Che cosa significa la crisi ucraina
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
non è nella nostra tipica zona di interesse territoriale, il Medio Oriente, ma credo che bisogna riflettere sugli eventi in Ucraina. Non parlo delle minacce antisemite che sono emerse, a quel che ho capito, da entrambi i lati della contesa interna (l'ultima sinagoga a essere attaccata si trova a Simferopol, il capoluogo della Crimea, controllata dalle truppe russe e dai loro sostenitori). Ovvio che vadano condannate e che si debba fornire assistenza agli ebrei in difficoltà, come sta facendo il governo israeliano.
A parte questo, non saprei decidermi chi criticare di più, fra filoeuropei inquinati da una consistente presenza di estrema destra e filorussi tendenzialmente dittatoriali che picchiano i dissidenti, con reparti speciali particolarmente famigerati e (anche loro) inquinati da nostalgici di Stalin.
Non è questo il mio scopo. Quel che mi sembra importante sottolineare è che per la prima volta dall'89 in piena Europa, non in Georgia in Abcazia o in Cecenia (dove queste cose sono già accadute) l'esercito russo ha iniziato a portare il proprio "fraterno aiuto" alla popolazione, come usava fare ai tempi d'oro in Polonia, in Ungheria e altrove.
Comunque la si pensi sulla situazione interna, è una evidente violazione del diritto internazionale e anche di una serie di accordi specifici; come se, a suo tempo, truppe tedesche fossero entrate in Italia in difesa dei sudtirolesi oppressi, o l'Italia si fosse attribuita la difesa dei corsi con qualche sbarco dalle parti di Bastia.
Ma anche su questo non intendo soffermarmi se non per notare un altro assordante silenzio di pacifisti, sindacalisti, tutori dei diritti dei popoli. A me sembra probabile che se Putrin si è preso il rischio di mandare le truppe in Ucraina con un voto ufficiale del Senato, non l'ha fatto per caso o senza pensarci o sulla base di un'ira del momento (fra l'altro non mi risulta che vi sia nessuna persecuzione in atto dei russofoni del sudest del paese. E' una mossa calcolata e probabilmente molto bene.
Certo l'Europa non è in grado di opporglisi sul piano politico, non diciamo su quello militare. Obama ha fatto una dichiarazione di una vaghezza imbarazzante - tipo: non sarò il solo a pensare che si potrebbe sostenere che potrebbero esserci dei prezzi da pagare per un intervento, e il solo prezzo che gli è venuto in mente di citare è l'eventualità che lui stesso possa evitare di dare agli abitanti di Sochi, non ancora sazi di Olimpiadi, il piacere di applaudirlo fra un mesetto quando dovrebbe svolgersi da quelle parti il G8... sai che paura.
Insomma è probabile che dalla crisi si esca come si è usciti da quella della Georgia (che però sta 500 chilometri più a sudest, oltre il Caucaso, geograficamente in Asia): con una riaffermazione della sfera di influenza russa su quel paese. E però l'Ucraina è il centro dell'Europa orientale, confina con Romania, Slovacchia, Repubblica Boema, Ungheria, Polonia, tutti paesi dell'Unione Europea; è più o meno a 500-700 chilometri senza ostacoli geografici significativi da Italia, Austria Germania, Lituania, Bulgaria, Groazia, Slovenia, per non parlare dei paesi terzi; insomma controlla i confini orientali dell'Europa.
Che la Russia ne assuma il controllo, magari senza invaderla alla maniera di Budapest 1956, ma semplicemente facendo vedere che lo può fare impunemente, è una minaccia indiretta ma precisa al cuore d'Europa, il rtitorno per certi versi alla situazione di trent'anni fa. Tant'è vero che c'è stata una richiesta dei Paesi Baltici di una riunione d'emergenza della Nato sulla base dell'articolo 4 del trattato, usato molto di rado, perché parla di una minaccia o di un'aggressione a uno stato membro, cui tutti gli altri sono tenuti a rispondere.
Questa situazione europea va completata con uno sguardo al Medio Oriente. La Russia rischia di essere padrona (indirettamente) della casella centrale della scacchiera europea, ma lo è già nell'altro teatro, quello che ci interessa.
