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La Repubblica Rassegna Stampa
25.02.2014 Cordoba: le pretese degli islamici sulla basilica
cronaca di Omero Ciai

Testata: La Repubblica
Data: 25 febbraio 2014
Pagina: 32
Autore: Omero Ciai
Titolo: «Cordoba»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/02/2014, a pag. 32, l'articolo di Omero Ciai dal titolo " Cordoba ".


L'interno della basilica di Cordoba

Senza voler minimamente giustificare i crimini di Isabella la cattolicissima e del suo egregio consorte, concordiamo con quanto Omero Ciai scrive sul fattore economico che spingerebbe gli islamici a pretendere che l'edificio in questione torni ad essere moschea.
Esiste, però, e questo va ricordato, un programma di ritorno al Califfato nel quale l'islamizzazione della Spagna è prioritario. Aspetto che sembra più urgente analizzare per capire come fermare la corsa alla conquista dell'Europa da parte dell'islam.
Ecco il pezzo: 

S’è allargato un po’ troppo Demetrio Fernandez, vescovo di Cordoba. Nella sua nuova crociata per cancellare i simboli islamici dalla famosa Mezquita della città andalusa, occupando ogni spazio disponibile con impronte della cristianità, s’è fatto solo un sacco di nemici. Che adesso mettono in dubbio anche la proprietà ecclesiastica del monumento. Così al grido di “Salviamo la Moschea”, un ampio movimento civico ha convinto il governo regionale dell’Andalusia a sfidare la diocesi sulla gestione della più importante opera architettonica della città. Secondo la “Piattaforma civica”, che ha già raccolto 80 mila firme (www. change. org), la famosa Mezquita, uno dei gioielli architettonici costruiti sul suolo andaluso ai tempi della colonizzazione musulmana, poi trasformata in Cattedrale cattolica dopo laReconquista nel 1236, deve ritornare di proprietà pubblica ed essere amministrata dallo Stato. Non è solo una questione di vile denaro (circa 13 milioni di euro l’incasso grazie ai turisti che pagano 8 euro all’ingresso e 30 per le visite notturne guidate) e neppure solo di “trasparenza”, il vescovo di Cordoba si rifiuta di rendere pubblici i bilanci. Il vero timore è la possibilità di perdere il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità, votato dall’Unesco nel 1984, per «l’eccessiva volontà di cristianizzare l’opera da parte della diocesi». Il riconoscimento dell’Unesco — dicono i promotori della Piattaforma — sottolineava non solo l’originalità artistica del complesso della Mezquita ma anche il carattere simbolico dell’edificio come paradigma della concordia fra religioni e civilizzazioni. Paradigma che invece la diocesi si è impegnata negli anni a calpestare. Dai fogli esplicativi che vengono dati ai turisti fino alle visite guidate qualsiasi carattere “musulmano” è stato cancellato. Così come nei cartelli dove c’è sempre scritto solo “Cattedrale” e mai “Moschea” fino ai supporti audiovisivi che non hanno un taglio storico ma — sostengono i critici — una evidente volontà evangelizzatrice. Poi ci sono le guardia giurate che svolgono un controllo molto rigido con continui episodi intolleranza. Il più grave è di qualche anno fa. L’intervento degli agenti della diocesi contro un gruppo di musulmani austriaci che si erano messi a pregare provocò una rissa e l’arresto dei turisti, poi assolti in tribunale. Ora la vicenda taglia in due anche la politica regionale. La sinistra, che governa la regione, è impegnata nell’impedire che «la diocesi utilizzi il monumento storico come una riserva privata »; la destra, al governo nel comune di Cordoba, invece sostiene il vescovo. L’inizio della storia risale al 2006 quando la diocesi registrò come proprietà privata della Chiesa la moschea-cattedrale. Fu allora che i simboli islamici più evidenti nel complesso iniziarono ad essere depurati. Un processo che ha suscitato indignazione nella città fino alla nascita della Piattaforma antidiocesi. «Come reagiremmo — dicono — se qualcuno registrasse come propri Machu Picchu in Perù o le piramidi d’Egitto? È evidente nel caso della moschea di Cordoba che si tratta di un bene pubblico che non può essere gestito soltanto alla Chiesa cattolica».

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