Cartolina aperta al nuovo ministro degli esteri, Federica Mogherini
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
a destra, Federica Mogherini, al momento del giuramento, alle spalle Giorgio Napolitano e Matteo Renzi
Cara Federica Mogherini,
dubito che queste mie parole possano arrivare mai sotto i suoi occhi, ma magari qualcuno del suo grande staff potrebbe riassumergliele o addirittura mettergliele in rassegna stampa. E poi, bisogna sempre cercare di parlare, di far sapere le proprie ragioni, soprattutto in democrazia, dove alla fine sono i giudizi, cioè le opinioni che decidono.
Vorrei partire dal fatto che personalmente sono contento del cambio al Ministero degli Esteri. Emma Bonino mi ha profondamente deluso, mi sembra che abbia tradito i principi su cui si è costruita tutta la sua storia politica. Andando a omaggiare gli ayatollah persiani, per esempio, non solo ha ignorato il carattere reazionario e aggressivo di quel regime, ma ha anche rinunciato al suo orgoglio femminista, non ribellandosi ai loro codici di abbigliamento. E anche nei confronti del Medio Oriente in generale, si è appiattita sulle irrealistiche posizioni di Obama. Dunque sono contento che sia stata sostituita, e che per farlo abbiano preso lei, che è un'altra donna, certamente mi fa piacere e soprattutto mi fa piacere che lei sia giovane.
Non che la gioventù in sé sia un merito, naturalmente. Ma è chiaro che ha ragione Renzi: se fallite avete qualche cosa di più da perdere, non potete semplicemente andare in pensione. Non solo: è ragionevole pensare che nel 2050, poniamo, siate ancora attivi e lucidi, il che certo non si può dire della mia generazione. E questo dovrebbe indurvi a cercare di essere previdenti, di prendere in considerazioni le grandi tendenze, che magari non emergono con evidenza oggi. Di cercare insomma di lavorare per ottenere risultati ed evitare pericoli che non sono immediati, ma si possono prevedere.
Prendiamo un tema particolarmente cruciale, quello dell'immigrazione. Ci sono calcoli demografici che mostrano una maggioranza islamica in molte regioni europee ben prima del 2050. Andando avanti così, Malmö in Svezia sarà in questa condizione nel 2020, Bruxelles che è anche la capitale dell'Europa, nel 2030, forse nel 2050 tutta l'Austria. E' chiaro che il problema dei migranti esiste già oggi, ogni giorno, e va trattato secondo i principi dell'umanità. Ma la prego di interrogarsi: che cosa accadrà nel 2050 con qualche centinaio di milioni di immigrati non integrati? L'esperienza francese, inglese, dei paesi nordici mostra infatti che questi immigrati non si integrano, non perdono la loro quota di militanza terrorista, non rispettano le nostre leggi e i nostri costumi, ma costituiscono enclave extraterritoriali, che pretendono di governare secondo l'Islam. Non tutti, è chiaro; ma una porzione notevole fra loro si comporta così. Ed è ragionevole pensare che aumentando i gruppi aumenterà la loro autosufficienza, l'indifferenza se non l'insofferenza al contesto non religioso, ma civile che ci siamo costruiti con la nostra storia: il rifiuto dei diritti delle donne, della libertà di pensiero di religione ma anche di critica, l'imposizione, se occorre con la forza di un sistema giuridico e civile che noi consideriamo iniquo. Come si è visto coi referendum svizzeri e con molti episodi in tutt'Europa, ma soprattutto con la crescita di movimenti di rifiuto, questa situazione provoca controspinte che possono essere pericolosamente egemonizzate da altre ideologie violente e reazionarie. E' un dato di fatto che la maggioranza degli europei vuole conservare non solo la propria condizione economica (sarà egoista ma è comprensibile), ma anche la propria libertà e la propria cultura, che vede minacciata dall'immigrazione. So che alcuni sognano un mondo senza identità, in cui non vi siano differenze (che è cosa diversa dal rifiuto delle discriminazioni). Sappia che si tratta di un sogno pericoloso perché non condiviso e che se non si fa qualcosa rischiamo di avere un continente percorso da conflitti civili gravissimi ben prima del 2050. Noti infine che l'emigrazione non aiuta granché a risolvere i problemi dei paesi da cui origina: la popolazione continua a crescere, i più intraprendenti non sono indotti a cercare di risolvere i problemi a casa loro, ma a andarsene in luoghi che sembrano più propizi, col risultato di impoverire umanamente, oltre che economicamente, i loro paesi.
Le vorrei sottoporre un altro argomento o due, di natura più politica. L'Italia è il grande paese europeo più vicino al Medio Oriente e ai suoi conflitti. La sua posizione tradizionalmente filoaraba, ai limiti della complicità col terrorismo (col cosiddetto 'Lodo Moro', rivelato da Cossiga) è stata corretta negli ultimi vent'anni in senso più equilibrato nei confronti di Israele, anche se sotto la cura Bonino ha fatto dei passi indietro. Il filoarabismo tradizionale si basava ufficialmente su un atteggiamento anticoloniale, sul tentativo di avere influenza e mercato sul Mediterraneo meridionale, su una certa fronda nei confronti dell'Occidente di cui fu protagonista per esempio l'Eni di Mattei e quella parte di DC che lo appoggiava. Sotto c'era anche una conseguenza di un doppio antisionismo, quello di matrice cattolica e quello di sinistra, proveniente dall'Est europeo, entrambi almeno venati di antisemitismo. Il fatto è che l'influenza italiana sul Medio Oriente non si è realizzata, che le speranze di un pacifico progresso dei popoli liberati dall'imperialismo si è rivelato un'utopia, che anche le proclamate (e magari provocate) primavere arabe sono finite nel sangue della guerra civile.