E' lei che sostiene militarmente Assad, da cui ha avuto una base marittima essenziale. E' lei che si muove dietro l'Iran, impedendone l'isolamento.
E l'Iran, senza che la cosa abbia fatto grande impressione, è il vero padrone dell'Iraq o di quel che ne resta senza l'autonomia curda e le provincie sunnite ribelli. Insomma, la sua influenza si estende sul Golfo Persico e potrebbe arrivare in fretta anche a comprendere il canale di Suez, se continuano i contatti con l'Egitto mentre l'America persiste a condannare il nuovo regime laico militare e a rimpiangere gli islamisti della Fratellanza Musulmana deposti l'anno scorso.
Il punto cui volevo arrivare è proprio questo. In cinque anni di presidenza Obama, la Russia ha riguadagnato buona parte di quel che aveva perduto nell'89: non la Polonia e la Germania Est e i paesi baltici, non tutta l'influenza fra gli "stan" dell'Asia centrale (ma molta sì) e però una serie di posizioni che in Medio Oriente aveva perduto vent'anni prima o non aveva mai avuto, in particolare verso quell'arteria fondamentale dell'energia che è il Golfo Persico. La politica di appeasement che Obama ha applicato con l'Iran e con la Siria in realtà tentava di essere un accordo strategico con la Russia, che era garante sia delle trattative con Assad (ora sostanzialmente fallite) sia di quelle con l'Iran. L'idea dell'accordo coi nemici a spese degli alleati risale a quel bottone "reset" che Hilary Clinton, allora segretario di stato, offrì simbolicamente al primo incontro con Putin.
Invece della competizione del passato doveva esserci collaborazione: un programma in cui Obama sembra credere ancora, ma che non è stato affatto seguito da Putin, attento a guadagnare ogni vantaggio che si presentasse possibile. E' così che la ritirata americana dal Medio Oriente sta rivelandosi una fuga disordinata: nessun vantaggio in Iraq dopo anni di impegno, lo stesso in prospettiva con l'Afghanistan e la Libia, rotture con l'Egitto e con l'Arabia Saudita appena velate dai modi della diplomazia, tensione con Israele, nessun risultato positivo dalla politica inconcludente in Siria, indebolimento e progressivo smascheramento della corruzione e della violenza del governo turco, appoggiato da Obama perché islamista "democratico".
In cambio l'odio ribadito di Iran, della popolazione dell'Autorità Palestinese, della generalità degli arabi e dei musulmani. Ora, in prospettiva, la perdita dell'Europa. Perché il punto in gioco in Ucraina è l'egemonia dell'Europa. Se l'America, come sembra, si dimostrerà irrilevante o indifferente in questa storia, è chiaro che il potere russo sul nostro continente aumenterà molto e magari si rinsalderà quell'alleanza con la Germania che sta già sviluppandosi da qualche tempo e che si è vista all'opera sull'Ucraina.
Un asse fra Russia e Germania, cioè fra materie prime e tecnologia, forza militare e forza economica, spazio continentale e popolazione attiva, è perfettamente sensato sul piano strategico e rischia di realizzare i peggiori incubi britannici e americani, quelli che portarono alle due guerre mondiali del Novecento. Il problema non riguarderà probabilmente Obama ma il suo successore, ma certamente rischia di chiudere del tutto il secolo americano, la potenza navale anglosassone, chidendo l'America nel suo isolazionismo.
Che conseguenze la cosa avrà per Israele è difficile dire; certamente per l'Europa non russo-tedesca è la condanna a una condizione subordinata, che potrebbe fare dell'Italia un bel resort turistico o un parco tematico per le vacanze dei padroni. Vedremo. Per ora basta capire che anche lo sviluppo di questa crisi dipende dalla scelta drammaticamente sbagliata fatta dagli elettori americani un anno e mezzo fa. Chi ama la libertà europea e americana può solo sperare che il tempo di questa amministrazione passi in fretta e che la prossima volta gli americani non premino i complici della sconfitta, i Kerry e le Clinton.
Ugo Volli