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La Stampa Rassegna Stampa
04.03.2014 Bibi-Obama: se i colloqui vanno male...
cronaca di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 04 marzo 2014
Pagina: 15
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Obama sprona Netanyahu: 'Fare la pace, se non ora quando?'»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 04/03/2014, a pag. 15, l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo "Obama sprona Netanyahu: 'Fare la pace, se non ora quando?' ".


Bibi Netanyahu con Barack Obama

Il commento di IC è contenuto nella 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=52638


Paolo Mastrolilli

C’erano tutti gli elementi del gelo, se non dello scontro, nel vertice di ieri alla Casa Bianca tra il presidente Usa Obama e il premier israeliano Netanyahu. Il primo, infatti, ha cercato di spingere l’ospite ad accettare il «framework» preparato dal segretario di Stato Kerry per rilanciare il negoziato di pace con i palestinesi, ma il secondo ha risposto che la sicurezza viene prima di tutto.
Alla vigilia dell’incontro, Obama ha rilasciato un’intervista molto diretta all’agenzia Bloomberg: «A Netanyahu dirò: se non ora, quando? E se la pace non la farà lei, chi la otterrà?». Quindi ha aggiunto: «Se Netanyahu non crede che la pace con i palestinesi sia la cosa giusta per Israele, deve articolare un approccio alternativo». Secondo Obama, però, «è difficile produrne uno plausibile. Arrivi al punto in cui non puoi più gestire la situazione, e cominci a dover fare scelte difficili. Ti rassegni a un’occupazione permanente della Cisgiordania?». Per il presidente il negoziato è insieme una necessità politica e demografica, perché lo stop agli insediamenti e la pace sono l’unica opzione per garantire un futuro allo Stato ebraico: «Se i palestinesi si convincono che la possibilità di avere uno Stato contiguo sovrano non è più raggiungibile, la nostra capacità di gestire la ricaduta internazionale sarà limitata». Da qui la proposta del «framework» di Kerry, che prevede la prosecuzione delle trattative oltre la scadenza di aprile, sulla base di alcuni punti fermi: creazione di uno Stato palestinese sulla base dei confini pre 1967, ma con scambi di territori che tengano conto dei «cambiamenti demografici» avvenuti nel frattempo, cioè gli insediamenti; Gerusalemme capitale condivisa; riconoscimento di Israele come stato ebraico; rinuncia al ritorno nei suoi confini dei profughi palestinesi.
Netanyahu ha risposto con altrettanta chiarezza: «Dobbiamo essere fermi sui nostri interessi cruciali. Io ho tentato di farlo, contro pressioni e incertezze, e continuerò. Non sacrificherò la sicurezza dei cittadini di Israele. Il tango in Medio Oriente si balla in tre: finora lo hanno fatto israeliani e americani, mancano i palestinesi».
Sullo sfondo un altro elemento divide Obama e Netanyahu: l’Iran. Il presidente vuole portare avanti il negoziato nucleare, ed è risentito con l’organizzazione ebraica Aipac che spinge il Congresso ad approvare nuove sanzioni. Il premier pensa che la base stessa della trattativa sia sbagliata, perché non ha l’obiettivo finale di imporre la distruzione dell’intero apparato nucleare iraniano.

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