Su questo sfondo si è inserita negli ultimi anni una politica di Obama che consiste, a farla breve, nel tentare di stringere alleanze coi propri nemici per disinnescare i conflitti, naturalmente a spese dei propri amici, che si suppone inghiottiscano il boccone amaro. E' accaduto così con l'Egitto, dove l'America, e dietro di lei l'Europa, ha favorito l'abbattimento di un dittatore alleato, per ottenere l'arrivo al potere (con elezioni molto dubbie, diciamolo, e in forma sempre più totalitaria) degli islamisti della Fratellanza Musulmana, e poi vedere molto di storto il movimento popolare e militare che li ha rovesciati, col risultato di alienarsi gli uni e gli altri. Lo stesso più o meno è accaduto in Libia, in Tunisia, in Siria, con la Turchia e l'Arabia: non analizzo qui i dettagli per non trasformare questa cartolina in un ponderoso volume. Ma la storia è quella, l'appoggio dei nemici con la speranza di ingraziarseli, con l'aggiunta di clamorosi voltafaccia, patti non mantenuti, incidenti sanguinosi come quelli di Bengasi. Il caso più grave è quello dell'Iran, che si è sdoganato e cui magari ci si è inchinati, senza ottenere nessun risultato concreto rispetto alla sua aggressività politica e al suo riarmo. Ma qualcosa del genere si è fatto anche con la Russia, con l'effetto paradossale di aumentare la sua aggressività e una pressione politica che non è certo lontana dai nostri confini.
Caro ministro, sembra così banale da essere stupido dirlo, ma bisogna dirlo di questi tempi: come spiegava Carl Shmitt (tipo poco raccomandabile, ma piuttosto lucido), la politica inizia dalla distinzione degli amici dai nemici, il che non significa fare necessariamente la guerra a questi ultimi, ma capire che vi sono ragioni profonde per amicizia e inimicizia e i "giri di valzer" che si illudono di cambiare queste ragioni sono avventati e rischiano di provocare danni molto gravi. Gli amici vanno appoggiati, non indeboliti, eventualmente consigliati, non ricattati, bisogna capire le loro ragioni, al di là delle ideologie.
Sto parlando naturalmente di Israele, che è un amico dell'Europa e dell'Italia: perché si tratta di uno Stato laico e democratico, perché metà della sua popolazione ha radici europee, perché la sua economia e la sua scienza sono occidentali, simili alle nostre anche se per lo più funzionano molto meglio. Nella logica di appoggiare il nemico, l'amministrazione Obama sta conducendo da anni una politica di indebolimento e di ricatto a Israele, per favorire una soluzione sbilanciata non verso il popolo arabo residente nella zona, che da Israele trae notevoli vantaggi economici e anche politici (la pace), ma i gruppi ambiziosi e spesso compromessi col terrorismo che lo governano, e negli ultimi tempi ha iniziato a usare l'Europa come il "poliziotto cattivo" dei film, per vincere la resistenza a questa politica dovuta alla determinazione del governo israeliano e al tradizionale filosemitismo del popolo americano.
Caro ministro, cerchi di far sì che l'Italia non si presti a questo gioco. Mantenga e rafforzi l'amicizia italiana con Israele che negli ultimi due decenni si è consolidata, combatta le tentazioni antisemite che sono forti nella dirigenza europea e che vanno nella direzione di applicare a Israele i processi discriminatori che settant'anni fa furono usati contro gli ebrei (il boicottaggio, la demonizzazione). Capisca e faccia capire che l'amicizia con Israele è nell'interesse profondo del nostro paese, per ragioni politiche (la sola democrazia solida e senza macchie in tutta l'immensa zona fra il Mediterraneo e gli oceani Indiano e Pacifico), economiche, tecnologiche. E anche morali, perché nonostante la sua grande superiorità tecnica e scientifica, Israele è un paese di otto milioni di persone circondate da trecento milioni che da settant'anni e passa (da prima della sua stessa fondazione) cercano di distruggerlo; è il solo paese al mondo che i suoi nemici non vogliono sconfiggere, ma del tutto distruggere e far sparire. Capisca che in queste condizioni la sicurezza è un imperativo assoluto e la deterrenza dev'essere salvaguardata a ogni costo.
Spero che lei capisca che fra un paese libero e democratico, avanzato socialmente, pieno di cultura e di ricerca scientifica e la massa urlante degli islamisti che lo vogliono distruggere (per distruggere poi anche l'Europa, almeno come la conosciamo), la scelta dev'essere ferma e chiara. Coi miei migliori auguri per il suo lavoro.
Ugo Volli