Scuse
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Chi ha incominciato? E' stato Willy Brandt, inginocchiandosi ad Auschwitz? O Papa Giovanni Paolo II, poco prima di mettere un bigliettino in una fessura del Kotel (il cosiddetto muro del pianto), come usano fare gli ebrei per rivolgere una supplica alla divinità? La Comunità Europea che ha istituito il Giorno della Memoria o il Parlamento italiano che l'ha recepito? Difficile dire. Fatto sta che gesti di scusa per i torti subiti gli ebrei ne hanno avuto da molte fonti autorevolissime e ufficiali. Adesso si è aggiunta la Spagna, che offre la cittadinanza (o meglio, annuncia che la offrirà) ai discendenti degli ebrei cacciati dal suo territorio nel 1492. E il Portogallo si è aggiunto anche questa volta poco dopo, come fece cinquecento anni fa con una persecuzione ancora più cruda (la scelta per gli ebrei lusitani non era come per quelli spagnoli fra conversione e emigrazione, chissà dove, chissà con quali mezzi – ma più semplicemente fra conversione o morte...). Tanti gesti, nobili gesti, gesti da rispettare e anche da onorare. Ci vuole fegato, se sei un Papa teologicamente infallibile, per chiedere scusa. Responsabilità collettiva, per un combattente antinazista come Brandt, per assumere la responsabilità degli orrori commessi dal suo popolo. Ci vuole coscienza per un continente come l'Europa a stabilire che è un obbligo ricordare il tentativo di sterminio di un popolo al suo interno, compiuto o condiviso o almeno non contrastato dalla grande maggioranza dei suoi abitanti (anche se quest'ultima precisazione di solito manca dalle celebrazioni della giornata della memoria). Dopo mezzo millennio voler rimediare simbolicamente all'espulsione sanguinosa del dieci per cento della sua popolazione e alle persecuzioni successive significa mettere in discussione la storia di un nobile paese, proprio nel momento del suo maggior trionfo politico (l'espansione in Sudamerica).
Willy Brandt ad Auschwitz
Dunque tanto di cappello. Sono gesti significativi e importanti. Ma attenzione. Essi fanno onore a chi li fa, non sono qualcosa ottenuto dalle vittime. Se qualcuno mi chiede scusa per quel che di male mi ha fatto, questo mi dà la possibilità di perdonarlo, di arrivare a un accomodamento, di chiudere la questione. Ma se non è lui che chiede scusa, ma un altro al suo posto, e se le vittime sono morte, magari per mano di colui che non ha chiesto scusa (Torquemada, Isabella di Castiglia, Hitler, Mussolini, i loro complici volenterosi) ma le scuse sono di qualcuno innocente (Brandt, Papa Giovanni Paolo, i deputati europei e quelli spagnoli) che è unito ai carnefici da una continuità organizzativa e non personale, ciò è un merito di questi ultimi, restituisce almeno in parte l'onore compromesso alle loro organizzazioni (la Spagna, la Germania, l'Europa, la Chiesa), ma non elimina la sofferenza delle vittime. Altra è stata l'azione dei Giusti delle Nazioni che hanno salvato gli ebrei braccati dai nazisti, o di quelli che non sono ricordati formalmente ma pure ci sono stati, che hanno sottratto alle grinfie dell'Inquisizione degli ebrei colpevoli solo di voler essere fedeli alla loro religione (cosa per cui oggi Papa Francesco loda gli ebrei, e con qualche meraviglia gliene siamo grati), quelli che hanno dato loro un tozzo di pane e un tetto mentre vagavano alla ricerca di un po' di pace nel Cinque e nel Seicento (per esempio l'Olanda, allora l'Impero ottomano) come nel Novecento. Costoro sì che hanno diminuito le sofferenze, che hanno fatto del bene, che meritano gratitudine e ricordo perenne. Ancora oggi dopo tremila e cinquecento anni gli ebrei sono grati alla principessa egiziana che salvò un neonato dal genocidio organizzato da suo padre, e non importa che quel neonato si chiamasse Mosè, perché chi salva una vita salva un mondo. Anzi sì, importa, perché Mosè è un nome egizio e ho letto interpretazioni del testo biblico in cui si spiega che Mosè, leader degli ebrei che si ribellavano all'Egitto, si tenne quel nome nemico (mentre è detto che gli ebrei preservarono la loro identità nella schiavitù anche grazie alla conservazione dei nomi ancestrali), per esprimere la sua gratitudine nei confronti della madre adottiva.
