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Manfred Gerstenfeld
Israele, ebrei & il mondo
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Come la Comunità ebraica di Sarajevo è intervenuta durante la guerra civile del 1990 09/02/2014
 

Come la Comunità ebraica di Sarajevo è intervenuta durante la guerra civile del 1990.
Manfred Gerstenfeld intervista Ivan Ceresnjes

(Traduzione di Angelo Pezzana)

Ivan Ceresnjes

 L’ architetto Ivan Ceresnjes, era a capo della Comunità Ebraica di Sarajevo al tempo della Guerra civile. E’ stato anche vice-presidente della Federazione delle Comunità ebraiche di Yugoslavia. Oggi vive a Gerusalemme.

 “ Durante le guerre, spesso le comunità ebraiche diventano il capro espiatorio e le vittime di entrambe le fazioni. Durante la guerra civile in Bosnia Herzegovina agli inizi del 1990 accadde invece il contrario. La Comunità ebraica della capitale Sarajevo fornì servizi e aiuti umanitari a tutti i combattenti, senza discriminazioni religiose, e fu rispettata dalle tre fazioni in guerra, musulmani, serbi ortodossi e croati cattolici. “

 “ L’offensiva militare dei serbi bosniaci per il controllo di Sarajevo iniziò il 6 aprile 1992 -continua Ceresnjes- con i soldati che sparavano dopo aver circondato la città. L’assedio fu totale dopo tre settimane. Già a marzo, i cittadini delle varie religioni avevano manifestato nelle strade per la pace in Bosnia.

“ Avevo partecipato, in qualità di rappresentante della Comunità Ebraica, a un incontro della Croce Rossa, dove vi erano delegati di varie Ong. Nel 1990 riaprimmo la ‘Benevolencija’, un ente caritatevole, fondato nel 1892, che venne però proibito e chiuso nel 1946 dal governo comunista yugoslavo.

 “ Dopo quell’incontro, solo una Ong rispose positivamente, l’American Joint Distribution Committee (JDC), che aveva aiutato la Comunità ebraica jugoslava ininterrottamente dal 1920. Anche se non erano pronti ad entrare in azione subito, agirono con decisione.

 “ Il primo maggio 1992 divampò la battaglia per Sarajevo, in quel momento totalmente accerchiata. In tutta la città divampavano incendi, lungo il fiume i colpi erano incrociati, ovunque vi erano cadaveri. Per settimane, accanto al fiume, venne abbandonato il cadavere di un giovane soldato serbo perché nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi.

 “ Uno dei siti dai quali i serbi bosniaci sparavano verso la città era l’antico cimitero ebraico, che rimase danneggiato durante la Guerra. Si trova su una collina di terreno friabile, per cui è probabile che scomparirà nei prossimi decenni.

 “ Ogni giorno con un’auto trasportavamo i volontari ebrei nella parte nuova della città dove c’era il centro della Comunità. La confusione era spaventosa, capitava che non arrivassero i viveri, così acquistavamo cibo e medicine grazie al denaro del JDC. La ‘Benevolencija’ aveva aperto una farmacia nel centro comunitario per poter distribuire gratuitamente i medicinali. Ma la situazione si faceva sempre più pericolosa, per cui chiedemmo al proprietario musulmano di un negozio di ferramenta chiuso che si trovava nella stessa strada davanti al nostro centro se potevamo trasferire lì la farmacia. Ci disse di sì, senza chiedere in cambio denaro.

“La ‘Benevolencija’ aprì altre due farmacie in città e iniziò la distribuzione gratuita di cibo a tutti, senza chiedere a quale fazione appartenessero. La Chiesa cattolica, invece, si occupava soltanto dei propri fedeli, a meno che il richiedente si convertisse. Anche le associazioni benefiche musulmane curavano solo musulmani. Nessuno si prendeva cura dei serbi ortodossi, perché venivano considerati nemici. Molti, dalla Città Vecchia, dopo che tutti li avevano respinti, venivano da noi. Altri non ne avevano il coraggio, perché ovunque si sparava. Nel nostro Centro era esposto un cartello con scritto che non era un luogo per discussioni politiche.

 “ Poi decidemmo di aprire delle sedi all’estero di ‘Amici della Benevolencija’, la prima fu in Olanda, dove ricevemmo aiuti dal governo, poi fu la volta di Svizzera, Germania e Francia. Ma il problema più serio erano i trasporti. Solo raramente abbiamo ricevuto aiuto dalla sede in città delle Nazioni Unite.

 “ In genere mi servivo di trasporti privati che organizzavo in convogli. Durante la battaglia di Sarajevo, che durò dall’aprile 1992 fino al novembre 1995, abbiamo distribuito centomila tonnellate di vettovaglie. Anche la benzina era un problema, tutti cercavano di rubarla, ovunque fosse possibile. I convogli partivano quasi sempre dal settore bosniaco croato, solo due volte ci siamo serviti di quello bosniaco serbo.

 “ Per passare i posti di controllo, dovevamo informare le fazioni in guerra che i nostri mezzi trasportavano solo cibo e medicine, fornendo la lista completa del carico. Cioccolato,caffè, sigarette e cosmetici erano proibiti. Non potevamo trasportare cibi ricchi di proteine, come la carne, solo pasta, fagioli e olio. I francesi avevano portato in soli due camion delle bottiglie di acqua, perché giustamente temevano che non avrebbero avuto il permesso di entrare.”

 Ceresnjes conclude ricordando un altro importante contributo del Joint Distribution Commettee: “ Ci fornirono una stazione radio dalla quale chi non poteva muoversi da Sarajevo poteva comunicare con i propri famigliari all’estero. Il JDC pagava anche il costo delle telefonate”.

Manfred Gerstenfeld è presidente emerito del  “Jerusalem Center for Public Affairs” di Gerusalemme. Ha pubblicato più di 20 libri. E’ stato di recente ristampato il suo libro “ Israel’s New Future” con una nuova introduzione e il nuovo titolo di “Israel’s New Future Revisited”.
Il suo nuovo libro può essere acquistato su Amazon


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