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Ugo Volli
Cartoline
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Una situazione in movimento 09/03/2014

Una situazione in movimento
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli 

Cari amici,

 ho partecipato giovedì sera alla cena annuale dell'Associazione Italia-Israele di Torino, il cui momento più significativo è stato un'analisi molto lucida e brillante sulla situazione del Medio Oriente fatta da Maurizio Molinari, che da due mesi è il corrispondente della "Stampa" da Gerusalemme, dopo essere per molti anni a New York. Non posso naturalmente pretendere di riferire esattamente il suo discorso, ma vorrei darvi l'impressione generale che ne ho tratto.


Maurizio Molinari
La politica mediorientale, dice Molinari, sta cambiando a grande velocità, lasciando indietro schemi consolidati e luoghi comuni di un tempo.
Gli schieramenti tradizionali (laici contro religiosi, civili contro militari, moderati contro estremisti) non reggono più. Anche lo schema della semplice contrapposizione fra sunniti e sciiti sembra funzionare solo in parte.
Secondo Molinari ad esso si affianca una divisione del mondo sunnita che ricorda il vecchio contrasto fra Stalin e Trotzki sulla rivoluzione: svilupparla in un solo paese o esportarla a tutti i costi dappertutto?
La prima posizione è quella dell'Arabia Saudita e anche dell'Egitto (dove il generale Al Sisi non è affatto un laico di stile nasseriano, ma è stato scelto proprio in quanto fedele musulmano, solo che non crede al movimentismo della Fratellanza, anzi lo considera pericoloso), la seconda è quella di Al Qaeda e degli islamisti del Qatar e della Turchia. Proprio il primo ministro turco Erdogan, secondo Molinari è colui che ha "venduto" ad Obama la Fratellanza Musulmana come moderata, provocando poi l'atteggiamento americano sul Medio Oriente.


Kerry,Obama, Erdogan

I "movimentisti" della Fratellanza Musulmana e del Qatar e in parte anche della Turchia non vanno visti necessariamente sempre come nemici dell'Iran sciita, anche se ovviamente hanno delle forti frizioni sulla Siria.
Gli stati non "movimentisti" sarebbero innanzitutto preoccupati della loro stabilità interna. Così si spiegherebbe la rottura diplomatica di questi paesi con il Qatar, la messa fuori legge della Fratellanza Musulmana e magari anche di Hamas in Egitto e anche in Arabia, il delicato equilibrio giordano, e anche la rinuncia dei sauditi a mandare volontari in Siria, pur sostenendo i ribelli con le armi.


Tutto il fronte movimentista sarebbe poi strategicamente alleato della Russia e in un certo senso appoggiato dall'America, sicché gli altri sarebbero costretti a fare da sé. Per queste ragioni oggi ci sarebbe un'alleanza pratica, anche se non sanzionata nei modi tradizionali della diplomazia, fra Egitto e Arabia Saudita con Israele, nel nome della contrapposizione all'armamento atomico dell'Iran.
Il rovesciamento della fratellanza in Egitto sarebbe una grande vittoria del fronte anti-iraniano, mentre le evoluzioni sul terreno in Siria dove Assad sta prevalendo e in Iraq, ormai strettamente legato all'Iran, l'accordo stretto fra Obama e l'Iran e anche la recente invasione russa della Crimea sarebbero punti per il fronte movimentista.
Anche se naturalmente vi sono contraddizioni, perché la Crimea è una vittoria per Putin ma una sconfitta pesante per Obama.

Non voglio approfondire ulteriormente l'analisi di questa situazione, che Molinari ci ha ammonito a seguire senza schematismi, perché è estremamente dinamica; ed io invece ho dovuto molto semplificare in questo riassunto, forse rischiando di deformare il suo pensiero. Mi interessa di più vedere alla luce di questa sintesi l'aspetto che mi interessa di più, cioè quello delle trattative fra Israele, Kerry e Autorità Palestinese. Partiamo da quest'ultima.

