Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

 
Ugo Volli
Cartoline
<< torna all'indice della rubrica
Morire per Obama? 05/03/2014

Morire per Obama?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli


La storia si ripete
Neville Chamberlain, Barack Obama

Cari amici,

sono passati circa 75 anni, tre generazioni, da quando la Gran Bretagna si trovò di fronte, per dirla con le parole di Churchill, la scelta fra il disonore e la guerra, e Chamberlain scelse il disonore senza con questo risparmiare al suo paese la guerra, anzi provocandola. In quei tempi lo slogan dei pacifisti predicava che non avesse senso morire per Danzica. Gli inglesi poi si trovarono a morire per Dunkerque, per la Normandia, per la Libia, per molti posti poco sensati in apparenza.

Oggi di nuovo non moriremo per Danzica, o per l'Ucraina. Gli americani, che più di altri hanno avuto la sorte storica di morire per luoghi lontani (è il destino degli imperi), di recente hanno deciso di smettere di morire per Baghdad, di cercare di non farlo più per Kabul, di stare ben lontani da Damasco, di ignorare l'attacco alla Georgia, di non minacciare neanche Teheran, insomma di risparmiarsi i lutti e le terribili sofferenze dell'impero. Figuriamoci se vogliono subire delle perdite per la Crimea o per Kiev – e se per quello neppure per Varsavia o per Vilnius – chiunque ha un minimo di buon senso lo sa, figuriamoci se non lo ha capito Putin. Per questo hanno eletto Obama, e questo Obama sta facendo, su una logica rigorosamente limitata al qui e ora, che evita a tutti i costi di chiedersi se al disonore di tradire gli amici e di chinare la schiena ai nemici dovrà poi seguire la guerra in condizioni di assai maggiore svantaggio, come accadde agli inglesi in seguito ai patti di Monaco.

Non sta a me, e comunque non in un'opinione così generale, cercare di stabilire se fanno bene o male, se sono saggi o sciocchi. E' chiaro che Obama su questo sentimento di stanchezza ha costruito le proprie fortune politiche (pensate al premio Nobel preventivo che ottenne quattro anni fa). Gli americani non vogliono più fare lo sforzo e pagare il prezzo necessario per trasformare il loro soft power in potere vero, in controllo del mondo; e quindi giocano agli apprendisti stregoni, o lo fanno fare ai loro governanti: un abracadabra e ci sono le “Primavere arabe”, che poi non si sa come finiscono; l'Iran si arma con l'atomica, lo si “ingaggia” (engagement è la parola chiave di questa amministrazione) e quel che conta è prendere un po' di tempo, fare bella figura, poi chi vivrà vedrà.

Non giudico, almeno non oggi e non qui. Vi chiedo solo di mettervi un momento dall'altra parte. Gli inglesi non volevano morire per Danzica, gli americani non vogliono farlo per Damasco o Kiev, li capiamo. Ma che pensano gli abitanti di Danzica, Damasco o Sebastopoli? Ecco, questo è il problema. O meglio: loro possono pensare poco, sotto le bombe naziste, le armi chimiche di Assad o le milizie di Al Qaeda, i soldati senza mostrine di Putin (anche toglier loro le insegne è una violazione del diritto internazionale, sia detto fra parentesi) che li trasforma in banditi per sottrarsi all'evidenza della responsabilità politica. Ma i prossimi, che ne pensano? Che pensano i polacchi dello slogan “morire per Varsavia?” E i baltici?

Non lo sappiamo. Abbiamo letto che hanno chiesto riunioni della Nato; certo si interrogano se si sono messi dalla parte giusta. Ma in altri casi lo sappiamo, soprattutto in quello che ci interessa di più, Israele. Bisogna capire che la sceneggiatura del “morire per Danzica?” è disonorevole perché viola un impegno. Le potenze si assumono la responsabilità dei piccoli stati, in maniera più o meno ufficiale, assicurano che ci penseranno loro, che eviteranno le aggressioni, magari schierano delle forze di appoggio e di interposizione... e poi spariscono, scoprono di avere urgenti programmi di riforma sanitaria o di valorizzazione delle minoranze, e tornano a casa a occuparsi di queste.

Bene, Israele di queste scene ne ha viste parecchie. C'erano forze internazionali che dovevano garantire la navigabilità del Mar Rosso, quando l'Egitto cercò di bloccare Israele. Naturalmente non vollero morire per Eilat, e ne venne la guerra del Kippur. C'erano forze internazionali sul Golan fino a un paio d'anni fa; quando sono arrivati lì i combattimenti, si sono chieste se valeva la pena di morire per Tiberiade e se ne sono andate a casa; ci sono forze internazionali sul Sinai che dovrebbero anche garantire il confine con Gaza, ma non vogliono morire per questo e se ne stanno barricate nei loro accampamenti; ci sono forze internazionali in Libano che dovrebbero garantire il disarmo di Hezbollah e che non hanno fatto una piega di fronte ai 100 mila missili che l'organizzazione terrorista ha portato in una zona che dovrebbe essere smilitarizzata e un paio di volte, quando sono state per caso presenti in luoghi dove avvenivano “cose strane”, sono state anche disarmate e minacciate senza sognarsi di reagire: morire per la Galilea? Figuriamoci.

Israele sa benissimo che l'America, almeno quella di Obama non sarebbe disposta neppure a far morire i suoi uomini per la valle del Giordano o per Gerusalemme, checché ne dica oggi. E dunque... E dunque non si fida, non desidera protezioni di sorta, non vuole forze internazionali, dell'Onu, della Nato, americane o altro cui affidare la propria sicurezza, come insistono invece gli americani stessi e l'Autorità Palestinese. E' uno dei problemi della trattativa di pace. Perché, vedete, se Obama non ha la minima intenzione di far morire i suoi per posti lontani come Kiev o Gerusalemme, neanche gli abitanti di questi posti, in particolare quelli di Gerusalemme che sanno come difendersi, sono disposti a mettersi in casa i terroristi aspettando che lui li difenda. O in altri termini, non sono disposti a morire per Obama.

Ugo Volli


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui