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Ugo Volli
Cartoline
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Chi ha vinto a Washington? 04/03/2014

Chi ha vinto a Washington?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli


Bibi Netanyahu con Barack Obama

Cari amici,

non poteva capitare in un momento più significativo l'incontro fra Obama e Netanyahu, che si è svolto ieri: con l'impotenza americana di fronte all'aggressività russa in Ucraina, lo stallo dell'accordo raggiunto proprio con la mediazione russa sulle armi chimiche siriane, l'evidente mancanza di volontà da parte dell'Iran a bloccare il proprio progetto nucleare, l'aggressività cinese nei confronti del Giappone che non si quieta, la crisi economica che non è certo risolta, il progetto sanitario dell'amministrazione democratica sostanzialmente bloccato, le guerre civili che dilaniano gli stati arabi in pieno svolgimento. Sono cose molto diverse fra loro, ma tutte assieme indicano due fatti indubitabili e correlati: uno stato di grave turbolenza nella politica mondiale, certo il peggiore degli ultimi trent'anni e il fallimento totrale della politica americana di appeasement con i propri nemici, che ha caratterizzato dall'inizio questa amministrazione. Il disordine del mondo erompe perché non vi è più chi lo governi, neppure chi cerchi di farlo, dato che l'America di Obama vi ha rinunciato.

Poteva sembrare cinque anni fa, col discorso del Cairo, che Obama riuscisse a fare la pace col mondo arabo e islamico; è chiaro che non ci è riuscito, tutto il contrario: gli hanno ammazzato un ambasciatore, non conta più granché in paesi chiave come l'Egitto e l'Arabia Saudita, non ha le forze per pacificare Siria e Iraq, continua a essere il nemico di Al Qaeda, mai così forte come oggi, dell'Iran cui ha teso più di una mano, di tutte le forze islamiste. Poteva sembrare, più o meno in quell'epoca, che la competizione dura con la Russia, eredità della guerra fredda, potesse trasformarsi in un accordo. Chiedete oggi che ne pensano georgiani, ucraini, e magari anche polacchi e popoli baltici. Si poteva mettersi d'accordo con la Cina, far crescere la democrazia in Sudamerica, insomma realizzare un mondo libero e bello dove non ci fosse più bisogno del gendarme americano. Il risultato di questo sogno è chiaro: il gendarme se ne sta a casa sua, non certo a suo agio e per strada dominano i tagliagola e  gli ubriachi si picchiano a morte.

In questo quadro si incontrano "l'uomo più potente del mondo" (ammesso che qualcuno lo pensi ancora) e il suo "riottoso vassallo" (sempre che qualcuno ci creda). I due non si sopportano, è noto. Anche perché Obama, abbandonando tutto il mondo a se stesso, ha deciso di concentrare le sue energie nel piegare Israele a un accordo con l'Autorità Palestinese che non con convince né l'uno né l'altro. Non si sa perché Obama abbandoni Afghanistan e Siria e Iraq e Ucraina ai loro destini e si concentri su Israele: forse perché è così piccolo e pensa di potercela fare, forse per ideologia, perché condivide il punto di vista dei suoi fratelli musulmani (letteralmente, ha un fratello musulmano in Kenia che è stato variamente coinvolto in rapporti coi terroristi) e crede che di tutte le crisi, quella che oppone Israele e il mondo arabo sia la più importante di tutte. Fatto sta che ancora una volta Obama accoglie Netanyahu in maniera decisamente poco diplomatica (http://www.timesofisrael.com/for-netanyahu-a-bombshell-battering-by-obama/), con un'intervista pubblicata da un altro dei suoi tirapiedi nella stampa che usano un nome ebraico per sparare a palle incatenate contro Israele, questa volta un Goldberg invece di un Friedman, per spiegare che il governo israeliano mette in pericolo il suo paese e la pace e che deve sbrigarsi a fare come dice lui, se no ne pagherà le conseguenze (lo potete leggere qui: http://www.bloombergview.com/articles/2014-03-02/obama-to-israel-time-is-running-out , qui trovate qualche commento: http://www.commentarymagazine.com/2014/03/02/the-presidents-prophetic-threats-to-israel/, http://www.timesofisrael.com/for-netanyahu-a-bombshell-battering-by-obama/).

