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La Stampa Rassegna Stampa
13.03.2014 La Stampa apre un nuovo ufficio a Ramallah
commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 13 marzo 2014
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La Stampa nel cuore di Ramallah»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/03/2014, a pag. 1-14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "  La Stampa nel cuore di Ramallah ".


Maurizio Molinari        Ramallah                    Abu Mazen

A Ramallah si beve tè circondati da libri, un imprenditore di Long Island coltiva cibo organico e si batte contro la burocrazia, una trentenne vende nella sua boutique abiti da sera con colori sgargianti e un quarantenne confeziona traduzioni legali in arabo per società di tre Continenti.
E poi c’è Nasser Abdelhadi: per vocazione avrebbe dovuto fare l’attore ma ha preferito il cibo vegetariano diventando un ristoratore di successo. Voci e luoghi della più popolosa e ricca città palestinese – dove hanno al momento sede governo e Parlamento – descrivono una società vivace, diversificata, accomunata dalla volontà di crescere in fretta, che guarda oltre la soluzione del conflitto con gli israeliani perché freme per esprimere se stessa. La scelta de «La Stampa» di aprirvi un ufficio nasce dalla constatazione che la voglia di vivere dei palestinesi è simile e sovrapposta a quella degli israeliani che si trovano dietro l’angolo – Gerusalemme è a 30 minuti di auto – fino al punto da costituire due aspetti complementari di una stessa realtà: impossibile descrivere l’una senza vivere l’altra.

Separati da contenziosi territoriali, dissidi atavici e oltre un secolo di violenze, palestinesi ed israeliani sono entrambi protagonisti di una incontenibile voglia di progredire. Quella israeliana si respira in locali e start up di Tel Aviv, quella palestinese è ovunque qui a Ramallah dove ha anche il volto di Chuck Dahu. Giacca di velluto, cappello e narghilè, Dahu accoglie i clienti nel suo «Ramallah Cafè» seduto dietro una scrivania coperta di libri. A breve distanza da Manara Square, è un luogo di ritrovo che riassume le trasformazioni in corso fra i palestinesi: è frequentato da studenti, donne, giovani intellettuali, accademici. Sorseggiano tè arabo, fumano ad acqua, parlano di politica e tifano per Barcellona e Real Madrid, le cui bandiere sono appese al soffitto. «Ho fondato questo caffè 15 anni fa - racconta Dahu - perché mi accorsi che gli arabi leggevano poco rispetto agli altri popoli». La sua scommessa è stata di dare in prestito libri agli avventori: il risultato è l’essere diventato un locale dove chi sorseggia tè e caffè ama leggere. «Ho dato un contributo a far crescere la mia gente» spiega Dahu. Per Saleh Totah, 45 anni, cresciuto a Long Island la sfida è invece dimostrare che «possiamo prosperare dal di dentro, con le nostre forze, senza dipendere dagli aiuti stranieri». Il suo «La Vie», aperto a ridosso di un campo profughi, è il luogo dove i giovani palestinesi incontrano gli stranieri. Sul tetto coltiva i prodotti organici con cui confeziona i piatti che vende ma non gli basta: «Voglio sconfiggere la burocrazia, creare un agriturismo, far nascere il benessere da questa terra». Parla da newyorchese così come Adbulrahman AlKilani porta con sé il patrimonio di lingue e giurisprudenza frutto degli anni passati a Dubai, da dove è venuto qui per «consentire alle aziende americane, europee ed asiatiche di investire e fare affari». A 21 anni dagli accordi di Oslo che promisero la pace e a 12 anni dalla Seconda Intifada terminata nel sangue, a Ramallah tutti inseguono qualcosa: sogni, scommesse, sfide. Per Seida è «vendere vestiti da sera sempre più belli» dentro City Center Building mentre per Nasser Abdelhadi è imporre il cibo vegetariano del suo «Zeit u Zaatar», «una versione palestinese del cibo al forno» come lo definisce. In questo caso il successo si accompagna a un carattere scintillante, frutto della passione per i musical e «del matrimonio con una donna che per tre volte hanno tentato di convincere a fare il ministro».
L’eredità della lotta armata è nel monumento al ragazzo con la bandiera su piazza Arafat, nelle foto del Raiss scomparso sovrapposte nei negozi alle immagini di Marwan Barghuti - ancora imprigionato - come nelle divise delle guardie d’onore alla Muqata. Ma passeggiando sull’Ersal a prevalere sono le pubblicità che offrono di tutto puntando sull’accostamento fra la Moschea di Gerusalemme e i monumenti di Petra, evocando con chiarezza il legame fra i palestinesi che vivono sugli opposti lati del fiume Giordano.

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