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Shalom Rassegna Stampa
19.02.2014 L'umiliazione è una delle armi della propaganda palestinese
commento di Angelo Pezzana

Testata: Shalom
Data: 19 febbraio 2014
Pagina: 10
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «L'umiliazione è una delle armi della propaganda palestinese»

Riportiamo da SHALOM n°2 di febbraio, a pag. 10, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " L'umiliazione è una delle armi della propaganda palestinese ".


Angelo Pezzana

C’è una parola che mi ha sempre colpito con forza, ogni volta che la leggo una parte di me si schiera immediatamente dalla parte di chi la pronuncia. Questa parola è umiliazione. Sono molti gli aspetti della vita ai quali possiamo riferirci quando cerchiamo di capire perché quella parola suscita in noi un senso di urgente ed emotiva preoccupazione. L’abbiamo letta, sentita, quante volte, ad esempio, a proposito dei rapporti con i palestinesi, tra ebrei e arabi israeliani, oppure tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese. Gli arabi israeliani la provano quando guardano le differenze tra la loro vita e la paragonano a quella degli ebrei, una diversità indiscutibile, ma la radice di questa disuguaglianza risiede nella lontananza dalla modernità che contraddistingue la loro società da quella ebraica, in fatto di cultura, tradizioni, rapporti famigliari, religione. Mentre Io Stato ebraico procede velocemente verso un continuo progresso, la società araba, in Israele e nei Territori, respinge tutti quei cambiamenti senza i quali l’immobilismo nel quale vive non sussisterebbe. Umiliazione è la parola che appare sempre quando entra in gioco la barriera di sicurezza, che costringe chi dai Territori entra in Israele a sottoporsi a lunghi controlli da parte dei soldati di Tzahal, che svolgerebbero molto più volentieri altri compiti invece di interpretare quella parte per garantire la sicurezza del Paese.
E’ umiliante sottoporsi a quei controlli, ma è indispensabile accettarli per impedire che dei terroristi entrino per compiere attentati. Vengono commessi in Israele, spesso con gravi conseguenze, da cittadini arabi israeliani, i giornali riferiscono puntualmente di aggressioni motivate solo da odio contro gli ebrei che vivono nell’ entità sionista, commesse da fanatici, indotti al crimine da una educazione all’odio ricevuta nelle scuole palestinesi, ma anche dall’esempio del governo dell’Anp, che chiama martiri chi si fa esplodere e li premia dedicando alla loro memoria strade e monumenti. Può arrivare l’umiliazione a produrre un risultato così tragico ? Sì, se è sostenuta da una ideologia che pervade l’intera società palestinese, ma non va chiamata con quel nome, è disonesto l’uso che ne viene fatto. Non c’è da stupirsi poi se dalle statistiche risulta che la presenza di arabi vicino alla propria abitazione non è gradita al 48% dei cittadini ebrei.
Una diffidenza che diventa inesistente se invece il vicino è cristiano, druso etc. Anche avere un professore arabo suscita obiezioni nel 42% degli studenti tra i 16 e 17 anni, ma anche in questo caso, visto che la narrativa palestinese è improntata sulla negazione dell’ebraicità di Israele, è più che comprensibile l’esclusione di un maestro che creerebbe soltanto tensioni fra gli studenti. Anche in questo caso l’umiliazione è resa possibile dal rifiuto arabo verso una integrazione in quanto minoranza in uno Stato ebraico (ho letto queste statistiche su Haaretz). E’ chiaro che episodi di violenza possono esserci anche da parte ebraica, ma sono illegali, l’autorità giudiziaria israeliana li sanziona e il governo li combatte. Mentre nell’Anp avviene il contrario, l’odio – che poi si trasformerà in atti di vera violenza – è contenuto nei libri di testo in uso nelle scuole pubbliche, gli ebrei vengono descritti come scimmie, maiali e accusati di commettere i delitti più turpi contro la popolazione musulmana. Se questa è la “cultura” alla base della società palestinese, allora i numeri citati dal quotidiano israeliano mi paiono persino bassi. Umiliazione è altro, significa essere cittadini di serie B, e gli arabi in Israele godono degli stessi diritti di tutti. Vuol dire non potersi realizzare pienamente a tutti i livelli sociali, economici, culturali.
Gli arabi, se provassero a considerarsi una minoranza integrata, che si riconosce nello Stato nel quale vive, che collabora con le istituzioni invece di ritenerle illegali – come avviene nelle elezioni amministrative a Gerusalemme, dove gli elettori arabi non vanno a votare perchè non riconoscono la sovranità di Israele – allora si sentirebbero sicuramente meno umiliati nel confronto con i concittadini ebrei. Avviene così in tutti gli Stati democratici, il problema è nell’islam, che respinge anche la sola idea di democrazia, per cui il futuro si presenta non molto diverso dal passato. I palestinisti continueranno a danzare quando cadono i missili provenienti da Gaza sul territorio israeliano, cosi come hanno festeggiato quando è morto Ariel Sharon. Forse l’unico ad essere sincero è Abu Mazen quando ostenta la carta geografica del suo futuro Stato nella quale manca del tutto la presenza di Israele. Ma ci sono altri palestinisti ad essere sinceri, sono quelli che vivono nei Territori amministrati dall’Anp, che reclamano a gran voce il futuro Stato ma con altrettanta forza dicono di voler rimanere cittadini di Israele. Ci vuole poco a capire il perché. Come si vede la parola umiliazione ha poco a che vedere con il conflitto arabo-israeliano, viene usata spesso, sempre a sproposito, perché suscita sensi di colpa in chi non conosce la propaganda palestinista, un’ottima arma per la delegittimazione di Israele.

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