più alto indice di gradimento al mondo: 70 milioni di persone seguono le decine di diversi canali su al-Jazeera per almeno un’ora di ascolto al giorno. La maggioranza degli utenti segue il telegiornale, che da 17 anni scuote il mondo arabo. Grazie ad al-Jazeera e alla sua influenza sulle masse arabe dal Marocco a Occidente all’Oman a Oriente, dalla Siria a Nord allo Yemen al Sud, l’emirato del Qatar è diventato il Paese più influente del Medio Oriente; il suo potere è molto maggiore del suo peso demografico ( 1.758.793  i suoi abitanti), del suo territorio (delle dimensioni del Negev in Israele) e delle sue risorse economiche.

Recentemente, l’emiro del Qatar è diventato la persona più importante e influente del mondo arabo, e di conseguenza anche il mediatore più ascoltato (nel senso di giudice) a proposito dei conflitti del mondo arabo. La propaganda diffusa dal canale di al-Jazeera contro i dittatori arabi è stata la causa principale del sollevamento popolare detto “Primavera araba”, iniziato nel dicembre del 2010, che a oggi ha portato cambiamenti su vasta scala in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Siria, con forti ripercussioni regionali in Bahrein, Giordania e Iraq. Masse di arabi poveri, ignoranti e oppressi si erano riversate nelle piazze per protestare e rivendicare i loro diritti, anche a costo della propria vita.
Al-Jazeera aveva continuato a spronarli con la speranza che le loro proteste avrebbero avuto successo e che in breve tempo avrebbero realizzato  la rivoluzione.

a sin. l'emiro dimissionato, a destra il figlio Tamim, nuovo emiro

Oltre alla propaganda, il Qatar aveva sostenuto i ribelli in Libia e in Siria con denaro, armi, munizioni, sistemi di comunicazione e addestramento,e ancora insiste a dare fermo appoggio al regime della Fratellanza Musulmana in Egitto, durato dal luglio del 2012 al luglio del 2013. Oggi gli avversari dei Fratelli Musulmani vedono al-Jazeera come un agente del nemico, se non il nemico stesso. Dopo tre tragici anni di “Primavera araba” e lo scoppio di uno scontro aperto tra il regime e i Fratelli Musulmani in Egitto, la drammatica situazione in cui si trova il mondo arabo è imputabile, almeno in parte, all’Emirato del Qatar e alla sua emittente al-Jazeera.

 Recentemente l’Emirato del Qatar ha incominciato a sostenere l’Iran, Hezbollah e le forze sciite. Il nuovo emiro, Tamim, figlio del precedente emiro, è stato in visita ufficiale a Teheran e ha annunciato che l’Iran deve partecipare alla soluzione del problema siriano, suscitando la collera dei suoi vicini nella Penisola Arabica, ovvero Arabia Saudita, Bahrein,  Emirati Arabi Uniti, che vedono l’Iran come il nemico esterno, Hezbollah come il nemico regionale, e la setta sciita presente in ognuno di questi Paesi, come il nemico interno.

 Le attività di sostegno da parte del Qatar nei confronti delle organizzazioni terroriste sciite oltrepassano una linea rossa netta e altamente pericolosa. Secondo l’Arabia Saudita esiste una cooperazione d’intelligence tra Qatar e Hezbollah: il Qatar ha fornito informazioni sulle reti di spionaggio e di sabotaggio sunnite al movimento Hezbollah, che quindi è stato in grado di eliminare queste reti. Il 20 febbraio scorso c’è stato uno scontro a fuoco nell’Arabia Saudita occidentale, nella regione sciita di al-Qatif, in cui vennero uccisi due sauditi addetti alla sicurezza e due sospetti sciiti. L’Arabia Saudita attribuisce questo attacco a Hezbollah, e accusa il vicino Qatar di complicità. Due settimane fa c’è stato un altro scontro a fuoco, questa volta in Bahrein, in cui è stato ucciso Tariq Mohammed Al Shehi, un ufficiale sunnita degli Emirati Arabi e due membri del suo entourage: anche questo episodio è stato attribuito all’organizzazione sciita Hezbollah.

