Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/02/2014, a pag. 45, gli articoli di Maurizio Molinari titolati " Com’è difficile girare il mio film a Gerusalemme " e " Il sindaco: 'Aiuti economici se Hollywood porta qui i set' ".
Ecco i pezzi:
" Com’è difficile girare il mio film a Gerusalemme "
Natalie Portman durante le riprese del film Amos Oz
Natalie Portman sceglie Nahlaot per girare il film sulla vita di Amos Oz ma deve fronteggiare le proteste dei residenti ortodossi che le chiedono di andarsene. Nahalot è un quartiere di Gerusalemme, fra il mercato di Machanè Yehuda e il centro della città, dove l’attrice ha iniziato ad ambientare alcune scene sulla gioventù della scrittore negli Anni 40. Si tratta del suo primo film da regista e girarlo nella città dove è nata gli assegna un valore particolare anche perché Oz ha accettato di affidarle la rappresentazione del libro autobiografico Sippur al-Ahava ve-Choscech (Una storia d’amore e di tenebra) in omaggio alla «sua capacità di essere protagonista dell’arte». In concreto si tratta di ricostruire il periodo finale del Mandato britannico sulla Palestina e i primi anni di vita dello Stato Ebraico, durante i quali il piccolo Amos incrocia il cammino con personaggi come David Ben Gurion, Shmuel Agnon e Shaul Tchernichovsky, ha per insegnante il poeta Zelda e si ribella alle radici mitteleuropee della propria famiglia abbandonando il cognome paterno Klausner per Oz (coraggio) al fine di sottolineare il legame con la terra di Israele. Nel film Portman è anche attrice - interpretando la madre dello scrittore - a conferma di un coinvolgimento, personale e artistico, evidenziato dalla decisione di trasferirsi temporaneamente in Israele, assieme a marito e figlio, al fine di consegnare a Hollywood una pellicola che sovrapponga il suo debutto di cineasta con una delle opere più popolari di Amos Oz. Basti pensare che il libro è stato tradotto in oltre 50 lingue, inclusa un’edizione curda stampata nel Nord dell’Iraq e una in arabo finanziata da Elias Khoury, l’avvocato arabo-israeliano che perse il padre in un attentato kamikaze nei pressi di Piazza Zion proprio a Gerusalemme. Il sindaco Nir Barkat ha compreso il significato del film per la diffusione nel mondo dell’immagine della città come culla di Israele e ciò spiega perché la l’Authority per lo sviluppo di Gerusalemme ha contribuito alla produzione con circa mezzo milione di dollari ma quando telecamere, truccatori e comparse sono entrate a Nahlaot i residenti hanno tentato di metterli alla porta. Spiegando che non erano benvenuti e dovevano andarsene. Con una lettera aperta a Channel 10, il canale tv di news più seguito, hanno spiegato che «Nahlaot non è il luogo giusto per essere trasformato in un set cinematografico». «Per realizzare le riprese sono state scelte alcune strade dove si trovano sinagoghe e scuole religiose - recita la lettera - dimostrando scarsa sensibilità per i residenti del quartiere e poco rispetto per i loro valori più cari». Sulle mura di Nahlaot sono così comparse scritte nelle quali si denuncia l’«invasione straniera» assieme a cartelli esposti da famiglie ortodosse nei quali si chiede agli attori di «vestirsi in maniera rispettosa». Per il vice sindaco, Rachel Azaria, è la dimostrazione che «in questa città c’è un costante attrito fra il desiderio di celebrare la diversità e il tentativo dei gruppi estremisti di non farlo». Azaria è convinta che «la produzione riuscirà ad imporsi, portando a termine un progetto ambizioso destinato ad evidenziare la crescita di Gerusalemme come luogo ospitale per le arti». Resta il fatto che all’apparire in strada di una scolaresca di bambini con abiti Anni 40, Portman si è trovata a fronteggiare ostilità motivate dal timore degli ortodossi a essere coinvolti in una pellicola «poco rispettosa». La reazione dell’attrice-regista è stata di andare all’attacco. «La settimana prima abbiamo girato a Mea Shearim, un’area assai più ortodossa di questa e nessuno ha sollevato proteste - ha detto Portman - non sono disposta da farmi condizionare a Nahlaot da voci che vogliono impedirmi di lavorare a Gerusalemme e per Gerusalemme». E’ una reazione tanto determinata da svelare un lato del carattere dell’attrice e del suo rapporto con Israele: il legame con l’idea laica del sionismo delle origini e la convinzione che Gerusalemme debba continuare a rappresentarlo. Anche nei vicoli di Nahlaot, a dispetto di un aumento della popolazione religiosa che minaccia di ridurre gli spazi di vita pubblica per famiglie laiche simili a quelle da cui vengono Portman e Oz.
" Il sindaco: 'Aiuti economici se Hollywood porta qui i set' "
Maurizio Molinari Nir Barkat, sindaco di Gerusalemme
Gerusalemme è intenzionata a trasformarsi in un set di Hollywood. Il sindaco Nir Barkat ha confezionato un pacchetto di facilitazioni finanziarie per i produttori che decideranno di girare film e serial tv nella Città Santa e la Nbc Universal è la prima a cogliere l’opportunità puntando su alcuni dei luoghi archeologici più noti al mondo per ambientare Dig. Si tratta di un thriller che ruota attorno ad un agente dell’Fbi impegnato a catturare l’assassino di un noto archeologo e la serie tv, ideata da Gideon Raff già autore della versione originale di Homeland, promette di accompagnare i telespettatori nei vicoli a cielo aperto e cunicoli sotterranei della Città Vecchia confezionando un prodotto che punta agli Emmy del prossimo anno. L’idea di attirare i produttori di Hollywood a Gerusalemme è frutto dei ripetuti incontri avuti da Barkat con Natalie Portman, l’attrice israelo-americana impegnata in queste settimane a girare nel quartiere di Nahlaot un film sulla vita dello scrittore Amoz Oz.
Ma la reazione dell’Autorità nazionale palestinese non si è fatta attendere e con Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’Olp, ha ammonito Nbc Universal sul «rischio di legittimare l’annessione israeliana di Gerusalemme e la distruzione dell’identità originaria del centro della città». Ashrawi teme che il proliferare di set, riprese e registi nella Città Vecchia porti a diffondere nel grande pubblico l’immagine di una città completamente israeliana penalizzando «la presenza degli arabi palestinesi» e dunque nuocendo anche alla battaglia negoziale condotta dal presidente Abu Mazen per farne la capitale del nuovo «Stato di Palestina». Cory Shield, vice presidente di Nbc Universal, si è affrettata a rassicurare le autorità di Ramallah: «Faremo attenzione a non girare immagini nel villaggio di Silwan e nell’area archeologica della Città di David perché sappiamo che si tratta di aree al centro di contestazioni e negoziati».
In concreto ciò significa che le telecamere non riprenderanno immagini di Gerusalemme Est se non limitate al «Kotel», il Muro Occidentale simbolo della presenza ebraica nella città. L’offerta di Barkat per allettare i produttori stranieri, americani o meno, è nei numeri: a chiunque spenderà 7 milioni di dollari in Israele, di cui almeno 1 milione di Gerusalemme, saranno assegnati aiuti pari al 25 per cento delle spese sostenute.
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