Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 28/02/2014, a pag. 10, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Obama e Ue in pressing su Netanyahu".
Maurizio Molinari
a destra, Bibi Netanyahu con Barack Obama
In tutte le città italiane, attivisti di Amnesty International invitano i passanti con depliant illustrativi dei successi della organizzazione nel campo dei diritti umani. In realtà Amnesty attacca quasi e soltanto le democrazie occidentali dove la sua presenza non corre alcun rischio. Non ci risulta, infatti, che Amnesty sia presente nei Paesi dove i diritti umani e civili sono inesistenti. Molto più comodo fare bella figura nelle quiete e tranquille strade dei Paesi democratici. Adesso Amnesty attacca Israele, chiudendo gli occhi e ignorando tutto quello che avviene nei Paesi limitrofi.
Amnesy, altro che Amnesty !
Ecco l'articolo:
Cresce la pressione internazionale su Benjamin Netanyahu a tre giorni dall’incontro alla Casa Bianca voluto da Barack Obama per rompere lo stallo nel negoziato con i palestinesi. Sono tre i fronti d’attacco sul premier israeliano. Sui diritti umani «Amnesty International» pubblica il rapporto intitolato «Grilletto facile» nel quale accusa l’esercito israeliano della morte di 45 palestinesi in Cisgiordania, fra il 2011 e il 2013, spingendosi ad ipotizzare «crimini di guerra» frutto dell’«impunità con cui i soldati possono agire». Sull’economia protagonisti sono alcuni Paesi Ue, accentuando le critiche agli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Infine c’è il negoziato, dove i palestinesi di Abu Mazen rifiutano l’ipotesi israeliana di un prolungamento delle trattative - dopo la scadenza di primavera - chiedendo un’intesa sui contenziosi e minacciando in caso di disaccordo di «tornare all’opzione del ricorso alla rivolta». L’intento comune è di mettere Netanyahu alle strette per obbligarlo alle concessioni suggeritegli da Washington: rinuncia alla sovranità sulla Valle del Giordano e smantellamento di parte degli insediamenti. Obama spera di ottenere passi indietro da Netanyahu prima della presentazione delle «proposte quadro» preannunciate dal Segretario di Stato John Kerry, per poi passare a premere per ottenere concessioni da Abu Mazen, negli Usa il 17 marzo. Netanyahu non ha grandi ma rgini di manovra. I sondaggi suggeriscono che la maggioranza degli israeliani non si fida di Abu Mazen e teme che un ritiro dalla Cisgiordania porterebbe terroristi e missili a un tiro da Tel Aviv. Dentro la coalizione prevale la sfiducia nei confronti di Kerry, fino al punto da far emergere altri leader - da Naftali Bennet a Moshe Yaalon e Avigdor Lieberman - come possibili successori di Netanyahu. E dall’establishment militare viene una richiesta di prudenza in ragione dell’instabilità della regione. Stretto fra pressioni esterne e interne, Netanyahu gioca in attacco: accusa Amnesty di «razzismo» per un rapporto che «ignora l’aumento della violenza contro di noi», trova nella cooperazione hi-tech un terreno per rilanciare il legame con l’Ue e fa sapere ad Abu Mazen che dovrà rinunciare al diritto al ritorno dei profughi del 1948, accettando Israele come «Stato Ebraico». L’incontro alla Casa Bianca si presenta tutto in salita .
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