E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: eccetto Yemen, Oman e Kuweit, tutti gli altri Paesi della Penisola Arabica hanno deciso di ritirare il proprio ambasciatore dal Qatar. Questo passo è stato considerato molto grave perché va contro la convenzione internazionale, che prevede in prima istanza di “invitare l’ambasciatore ad una consultazione” e solo in un secondo tempo lo si può revocare. In questo caso invece i Paesi sono subito passati alla seconda fase, la più dura, per esprimere la severità con cui consideravano gli atti e le politiche del Qatar. La conseguenza di questo passo coordinato è stata quella di mettere all’ordine del giorno il problema su come comportarsi nei confronti del Qatar, da parte di ogni Stato e di chiunque, in ogni luogo, abbia a cuore la condizione della nazione araba e la situazione miserabile in cui si trova in questo momento. E’ all’ordine del giorno la ricerca del responsabile di quanto sta avvenendo e il Qatar è sotto i riflettori, dato che è ovvio considerarlo responsabile per la sua forte presenza nel mondo arabo e il suo coinvolgimento in molti degli avvenimenti terroristici che sono avvenuti.

In questo contesto è utile ricordare che l’ambasciatore del Qatar al Cairo è stato espulso nell’agosto 2013, con l’accusa che il Qatar sta finanziando Hamas, la Fratellanza Musulmana, il terrorismo nel Sinai e l’”Esercito Egiziano Libero”. Dopo la rimozione di Morsi, l’Egitto ha dichiarato che al-Jazeera ha diffuso false informazioni sull’Egitto, usando un canale speciale ( Al-Jazeera Mubasher ) direttamente dai luoghi delle dimostrazioni dei Fratelli Musulmani. L’Egitto ha anche affermato che il Qatar offre rifugio agli attivisti della Fratellenza che lì hanno trovato rifugio, e che si rifiuta di estradarli affinché possano essere processati. Per questi motivi lo scorso febbraio l’Egitto ha richiamato il proprio ambasciatore dal Qatar.

Il problema dei Fratelli Musulmani

Uno dei capisaldi ideologici delle organizzazioni della Fratellanza Musulmana è che nell’Islam, l’affiliazione etnica o tribale non dovrebbe aver nessun significato per il singolo musulmano, dato che lo si valuta essenzialmente in base alla fede in Allah, a Maometto, all’Islam, alla Shari’a e alla nazione islamica. Alleanze tribali ed etniche devono essere messe da parte perché dividono la nazione islamica in gruppi rivali, causano conflitti e perché hanno promosso nell’Islam uno status sociale basato sulla competizione, interferendo così con la religione che deve essere invece il comun denominatore per i musulmani. Questa ideologia può diffondersi in una società individualista come quella egiziana e tunisina, dove le persone vivono soprattutto nelle città e non sono organizzate in famiglie o clan, ma come individui o nuclei famigliari. Nella società tribale, invece, dove la fedeltà alla tribù e alle tradizioni ha la precedenza su tutto, la dottrina della Fratellanza Musulmana è percepita come una minaccia per l’ordine sociale e i suoi principi, così come per la classe dirigente e per i gruppi d’élite che guidano la tribù tramite la resposabilità e la fiducia accordata. La società nei paesi del Golfo è  tribale e la struttura sociale è la fonte della stabilità e del benessere dei cittadini, perché ciascuno degli Emirati è basato su una singola tribù: il clan Sabah in Kuwait, il Thani in Qatar, il Nahyah in Abu Dhabi e così via.

