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La Stampa Rassegna Stampa
28.02.2014 La situazione dei profughi palestinesi in Siria
cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 28 febbraio 2014
Pagina: 10
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Siria, la vita in trincea dei 20 mila palestinesi del campo di Yarmouk»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 28/02/2014,a pag. 10, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Siria, la vita in trincea dei 20 mila palestinesi del campo di Yarmouk".


Francesca Paci        La foto del campo profughi di Yarmouk in Siria

Ieri, nel nostro pezzo (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=52584)  criticavamo l'ambiguità della non citazione del fatto che i profughi palestinesi di Yarmouk fossero in Siria, oggi i quotidiani riprendono la notizia, chiarendo anche nelle titolazioni che tutta la vicenda è all'interno della Siria. E non altrove.
Ecco il pezzo:

Il campo profughi palestinese di Yarmouk, dove è stata scattata la foto della fila oceanica per il pane, ha iniziato a morire il 30 marzo 2011. «Le cose per noi si mettono male» disse quel giorno il 45enne Omar seguendo dal tinello al pianterreno di un vicolo di Yarmouk il primo discorso del presidente dopo le proteste a Daraa e Latakia. Allora, pur citando la questione palestinese, Assad parlò di sedizione e di cospirazione esterna e interna. Un anno e circa 10 mila morti dopo il leader di Hamas Khaled Meshal avrebbe abbandonato la capitale siriana in cui viveva da dieci anni protetto come un capo di Stato.

Omar, maestro in una delle 20 scuole elementari locali dell’Onu, era uno dei 150 mila abitanti del campo nato nel 1957 a sud di Damasco. Dopo 7 mesi di assedio lealista è probabile che la sua casa color cemento sia un rudere e che il vicino giardino con le altalene per i bimbi abbia visto vagare i fantasmi affamati a caccia di gatti e ciuffi d’erba di cui narra chi è ora in Giordania.
Yarmouk, dove restano meno di 20 mila persone, era diverso dagli altri campi palestinesi. Mentre a Beirut un muro di cinta segnala l’arrivo a Sabra e Chatila, a Damasco non ti saresti accorto di entrare nel quartiere dei rifugiati del 1948 se non fosse stato per i cartelli stradali con la scritta Mukhayyam al-Yarmouk, campo di Yarmouk. Certo gli edifici avevano un lugubre aspetto sovietico ma c’era verde, negozi forniti, una dimensione borghese in cui si trovavano bene anche i siriani.
«Mentre i nostri fratelli in Libano non hanno diritti noi eravamo integrati, lavoravamo negli uffici governativi» racconta Safwat, medico in uno dei 4 ospedali di Yarmouk scappato a Gaza 5 mesi fa dopo aver ricevuto l’ultimatum dell’esercito per non aver staccato il respiratore a un ribelle ricoverato. Fino al 2011 i palestinesi di Yarmouk erano i soli disposti a sussurrare di non essere interessati al «ritorno». Pochi ottantenni custodivano la chiave della casa lasciata nel ’48 agli israeliani. I 5 membri del gruppo Refugees of Rap cantavano una patria mitica da visitare ma a tempo.
Poi tutto è cambiato a una velocità spiegabile con l’interessata attitudine del regime per i palestinesi. Dopo che il leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina Jibril si è schierato con Assad fornendo anche i suoi uomini di Yarmouk, il campo è diventato una trincea. A nord i filo regime, a sud il Libero Esercito Siriano ospite dei palestinesi di Hamas e di sigle pro ribelli come la Liwa al-Asifah. In mezzo, tra gli spari incrociati, i cecchini sui tetti e i lealisti che bloccano l’accesso al campo, gli spettri che abbiamo visto nella foto.
«Le persone sono intrappolate tra le fazioni, soldati e disertori, estremisti, sgherri del regime» racconta nel campo profughi di Zaatari, in Giordania, l’80enne Samiah. È scappata nel 1948 da Gerusalemme e oggi dalla Siria. Yarmouk è la miglior via d’accesso da sud a Damasco perché permette di aggirare l’autostrada e entrare direttamente in città. I ribelli lo sanno. Come lo sa il regime.

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