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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Shlomit Abramson, Il libro di Tamār 24/02/2014

Il libro di Tamār                                     Shlomit Abramson
Traduzione di Patrizia Sciumbata
Giuntina                                                     euro 15

A memoria d’uomo non  esiste un libro pių appassionante della Bibbia, uno scrigno prezioso dal quale scrittori di ogni epoca hanno attinto storie affascinanti.
In tempi recenti Erri De Luca, famoso scrittore italiano, o Zeruya Shalev, una delle voci pių intense del panorama letterario israeliano hanno tratto ispirazione per le loro opere dalla Bibbia, in alcuni casi valorizzando personaggi poco conosciuti, in altri rivisitando storie marginali e, in tal modo, dando rilievo e compiutezza anche alla narrazione di figure minori.
Nonostante nella Bibbia vi siano personaggi femminili assai noti come Ester, Giuditta, Sara o Rebecca, l’autrice israeliana Shlomit Abramson – pubblicata per la prima volta in Italia da Giuntina – ha scelto di dare voce alla giovane Tamār, le cui vicende tratte dal trentottesimo capitolo della Genesi si plasmano creativamente e si trasformano in un racconto di sapore antico ma intriso di attualitā.
E’ un racconto di formazione, un inno alla vita e alla forza delle donne quello che narra Abramson in poco pių di duecento pagine che si leggono d’un fiato tale č la capacitā dell’autrice d’irretire il lettore con uno stile che oscilla fra il lirismo e la tragedia, la poesia e l’inventiva.
Tamār č una bambina di dodici anni che “non ha ancora avuto il sangue delle donne” il cui mondo scorre serenamente nella tenda dove vive con la madre Qesita e l’adorata nonna Tabita. “Nella nuova serenitā che le avvolgeva, immaginava di essere come una perla di una lunga collana: nonna Tabita, sua madre…lei. Questo pensiero la rendeva felice”. Un giorno l’arrivo di una carovana a dorso di cammello sconvolge il suo piccolo universo: Tamār, comprata da Giuda affinché diventi la moglie del figlio primogenito Er, viene strappata ai suoi affetti, alla sua tribų e condotta in una terra lontana, aspra e brulla, sulle montagne in mezzo a gente dura e ostile che non le rivolge mai la parola. Per Tamār č una vera e propria iniziazione alla vita: il duro lavoro che le viene affidato dalle donne, la freddezza che le riservano in ogni occasione della giornata acuiscono vieppių la nostalgia per nonna Tabita con la quale inizia un colloquio a distanza, unica consolazione alla profonda solitudine che la pervade.
“Vieni a portarmi via da qui, nonna Tabita. Ogni mattina mi alzo presto e guardo il pių lontano che posso, per vedere se sta arrivando qualcuno a riportarmi da voi…sono talmente sola che mi fa male il cuore”.
E’ impossibile non lasciarsi coinvolgere dalla dolcezza e dalla forza di questa ragazzina coraggiosa che, costretta a vivere in un mondo estraneo e ostile, troverā dentro di se la determinazione per riscattarsi da una vita di sottomissione prendendosi la rivincita su un mondo di uomini fragili, egoisti e poco inclini, per educazione e tradizione, ad accettare le donne come esseri umani dotati di intelligenza e sensibilitā e non come meri oggetti di proprietā o desiderio.
Fra i tanti personaggi femminili descritti in maniera mirabile dall’autrice, spicca l’anziana Bilha, una delle mogli di Giacobbe e l’unica ad accogliere con affetto Tamār.
Alter ego della nonna Tabita, l’anziana donna trascorre molto tempo in compagnia della ragazzina rendendola partecipe delle storie affascinanti accadute nella tribų di Giuda e designandola “custode del passato dopo di lei, come se non ci fosse pių tempo per parole vacue”.
Col tempo Tamār incontrerā anche l’amore, non del marito Er che non l’ha mai desiderata, ma del fratello Onān. Purtroppo entrambi moriranno in modo tragico, il primo trascinato dalla violenza del fiume, il secondo, al quale secondo la legge della tribų avrebbe dovuto andare in sposa, attirato con l’inganno da una donna gelosa viene ucciso dal morso di un serpente.
Seppur discostandosi dal testo tramandato nella Genesi, l’autrice descrive con toni lirici e drammatici il ritorno di Tamār alla sua tribų in attesa che il terzogenito di Giuda divenga adulto per sposarla: la gioia di rivedere la madre č purtroppo adombrata dalla notizia della morte di nonna Tabita, spentasi di malinconia per la nipote lontana.
Nelle ultime pagine lo stratagemma che la giovane donna mette in atto per sfuggire alla vendetta di Giuda quando apprende che la nuora č incinta, rivela tutta la forza, la genialitā e l’intelligenza di cui č capace Tamār e che farā dire a Giuda: “sei pių giusta di me. … la sua voce suonō incrinata come quella di un vecchio anche se erano passati pochi noviluni da quando era entrato nella sua tenda di ierodula, nel pieno del suo vigore..”
Quello di Shlomit Abramson č lo straordinario racconto corale di un gruppo di ebrei politeisti nomadi, dediti alla pastorizia, frammenti di quel popolo eletto che crede nella benevolenza o nell’ira di Ishtar, dea babilonese della guerra e dell’amore e che “copre il cielo col suo manto nero trapuntato di stelle”.
Ciō che colpisce nel libro della scrittrice israeliana č la descrizione accurata e minuziosa dei paesaggi biblici, della quotidianitā scandita dai ritmi della natura, dei pasti intorno al fuoco, della magia racchiusa nella venuta al mondo di una nuova creatura, della gelosia che si insinua fra le mogli per accaparrarsi l’affetto del proprio uomo, ma anche dell’accettazione serena della morte quale momento imprescindibile della vita di ogni essere umano.
Il libro di Tamār č un’opera prima intensa, coinvolgente che si avvale di uno stile sobrio ed elegante al contempo e che sotto la superficie levigata della pagina trasmette un’ispirazione autentica restituendoci l’eco della tradizione e il senso del sacro.

Giorgia Greco


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