Per anni i Paesi del Golfo, escluso il Qatar, hanno fatto grandi sforzi sul fronte della sicurezza individuando, arrestando ed espellendo chiunque tentasse di diffondere la dottrina dei Fratelli Musulmani. Se qualcuno della tribù  "cade vittima della pericolosa propaganda" allora verrà rinchiuso in una “ istituzione rieducativa “ con porte di ferro e sbarre, e in prigioni dove la gente viene trattata con estrema durezza. L’Emirato del Qatar, non solo invita il Dr. Yusuf al-Qaradawi dall’Egitto, oggi il più agguerrito portavoce ideologico della Fratellanza, ma il mufti del Paese e il mentore spirituale dell’emiro e della sua famiglia, gli concedono  sul canale di Al-Jazeera, anche una intera ora ogni settimana nel momento di più alto ascolto, per diffondere la dottrina dei Fratelli Musulmani senza limiti nè controllo sulle sue idee e senza alcun ostacolo alla  fanatica propaganda che diffonde. Finchè maledice Israele e gli Stati Uniti e incita le masse arabe contro di loro, i Paesi del Golfo possono tollerare quanto dice, ma quando condanna gli Emirati Uniti per come si rapportano alla Fratellanza Musulmana, questo è troppo per essere tollerato.

Dhahi Khalfan, capo della polizia a Dubai, l’anno scorso aveva dichiarato che la Fratellanza – intendendo al Qaradawi e chi lo sostiene – è più pericolosa dell’Iran per la Nazione Araba. L’Emiro del Qatar non ha capito – o non ha voluto capire – l’avvertimento contenuto nelle parole di Khalfan.

Teste calde e spalle fredde

 La decisione congiunta dell’Arabia Saudita, del Bahrein e degli Emirati Uniti di richiamare i propri ambasciatori dal Qatar, ha liberato dalla bottiglia il demone più pericoloso del mondo arabo: il rapporto tra i dittatori e i ribelli, la questione del tribalismo, il Wahabismo e la casa regnante saudita, il terrore che contagia tutti, la tragedia siriana, l’odio tra gli iraniani e gli arabi, la paura dell’Iran, il sangue della faida tra sunniti e sciiti, il comportamento dei Fratelli Musulmani e la guerra contro di loro, il ruolo dei media, e le relazioni con Israele e con l’Occidente. Tutti questi punti sono interconnessi e la discussione coinvolge molti argomenti di difficile soluzione. Quelli che negli Emirati scrivono sui social network, Facebook, Twitter, Instagram e così via, si appellano al boicottaggio dei media del Qatar, in particolare di al-Jazeera, chiedo che vengano oscurarli e a interrotta ogni comunicazione. Chiedono che venga cancellato il Campionato Mondiale di Calcio previsto per il 2022 in Qatar, invitano a non volare sulle sue linee aeree, e a non invitare rappresentanti del Qatar a conferenze professionali ed a eventi culturali.

 Alcuni giornalisti di Al Jazeera tra i 20 processati al Cairo

Non viene risparmiata neppure Israele: vi è chi sostiene che è un obbligo sacro condannare totalmente il Qatar perché è un agente di Israele e che al-Jazeera è in realtà manovrata dal Mossad. Il motivo è chiaro: Israele è lo Stato che più di tutti ha avuto benefici da questo sconvolgimento del mondo arabo. Infatti negli ultimi tre anni sono state vanificate tutte le minacce a Israele: dall’esercito siriano che è incapace di affrontare le ondate di jihadisti che il Qatar ha spedito in Siria, e da Hezbollah che, con le sue decine di migliaia di missili puntati su Israele, sta precipitando nel pantano siriano, che ogni notte seppellisce quei combattenti che Israele non era riuscito a domare nella Guerra del 2006.
Poi vi sono quelli che accusano l’Arabia Saudita per aver deteriorato la situazione nel mondo arabo quando nel 2003 spinse gli Stati Uniti a eliminare Saddam Hussein. Questo evento aveva consentito poi all’Iran di estendere il controllo sull’Iraq, trasformarlo in un centro di attività sciite e in un Paese-ponte con la Siria e il movimento Hezbollah, e a fondare un impero sciita che, dall’Iran via Iraq e Siria, si è esteso fino alle spiagge del Mediterraneo in Libano.
Inoltre, l’Arabia Saudita è il Paese da dove proviene al-Qaeda, per cui dovrebbe rivolgere i propri appelli di allarme per la sicurezza della nazione araba a se stessa, non al Qatar.