Abu Mazen
Abbas, come ci ha spiegato Molinari è estremamente cauto. Hamas ha prima "tradito" gli iraniani e ora, dopo esser stato isolato dall'Egitto, si è completamente riallineato, evidentemente con buoni risultati dato che l'Iran ha appena mandato loro una nave di missili, che però è stata intercettata dalla marina israeliana. L'Autorità Palestinese invece ha sempre oscillato, cercando la protezione dell'America e quella dei sauditi, l'amicizia per Assad e la simpatia per i ribelli, il denaro del Qatar e quello dell'Iran, evitando accuratamente di prendere posizione. Questo atteggiamento le ha evitato il pericolo dell'isolamento, ma ha anche contribuito all'incapacità (o giustificato la mancanza di volontà) di cogliere le occasioni di pace che Israele ripetutamente ha offerto. E in effetti ancora in questi giorni, lo scopo di Abbas sembra quello di lasciar trascorre l'occasione delle trattative (http://www.jpost.com/Middle-East/PA-Grave-mistake-for-Abbas-to-accept-unsatisfactory-deal-344591)  estraendone solo il massimo di vantaggi tattici (la liberazione dei terroristi, una sospensiva dell'edilizia negli insediamenti ebraici) ma evitando di impegnarsi in qualunque modo a ottenere un qualunque risultato finale (http://zvitenney.blogspot.fr/2014/03/les-palestiniens-aspirent-lechec-des.html).
Anzi, adesso che si attende una proposta americana che pure sembra favorevole alle posizioni palestiniste, sembra che l'Autorità Palestinese voglia tornare più vicino alla meno esigente protezione russa (http://www.haaretz.com/news/middle-east/1.578586).
Quel che gli interessa è continuare a gestire la "lotta" contro Israele, che procura soldi e solidarietà, non certo concluderla. Dal punto di vista degli interessi di Israele questa incapacità di impegnarsi può essere un vantaggio, perché il quadro offerto da Kerry sembra inaccettabile e pericoloso: si tratta di "sopravvivere a Obama, come giustamente scrive Carolyn Glick (http://www.jewishworldreview.com/0314/glick030714.php3#.UxnV_Pl5OSo 
ma certamente un interlocutore indeciso a tutto, salvo che a cercare di mettere in difficoltà Israele in ogni modo possibile, non semplifica la situazione. Perché da un lato moltiplica il terrorismo a bassa intensità (la "resistenza popolare") e l'incitamento antisemita sulla popolazione araba che lo stimola (http://mfa.gov.il/MFA/ForeignPolicy/Issues/Pages/Palestinian-incitement-An-obstacle-to-peace-Feb-2014.aspx
e dall'altro intensifica la pressione americana su Israele a livelli di ricatto mafioso. Certo Abbas ha reso chiaro che non è disposto ad accettare Israele nella sua attuale identità come un attore legittimo e permanente del contesto medio-orientale. E' questo che significa la richiesta di Netanyahu di riconoscimento di Israele come stato-nazione del popolo ebraico. Non ce ne sarebbe bisogno in teoria, come non c'è bisogno di definire la Germania come stato dei tedeschi o la Svezia degli svedesi; ma questa identità non viene attaccata come illegittima, mentre quella ebraica sì.
La "narrativa palestinese" che i propagandisti di Abbas dicono a rischio per questo riconoscimento, è esattamente quella dell'illegittimità della presenza ebraica in Medio Oriente: l'origine cioè e la giustificazione della guerra araba contro Israele. Se non cade non ci sarà pace, ma solo un pezzo di carta, come ha detto Netanyahu. Capisco che la parola è piuttosto forte, ma non l'ho inventata io, è l'impressione pubblicamente dichiarata del giornalista che Obama ha usato per dare un segnale di "cattiva accoglienza" a Obama, la settimana scorsa. Jeffery Goldberg ha descritto (http://www.algemeiner.com/2014/03/06/jeffrey-goldberg-says-he-interpreted-obamas-comments-on-israel-as-a-veiled-threat/
 l'atteggiamento di Obama come una "minaccia velata": "caro piccolo stato ebraico, be' devi fare attenzione, non vorrei che ti capitasse qualcosa" [per chi vuole apprezzare il linguaggio da "Padrino", riporto l'originale inglese: “It’s almost up there with, you know, nice little Jewish state you got there, I’d hate to see something happen to it.” ] E poi ha aggiunto, sempre in termini cinematografici che Obama e Kerry si dividono i ruoli come "il poliziotto cattivo e il poliziotto buono dei film". Badate che queste cose non lo dice un avversario del presidente americano, ma uno dei suoi giornalisti prediletti. Non è esagerato pensare che lo dica perché pensa che a Obama possa far piacere che lo faccia... Bisogna aggiungere che Netanyahu ha tenuto benissimo il colpo (http://thefederalist.com/2014/03/03/no-mr-president-israel-isnt-doomed/
se avete un po' di tempo vi consiglio di leggere e sentite qui il suo discorso all'Aipac subito dopo l'incontro con Obama, olimpicamente fermo sulla sua linea riguardo alle trattative e all'Iran, senza mai nominare il presidente americano: http://www.aish.com/jw/me/PM-Netanyahus-Speech-at-AIPAC-2014.html
E che le catastrofi della politica estera di Obama sono tali e tante (fra le ultime l'Ucraina e il discredito totale del suo protetto primo ministro turco (http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2014/03/erdogan-calls-judiciary-tape.html)
, da togliergli almeno parte della sua forza di ricatto. E' vero, come dice Glick, che le prossime elezioni di mid-term sono l'ultima verifica elettorale che Obama deve superare; ma è vero anche che dopo sarà libero di agire come vuole ma probabilmente anche molto indebolito al Congresso.
E' probabile insomma che le trattaive di Kerry non finiscano da nessuna parte. Si tratta però di vedere chi si assumerà la responsabilità del fallimento (o su chi l'America la butterà) e se ne resteranno delle conseguenze anche parziali di questo periodo, se Kerry riuscirà cioè a strappare a israele delle concessioni immediate, che naturalmente Netanyahu non vuole.

Insomma, la situazione è estremamente delicata e cambia molto velocemente. Ma non è detto che lo faccia contro Israele, anche perché sono fortissimi gli elementi fondamentali di forza: il dinamismo economico, scientifico e tecnologico, la ferma direzione politica di Netanyahu, per quel che se ne capisce ora, la capacità di mantenere la pace nello spazio politico amministrato da Israele e di attrarre alleanze anche informali da parte dell'ala non movimentista dell'Islam sunnita.
Insomma, la partita è aperta e anche elementi tradizionalmente propagandati come negativi come le prospettive demografiche, secondo Molinari, debbono essere riviste più approfonditamente sulla base di nuovi dati e nuove analisi. C'è ragione di essere cauti e preoccupati, ma ci sono anche molte ragioni per essere ottimisti.

 Ugo Volli


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