Ramallah tra corruzione e fuga dei cristiani commento di Michele Monni
Testata: L'Espresso Data: 21 febbraio 2014 Pagina: 128 Autore: Michele Monni Titolo: «Movida a Ramallah»
Riportiamo dall'ESPRESSO di oggi, 21/02/2014, a pag. 128, l'articolo di Michele Monni dal titolo "Movida a Ramallah".
Michele Monni Abu Mazen
Pubblichiamo l'articolo di Michele Monni perché mette in luce due aspetti dell'Anp spesso ignorati dai media: il primo riguarda l'emorragia dei cristiani dai Territori (citata quasi di sfuggita nella frase "Cristiana dalla fondazione, Ramallah è stata inglobata dalla (musulmana) vicina Al-Birch. La presenza cristiana (ortodossa e cattolica) è invece confinata nella downtown (tachta in arabo)") e la corruzione dilagante dell'Anp. Ecco il pezzo:
Auto di grossa cilindrata parcheggiate. Vestiti alla moda. Guardie di sicurezza all'ingresso. E una lingua che è un misto di americano e arabo. Non ci si mette molto a capire che gli avventori non sono palestinesi comuni. E Arjouan, uno dei locali più in voga di quella che viene definita "la bolla" dei Territori occupati pa lestinesi: Ramallah. Per chi legasse ancora la Cisgiordania solo a militanza politica e occupazione israeliana (non che non si senta), è tempo di ricredersi. Da metà anni Duemila la città palestinese ha visto, oltre a un'incontrollabile speculazione edilizia e a un'ondata di lavoratori impiegati dall'Autorità palestinese (Anp) provenienti da altre località -come Nablus e Hebron - un aumento esponenziale di caffè, hotel e locali in stile occidentale. Complice la presenza di moltissimi stranieri - uffici delle agenzie umanitarie, ong e rappresentanze politiche da tutto il mondo - Ramallah non ha molto da invidiare alla vita notturna di altre città, dalla vivacissima Tel Aviv a Gerusalemme che, a causa delle componenti conservatrici ebraiche e islamiche la vede anzi sempre più mortificata. Cristiana dalla fondazione, Ramallah è stata inglobata dalla (musulmana) vicina Al-Birch. La presenza cristiana (ortodossa e cattolica) è invece confinata nella downtown (tachta in arabo), dove la densità di negozi di liquori è alta persino per gli standard europei. La serata principale è il giovedì, prima del venerdì di preghiera e giorno di riposo, oltre alla domenica, anche per i lavoratori cristiani. E se Arjouan è punto di ritrovo dei rampolli della élite cristiana di Ramallah, il vicino Beit Anisa (la casa di Anisa) è uno dei bar più frequentati della città, con deejay e musica dal vivo. Al Fuego, inoltre, gastro-bar con due pittoresche terrazze in stile sudamericano, è poss i h i le gustare burritos ed enchiladas e sorseggiare ottimi margaritas. Mentre al Martini il Centro ispano-palestinese organizza serate di salsa e merengue. La lista continua con Baramil (Il Barile), cocktail bar a poca distanza da al-Manara. Laween, nello stesso edificio dell'unico cinema di Ramallah, e Almond, situato nell'esclusivo quartiere al-Masyoun. Per chi apprezza invece atmosfere più rilassate, non ha che da scegliere tra le dozzine di caffè come Zaman e Jasmine, dove i musulmani abbienti più osservanti trascorrono le serate tra cappuccini, caffè freddi e narghilè. Per chi non può fare a meno dell'espresso (che costa due euro circa) basta recarsi al nuovo caffè "iralian style" aperto da Segafredo in zona alMasyoun. Questi posti hanno in comune due cose: i prezzi e l'inaccessibilità per la maggior parte dei giovani palestinesi. Lo stipendio medio, infatti, si aggira tra i 1500-2mila shekels (300/400 euro). Per chi un lavoro ce l'ha: la disoccupazione ha toccato il 40 per cento nei Territori palestinesi. I prezzi sono simili a quelli europei,e spesso li superano: cocktail tra i sette e gli orto curo, birra tra i quattro e i cinque e quando si arriva ai superalcolici, come whisky e rum, c'è chi rimpiange il Vecchio Continente. Accedere a questi luoghi non è solo questione di denaro, ma l'affermazione di uno stato sociale. E infatti le scene di gruppi di "shehab" (ragazzi) rifiutati con maniere brusche all'ingresso dei locali sono ormai all'ordine del giorno.
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