 In questi giorni l’Arabia Saudita, nel tentativo di difendersi da queste accuse, sta promuovendo un’iniziativa contro il terrorismo, e si appella affinchè ogni organizzazione armata che oggi opera nel mondo arabo, sciita e sunnita, sia considerata terrorista e quindi messa fuori legge. Nell’elenco vi sono lo Stato Islamico in Iraq e Siria, Jabhat al-Nusra, la Fratellanza Musulmana, Hezbollah, gli Houthi (Sciiti in Yemen), e al-Qaeda nelle sue svariate ramificazioni.
Non si dice però che queste organizzazioni erano nate in Arabia Saudita e che oggi sono ancora sostenute con denaro saudita.

Non è la prima volta che l’Arabia Saudita annuncia un’iniziativa per ripulirsi la coscienza dalle sue colpe: l’Iniziativa di Pace Araba con Israele era nata già nel marzo del 2002, per cancellare la colpa dei Sauditi di essere stati i responsabili degli attacchi terroristici dell’11 settembre del 2001 contro gli Stati Uniti.

L’atto d’accusa

Dopo il richiamo degli ambasciatori, i tre Paesi hanno pubblicato un comunicato congiunto che ne chiarisce le ragioni. Nell’annuncio hanno attribuito la responsabilità al Qatar perché non ha agito secondo le decisioni prese dal Consiglio di Cooperazione del Golfo. Questo gruppo, che comprende la maggior parte dei Paesi della Penisola Arabica e ha lo scopo principale di sincronizzare le operazioni di sicurezza, aveva deciso a Riyadh, il 23 novembre del 2013, che i Paesi membri devono “agire secondo i principi che assicurino il non coinvolgimento di un Paese nelle questioni interne di un altro, direttamente o indirettamente, e astenersi da pratiche politiche o mediatiche di supporto a qualsiasi persona o organizzazione che minacci la sicurezza dei Paesi membri”.
Le accuse rivolte al Qatar non sono nuove. Il suo disaccordo con l’Arabia Saudita e il sostegno alla Fratellanza Musulmana in Egitto nella guerra contro il Ministro della Difesa al-Sisi, sono di dominio pubblico: mentre l’Arabia Saudita, fin dal luglio 2013, esprime il suo sostegno ad al-Sisi, il Qatar appoggia entusiasticamente, a tutt’oggi, Morsi e la Fratellanza.
Anche il ruolo espresso dal canale di al-Jazeera, e dallo sceicco Al-Qaradawi in particolare, ha attirato da tempo forti critiche da parte dell’Arabia Saudita. Il Qatar sostiene che al-Jazeera è libera di decidere le proprie scelte, ma i sauditi sanno bene che il canale esprime le scelte politiche e culturali del vecchio e del nuovo emiro del Qatar.

