Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 24/02/2014, a pag. 15, l'articolo di Giovanna Loccatelli dal titolo "Al Sisi come Mubarak, abbatteremo anche lui".
Fanno bene i protagonisti di The Square a indagare e denunciare le violazioni commesse dal regime egiziano, senza, però, dimenticare tutte quelle commesse dalla teocrazia dei Fratelli Musulmani. Scambiati per il 'nuovo', sarebbe tragico ripetere lo stesso errore con i Fratelli Musulmani. Al Sisi non sarà democratico - parola sconosciuta nel mondo musulmano - ma è almeno laico.
Ecco il pezzo:
Ahmed, protagonista di 'The Square'
Voce rauca, volto sorridente, sguardo curioso. Si chiama Ahmed, ha 27 anni, è il protagonista di «The Square», il documentario egiziano nominato all’Oscar. «Vado sempre in giro con la macchina fotografica. La nostra rivoluzione non è finita qui». Secondo Ahmed, i video sono l’unico strumento per immortalare la verità nel Paese: «Le parole volano, le immagini restano. I soprusi della polizia, i cittadini colpiti a morte durante le manifestazioni, la ferocia dei militari: è tutto documentato. Sono 1600 ore solo quelle filmate nei giorni che hanno portato alle dimissioni di Mubarak». Al momento, sta lavorando a un progetto molto ambizioso: mettere insieme tutti i video girati dagli attivisti durante la Rivoluzione di tre anni fa: «Faremo un grande archivio per restituire la verità alle future generazioni. Nulla andrà perso».
L’incontro si svolge nel suo appartamento nel centro del Cairo, a due passi da piazza Tahrir. Qui si riunisce con gli amici attivisti per organizzare il lavoro e promuovere il documentario nel Paese. Premiato all’estero, non può essere proiettato in Egitto: «Sono in aperta battaglia contro la censura- spiega -. Gli egiziani hanno il diritto di vedere documentario. Per questo motivo, abbiamo organizzato una campagna in tutti governatorati del Paese. Lo proiettiamo negli uffici dei partiti rivoluzionari di sinistra, negli edifici delle organizzazioni non governative ma anche nelle case private». Poi si ferma, accende una sigaretta e conclude con un ghigno di soddisfazione: «La grande stanza che hai visto all’entrata, la utilizzo come sala cinematografica: in questo appartamento abbiamo fatto vedere “The Square” due volte».
Ahmed impiega tre ore tutti i giorni per girare i caffè del centro: «Stare in mezzo alla gente è il modo migliore per tastare gli umori della popolazione. E’ per questo che ti dico, con sicurezza, che la gente tornerà presto a riempire le piazze. Il popolo chiede nuovamente pane, libertà e giustizia sociale». E riguardo al futuro, azzarda un pronostico: «Al Sisi vincerà le prossime elezioni presidenziali e sono contento per questo. Così potremo cacciarlo, come abbiamo fatto con Mubarak nel 2011». Secondo il protagonista di «The Square», sarà la crisi economia ad affossare il prossimo regime: «La gente muore di fame. I cittadini non vogliono la “democrazia”, così come scrivete sulla stampa estera. Non non sappiamo bene cosa significhi veramente. Gli egiziani vogliono lavorare e poter mantenere la propria famiglia. Se viene a mancare il pane, mancherà anche la stabilità politica».
Gli altri due protagonisti del documentario si chiamano Khalid e Magdy. Il primo è un attivista, il secondo un membro della Fratellanza. Ahmed è molto preciso nel descrivere i diverse tipologie di attivismo in Egitto: «Io ho vissuto sempre per strada. Conosco così bene il popolo che sento, sulla mia pelle, i sentimenti che lo animano. Viceversa, Khalid - che adoro come un fratello - viene da un ambiente molto più istruito e colto del mio. Ha fatto l’università, anche il padre è un intellettuale. Ma abbiamo gli stessi obiettivi: combattiamo contro i regimi corrotti». Poi conclude: «Magdy è un mio amico ma non la pensiamo allo stesso modo: è stata proprio l’ambiguità politica dei Fratelli Musulmani ad aver rovinato la rivoluzione di tre anni».
È critico anche nei confronti della stampa nazionale: «Molti giornalisti lavorano per il regime. Spesso mi capita di incontrarli per strada: abbassano lo sguardo, non hanno neanche il coraggio di guardarmi negli occhi. La “sisimania” è divulgata nel Paese anche a causa della stampa corrotta». Di colpo prende il cellulare e mostra, compiaciuto, una frase - appena pubblicata sulla sua pagina Facebook - che recita: «Giornalisti, voi avete la penne e scrivete. Ma non aspettate l’approvazione del capo per raccontare i fatti».
Ahmed spiega che il giornalismo partecipativo, il citizen journalism, ha un ruolo: «Ho messo tanti video su YouTube. È un mezzo strategico per divulgare i filmati, dentro e fuori il Paese. Attraverso il materiale pubblicato su Facebook e Twitter, abbiamo pressato la stampa affinché scrivesse quello che stava succedendo realmente in piazza. Durante le manifestazioni si vedono tanti attivisti come me, con macchina da ripresa e cellulare, ma pochi giornalisti. Il nostro ruolo è indispensabile». Infine un monito al generale Al Sisi : «Noi rivoluzionari lo aspettiamo al varco. Il suo governo non durerà più di un anno».
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