Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
L'Occidente prenda posizione contro Putin per i massacri a Kiev commento di Bernard-Henri Lévy
Testata: Corriere della Sera Data: 20 febbraio 2014 Pagina: 1 Autore: Bernard-Henri Lévy Titolo: «Punire il regime. Boicottare Sochi»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/02/2014, a pag. 1-13, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo " Punire il regime. Boicottare Sochi".
Bernard-Henri Lévy
Nella coincidenza delle immagini, tra le nevi di Sochi e il sangue di Kiev, c’è qualcosa che offende l’intelligenza e spezza il cuore: la festa olimpica è al culmine, mentre in Ucraina si svolgono i funerali del sogno europeo da parte di un popolo che in quel sogno crede. Da una parte c’è un Putin terribile che arma la mano di Yanukovich, dall’altra un Putin che si pavoneggia sulle tribune olimpiche. Resta pochissimo tempo per salvare l’onore. Un monito ai responsabili dell’Europa: lasciamo Sochi o almeno boicottiamo la cerimonia di chiusura. Due immagini, questa mattina del 19 febbraio, si accavallano nelle menti. L’immagine delle nevi immacolate di Sochi, solcate da emeriti sciatori applauditi dal mondo. Quella della neve insanguinata delle barricate a Maidan, la piazza dell’Indipendenza, a Kiev, da quando, nell’indifferenza universale, le unità speciali del potere ucraino hanno ricevuto l’ordine, con l’avallo di Putin, di dare l’assalto. E’ vero, ci siamo abituati. E’ vero, abbiamo in mente il silenzio sui 130 mila siriani assassinati da un Bashar al Assad patrocinato dallo stesso Putin; sugli innumerevoli ceceni «inseguiti fin nei cessi», secondo l’elegante formula dello stesso padrone di tutte le Russie e delle regioni limitrofe; è vero, sappiamo — dai tempi della Spagna repubblicana abbandonata, dell’Europa centrale sacrificata o del «beninteso non faremo nulla» di fronte allo stato di guerra nella Polonia dei primi anni Ottanta — che la democrazia, per principio, non difende mai i propri valori. Tuttavia, nella coincidenza delle immagini, nella concordanza quasi perfetta delle due cerimonie: quella della festa olimpica che è al culmine e quella dei funerali del sogno europeo da parte di un popolo che in quel sogno ancora credeva, c’è qualcosa che offende l’intelligenza e spezza il cuore. Una domanda ai responsabili di una Europa di cui si calpestano, in questo preciso momento, gli emblemi e le bandiere: signora Ashton, signori Barroso, Schulz e soci, il vostro posto non sarebbe laggiù, a Kiev, nella piazza Maidan in fiamme, che da lungo tempo i suoi occupanti hanno ribattezzato piazza dell’Europa? Un suggerimento ai signori Hollande e Obama, membri permanenti del Consiglio di sicurezza, di cui abbiamo appreso la sera del 18 febbraio, dal ministro francese dello Sviluppo economico Arnaud Montebourg, che la settimana scorsa la questione ucraina era nel programma delle discussioni a Washington: i morti nel cuore dell’Europa, le centinaia di feriti inseguiti da forze speciali che, come sanno gli osservatori sul campo, andranno fino in fondo, il muro di fiamme che, mentre scrivo queste righe, taglia in due questa piazza magnifica e pacificamente occupata da un popolo la cui unica colpa è di manifestare il proprio amore per la patria di Jean Monnet, Edmund Husserl e Václav Havel. Tutto questo non merita una convocazione urgente del Consiglio? Questa provocazione, questa sfida, questo crimine a freddo e sicuro di sé, non valgono almeno un’intimazione al regime e al suo padrino? Una supplica, infine, ai comitati olimpici delle nazioni presenti a Sochi e che continuano, come se nulla fosse, sordi e ciechi davanti alla tragedia che si svolge a poche centinaia di chilometri dal teatro dei loro exploit, a far quadrato attorno a un ideale olimpico di cui è l’assassino, quest’anno, ad avere la responsabilità e a portare la fiamma: non sentono che le loro medaglie, stavolta, hanno il sapore del sangue? Non riflettono sull’altra neve, quella insanguinata, quella che, non c’è dubbio, occupa invece tutti i pensieri del loro ospite? E non vedono, non dico quanto sarebbe osceno, ma assurdo fingere, fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno di questa Olimpiade ormai guastata, di ritenere che esistano due Putin: uno, terribile, che nel pomeriggio di martedì 18 febbraio ha dato al suo valletto Yanukovich il permesso di uccidere; e un altro che, mentre si pavoneggia sulle tribune, fa di tutto per riceverli con la munificenza dovuta a coloro che una volta venivano chiamati gli dei dello stadio? L’Olimpiade terminerà fra qualche giorno. Resta poco, pochissimo tempo per smetterla di prestarsi a quella che, più che mai, assomiglia a una lugubre carnevalata. Restano poche, pochissime ore per salvare almeno l’onore e non tornare nel proprio Paese con l’aureola di una gloria che avrà il profumo del compromesso e del rimorso. Facciamo in modo, lasciando Sochi, o perlomeno boicottando la cerimonia di chiusura, che la XXII Olimpiade invernale non resti, nella Storia, come i Giochi della vergogna e della disfatta dell’Europa.
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