 La decisione di richiamare gli ambasciatori dal Qatar non è stata presa facilmente, ma è stata preceduta da molte ore di discussione, nelle quali sono state date tre occasioni al Qatar per cambiare la sua politica, che mette in pericolo la pace e la stabilità dei Paesi del Golfo. Il comunicato dice: “Più di tre mesi sono trascorsi dalla firma dell’accordo senza che il Qatar abbia fatto i passi necessari per attuarlo. Sulla base della piena conoscenza e trasparenza con la quale i tre leader si riferiscono ai problemi relativi ai supremi interessi dei propri Paesi, alla luce delle grandi sfide e profonde trasformazioni che minacciano la sicurezza e la stabilità dei Paesi del Golfo, la responsabilità riposta sulle loro spalle li obbliga a istruire i loro Ministri degli Esteri affinché chiariscano la questione allo Stato del Qatar e manifestino l’importanza di una posizione unitaria contro tutto ciò che ha l’obiettivo di minare la stabilità e nuocere alla sicurezza dei loro Paesi."
 L’incontro è avvenuto il 17 febbraio 2014, alla presenza dello sceicco Sabah al-Ahmad al-Jabar al-Sabah, dell’ emiro del Kuwait, Sheikh din Hamad bin Khalifa al Thani, dell’emiro del Qatar, del Ministro degli Esteri del Consiglio di Cooperazione del Golfo.
Nella riunione si è concordato che i Ministri degli Esteri dei Paesi del Consiglio avrebbero determinato un meccanismo di supervisione sulla realizzazione del contratto di Riyadh. In seguito, i Ministri degli Esteri  si sono incontrati a Riyadh il 4 marzo 2014 e hanno deciso di investire grandi sforzi per convincere il Qatar dell’importanza di aderire all’accordo  e di accettare il meccanismo di supervisione della sua attuazione; purtroppo tutti questi sforzi non hanno portato il Qatar ad accettare questa procedura.
In altre parole: i Paesi del Golfo hanno annunciato che il Qatar è un paese canaglia che non accetta le norme di comportamento collettivo e secondo le leggi tribali è diventato “Tashmis” – rimosso pubblicamente dal gruppo per condotta vergognosa. I

n modo indiretto la decisione afferma: “ Abbiamo sperato che il nuovo emiro del Qatar, il 33enne Tamim, potesse cambiare la politica di suo padre che si è dimesso nel giugno 2013, ma siamo rimasti fortemente delusi. Gli abbiamo accordato un periodo di grazia di 150 giorni per rendersi conto di quello che vogliamo da lui, ma  continua a seguire le orme deviate del padre.
Abbiamo altri mezzi per esercitare pressioni su di lui: una rottura totale delle relazioni, la chiusura della zona di confine tra Qatar e Arabia Saudita e la chiusura dello spazio aereo sui nostri Paesi.
Questi provvedimenti soffocherebbero il Qatar, che così non sarebbe più in grado di funzionare”.

Per ora il Qatar non ha reagito di fronte al fatto che siano stati richiamati gli ambasciatori, anche se ha espresso dispiacere per questa decisione. Se si dovesse aggravare la crisi con i vicini, l’emiro precedente del Qatar, lo sceicco Hamad, potrebbe tornare a prendere parte alla gestione delle questioni di Stato, ma questo avverrebbe dietro le quinte per non mettere in imbarazzo il figlio.

La questione importante è ciò che accadrà nei rapporti tra il Qatar e i Paesi arabi, che sembrano non voler tagliare del tutto i rapporti per evitare di gettarlo  tra le braccia degli iraniani, un cavallo di Troia all’interno della Penisola Arabica. Inoltre una spaccatura all’interno della “famiglia araba” viene giudicata negativamente. Altra cosa importante è che la più grande base dell’Air Force americana è situata in Qatar, per cui una rottura completa nelle relazioni tra Qatar e  Stati Arabi renderebbe difficile agli americani la gestione della propria politica nel Golfo nei confronti dell’Iran, dato che gli Stati del Golfo sperano ancora che gli USA li salvino dal lungo abbraccio mortale dell’Iran.

E’ probabile che in un prossimo futuro le due parti troveranno un compromesso, o addirittura un accordo. In questo quadro il Qatar dovrà limitare il proprio coinvolgimento con gli Stati arabi e i suoi legami con Hezbollah, mentre i confratelli arabi manterranno un livello ragionevole di comunicazione con l’emirato canaglia. Una rottura completa dei rapporti non converrebbe a nessuna delle due parti.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com


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