Giovanni Paolo II al Kotel
Dico questo non per sminuire il gesto di Brandt o del Papa o ora dei parlamenti iberici. Li rispetto profondamente. Ma lo faccio innanzitutto per contrastare gli sciagurati che parlano di industria della Shoà. E' ovvio, gli ebrei avrebbero preferito non essere cacciati dalla Spagna, dove risiedevano forse da venti secoli (è probabilmente in Spagna il porto dove voleva fuggire il profeta Giona, testimonianza di legami commerciali addirittura pre-romani). Se i governi spagnoli e il clero li avessero lasciati vivere in pace, essi non avrebbero avuto bisogno di restituire loro la cittadinanza. E non c'è neanche bisogno di dire che della Shoà avremmo fatto volentieri a meno. Saremmo stati meglio senza monumenti da onorare, campi da visitare, parenti uccisi da ricordare. Avremmo volentieri evitato di avere nostalgia di quell'ebraismo orientale dove, contrariamente alle rievocazioni nostalgiche di certi attori, si stava malissimo, le persecuzioni e i pogrom erano continue, la miseria e la fame terribili. Meglio quelle, comunque, che le camere a gas. Sarà stupido, ma va detto: non ci piace affatto essere perseguitati, non stiamo bene nei panni delle vittime. Preferiamo vivere e fare vivere. L'ebraismo ha una vera e propria passione per la vita, considera il suo rispetto superiore a qualunque altro valore terreno e anche alla quasi totalità delle regole religiose. Per salvare una vita si può fare praticamente qualunque cosa, violare qualunque legge, salvo rifiutare Dio, uccidere, commettere atti sessuali proibiti.
Dunque non abbiamo soddisfazione a sentire delle scuse per le persecuzioni, non ci sentiamo migliori per questo. Rispettiamo e onoriamo chi lo fa, lo ripeto. Ma questo non ci toglie il dolore per quel che è successo. Dal nostro punto di vista, quel che importa oggi non è chiedere scusa per la Shoà o per la cacciata di Spagna, ma impedire che catastrofi simili si ripetano. Tutto sommato, della cittadinanza spagnola non ci importa granché: restituirla a coloro cui fu tolta ingiustamente è qualcosa che può essere importante per la Spagna, non per chi la ricevesse. Molti rabbini in Israele hanno consigliato di non accettarla. Cinquecento anni sono tanti, per riparare a una ferita. E soprattutto, un altro passaporto oggi tutela meglio e di più gli ebrei, è quello blu con lo stemma dello Stato di Israele sulla copertina.
Ma c'è un piacere che chi vuole riparare ai torti del passato può fare per noi. Ci aiuti a prevenire una nuova cacciata, una nuova Shoà, nuovi pogrom, nuove persecuzioni come quelle del passato. Oggi è facile, non occorre essere eroi come furono i quindicimila giusti della Shoà (tanti, ma pochissimi rispetto alle centinaia di milioni che abitavano l'Europa allora). Non si rischia la vita, non si contrastano (non ancora) teppaglie armate ed eserciti sanguinosi. Basta darsi un po' da fare, scrivere ai giornali, badare quando si vota a evitare gli antisemiti, chiedere a chi ci governa e a chi ci informa di non rifare gli errori del passato. Vi è un'urgenza del genere? Sì, non mi stanco di ripeterlo. I nazisti (e i fascisti e buona parte degli italiani con loro) boicottavano i negozi, le imprese, i nomi ebraici. Lo stesso fa oggi con diffusione crescente il movimento che trae pretesto dalla “difesa della pace”. Inquisitori e nazisti accusavano gli ebrei di essere usurai e di succhiare il sangue al popolo? Lo stesso fanno tanti che militano nei forconi, ma anche sotto le Cinque stelle e nella Lega, per non parlare dei neonazisti e di condivide le loro posizioni a sinistra come i vattimi. E poi, come vi ho scritto ieri vi è l'avvelenamento di pozzi che è diventato furto d'acqua, l'accusa del sangue che si è trasformata in quella di ammazzare i bambini palestinesi, la crudeltà nei confronti di Gesù che oggi si proietta sulla “violenza” della circoncisione o della produzione di carne secondo le regole religiose. Insomma, chi vuole rimediare al passato, dal Papa ai deputati dei vari paesi persecutori ai cittadini comuni, ha una via semplicissima: appoggi Israele. Perché Israele è l'ebreo delle nazioni, sottoposto come stato alle stesse angherie e maldicenze che colpivano i singoli ebrei nel passato (e ancora oggi); e insieme è il rifugio, la garanzia che Auschwitz e gli auto da fé non si ripetano: una garanzia che può evitare i rimorsi e le scuse, rendendo impossibile la colpa.
Ugo Volli