E' un episodio abbastanza inedito nella diplomazia internazionale, non solo perché Obama se la prende personalmente Netanyahu, chiamandolo col suo nomignolo Bibi e usando contro di lui in maniera assai poco filologica delle citazioni talmudiche (  http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Analysis-Putting-it-all-on-Netanyahus-shoulders-344198), ma anche perché mentre i conti dell'amministrazione Obama sono evidentemente in crisi, come ho detto sopra, quelli di Israele sono buoni, sia sul piano economico e tecnologico, sia su quello politico e militare. Israele e la Giudea e Samaria sono i soli posti sicuri in Asia e Africa nel raggio di tremila chilometri, la tanto minacciata intifada non si è concretizzata, il boicottaggio certo non morde la sua economia. Certo, vi sono difficoltà e conflitti, ma oggi è difficile trovare un solo posto che abbia il grado di libertà e di crescente sviluppo di cui gode lo stato ebraico. Dunque è assai bizzarro che Obama, in piena crisi ucraina, voglia dare lezioni a qualcuno sulla politica estera (http://www.reuters.com/article/2014/03/03/us-usa-israel-idUSBREA220C920140303); diciamo che la faccia tosta al presidente americano non manca.

Salvo che si pensi che i suoi non sono consigli da fratello maggiore, ma minacce da bullo di paese (la stessa ambiguità c'era stata già nel molto commentato discorso di Kerry a Monaco due mesi fa, quando aveva detto grosso modo: o Israele fa come diciamo noi o finirà in un sacco di guai). Ed è questa la sostanza della questione. Quel che la Russia fa all'Ucraina, Obama vorrebbe fare a Israele: cambiargli governo e politica, decidere le sue alleanze, insomma farne davvero un vassallo. Il problema è che anche qui, almeno finora, ha fallito. In pubblico Netanyahu ha tirato fuori tutto il suo garbo diplomatico, ha ringraziato Kerry per i suoi sforzi, ha detto di essere impegnato alle trattative anche lui, ma che "la pace in Medio Oriente è un tango che si balla in tre" (Israele, Usa, Autorità Palestinese), peccato che quest'ultima non voglia danzare. E in effetti, puntualmente allineati con la tradizione di non perdere un'occasione di non perdre un'occasione, Abbas ha fatto sapere che di un qualunque punto di mediazione a lui non importava nulla, o Israele accetta di suicidarsi o le trattative finiscono il mese prossimo, con l'ultima liberazione dei suoi assassini catturati, se ci sarà (http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/Abbas-If-Kerrys-framework-not-satisfactory-PA-will-end-talks-seek-unilateral-recognition-344133).

Quel che Obama e Netanyahu si siano detti in privato non sappiamo, anche se sembra che Netanyahu abbia cercato di spiegargli la differenza fra una pace vera e un pezzo di carta con delle firme sopra o delle strette di mano davanti alle telecamere, quelle che piacciono così tanto a lui (http://www.jpost.com/Diplomacy-and-Politics/WATCH-LIVE-Netanyahu-and-Obama-meet-at-the-White-House-344144). Per ora sembra che il primo ministro israeliano abbia tenuto duro, come aveva promesso, ignorando le minacce assai poco larvate del presidente americano. Il fatto è che se gli Usa ci si mettono, possono effettivamente rovinare Israele sul piano economico, politico e militare. Ma, per l'appunto, devono mettercisi, e l'elettorato americano e il Congresso sono massicciamente filo-israeliani, più di quando non siano mai stati. Obama non può mettersi anche in questa contraddizione senza subire danni molto grandi, e per questo, ostentando pessimismo (http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/1.577324) sta da un lato cercando di ridurre l'influenza delle organizzazioni ebraiche e dall'altro bada a fare la parte di quello che sarebbe pro-israeliano ma ne viene impedito proprio dal cattivo governo israeliano (http://www.timesofisrael.com/obama-us-wont-be-able-to-defend-israel-if-peace-talks-fail/), usando in questo la sponda di un' Europa anch'essa del tutto immersa nel proprio fallimento, ma pronta a boicottare Israele ( http://www.meforum.org/3747/europe-boycott-israel).

Vedremo i risultati di questo incontro nelle prossime settimane. Capiremo se avremo assistito solo a un'altra delle sceneggiate da suk mediorientale che prelude alla svendita di Israele o alla certificazione di un altro fallimento americano. Per ora non ci resta che aspettare e sperare che il governo israeliano tenga fede al suo patto con gli elettori: partecipare sì alle trattative, non chiudere la strada ai due stati, ma senza rinunciare a difendere la vita di quel dieci per cento della popolazione che vive in Giudea e Samaria e soprattutto la sicurezza di Israele.


Ugo Volli


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