Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/02/2014, a pag.1-31, con il titolo "La rivincita storica di Putin", l'articolo dell'ex ambasciatore a Teheran Roberto Toscano. Come quasi sempre è il caso, si tratta della solita aria fritta, Toscano dimentica che scrive per un giornale, i lettori hanno il diritto di poter leggere analisi chiare, siano esse condivisibili o meno, non un rapporto in "stile diplomatico", di quelli che servono spesso a giustificare lo stipendio ai nostri ambasciatori troppo condiscendenti con il Paese che li ospita.
Detto questo, diciamo perchè abbiamo deciso di pubblicarlo ugualmente, con l'avvertenza ai nostri lettori che possono fare a meno di perdere il loro tempo a leggerlo integralmente, la frase che volevamo segnalare è alla fine e riguarda l'Iran. Questa: "Che senso ha, ad esempio, schierare in Europa sistemi antimissile che alterano l’equilibrio della mutua deterrenza, e che nessuno può seriamente credere siano davvero intesi, come nella versione ufficiale di Washington, a fronteggiare un molto ipotetico attacco missilistico iraniano?" Ipotetico ? Fino a poco tempo fa gli ordini di Khamenei imponevano la minaccia di un attacco missilistico non solo contro Israele, ma persino contro gli Usa, tutto dimenticato ?
Missili in Iran, in alto Khamenei Roberto Torscano
C’è da chiedersi cosa spinga i Paesi a battersi strenuamente per ottenere di diventare sedi dei giochi olimpici e ad impegnare colossali risorse in operazioni che dal punto di vista economico non solo non comportano ritorni netti, ma anzi spesso contribuiscono pesantemente ad aggravare le difficoltà finanziarie. (Nel ricostruire ilmeccanismo perverso che ha portato alla catastrofe economica della Grecia, ad esempio, la maggioranza degli osservatori attribuisce un ruolo non secondario alle Olimpiadi del 2004).Nel momento in cui si aprono nella Federazione Russa i giochi invernali 2014, vi è da chiedersi quali obiettivi si prefiggesseVladimir Putin quando presentò la candidatura di Sochi, e in che misura si può pensare che quegli obiettivi possano ritenersi raggiungibili. Non si tratta certo di un calcolo economico, dato che non si vede come i circa 50 miliardi di dollari stanziati potranno risultare un investimento redditizio. Lo scopo di Putin era certo un altro, quello di un’affermazione del prestigio nazionale russo dopo l’umiliazione – sentita molto profondamente anche da chi non amava il comunismo e non ama oggi Putin – derivata dalla fine dell’Urss e dalla perdita del co-protagonismo con gli Stati Uniti che aveva caratterizzato i decenni del bipolarismo tipico dellaGuerra Fredda. Che si trattasse di consacrare una sorta di rivincita storica lo ha confermato in questi giorni il vice ministro Kozak, che ha risposto alle critiche rivolte ad alcune clamorose insufficienze organizzative segnalate dalla stampa internazionale citando Caterina la Grande, che aveva risposto alle critiche per una sua controversa decisione affermando: «I vincitori non vengono giudicati». Il problema risiede però nel fatto che è tutto da dimostrare che la Russia di oggi, a Sochi e oltre Sochi, sia vincente. Anzi, invece della zarinaCaterina, viene in mente il suo favorito Potiomkin, famoso per avere fatto costruire lungo le rive del fiume Volga villaggi di sole facciate (i proverbiali «villaggi Potiomkin») per impressionare la sovrana che discendeva il fiume in battello. Oggi la Russia non si trova certo almassimo del dinamismo, e non solo gli indici economici,ma anche quelli che segnano prestigio e soft power, non sono certo al loro massimo. Ha ragione Lilia Shevtsova, del Centro Carnegie di Moscow, quando fa notare che la decisione di Putin di presentare la candidatura di Sochi sembravamolto più giustificata, molto più razionale, sette anni fa (l’assegnazione, con la sconfitta delle candidature alternative di Austria e Corea del Sud, avvenne nel 2007) di quanto non appaia oggi. Facciamo tutti gli scongiuri perché i giochi non siano funestati da episodi di terrorismo (di fronte all’orrore di Monaco 1972 non resta che esclamare «mai più»),ma il pericolo esiste, dato che Sochi non è lontana da Cecenia,Daghestan ed Inguscezia, zone dove imperversa un terrorismo islamista che Mosca – che pure era riuscita con una vera e propria guerra a stroncare il separatismo ceceno – non riesce affatto a sradicare. E poi, anche se non si è riprodotto il boicottaggio che aveva colpito le Olimpiadi di Mosca del 1980, il livello ridotto della partecipazione internazionale alla cerimoniadi inaugurazione configurauna sorta di «semi-boicottaggio» che certo non giustifica il trionfalismo di Mosca. Vadetto qui per inciso che - quale che sia il nostro giudizio sulla politica del governo russo in tema di diritti umani, e da ultimo dell’omosessualità - l’idea di far dipendere l’adesione o meno ai giochi olimpici da un giudizio sulla politica del governo ospitante dovrebbe portare, se applicata coerentemente, a concentrare lo svolgimento delle Olimpiadi soltanto in un numero molto limitato di Paesi al di sopra di ogni sospetto, certificati da Amnesty e da Transparency International. Essere andati a Pechino nel 2008 e non andare a Sochi, ad esempio, non sembra un’opzione facile da difendere. Sarebbe inoltre oggettivamente sbagliato e politicamente pericoloso, anche nel momento in cui risultano evidenti i limiti del «putinismo », sottovalutare la Russia dimenticando il suo potenziale economico – un potenziale molto consistente anche se male gestito soprattutto per uno scarso impegno industriale ed un’eccessiva dipendenza dalle esportazioni di idrocarburi, il cui mercato sembra destinato nei prossimi anni a riservare ai produttori amare sorprese. Ancora più errato sarebbe trascurare il peso della Russia nelle relazioni internazionali.Appare ad esempio evidente che senza la Russia (così come senza l’Iran, l’altro Paese sostenitore del regime di Assad) è impossibile immaginare una soluzione diplomatica della tragedia siriana, unica alternativa di fronte non solo al fallimento dell’opzione militare degli insorti, ma anche all’impossibilità per il regime di ristabilire il precedente pieno controllo dello Stato e sulla società. Ma se il Medio Oriente può risultare un terreno in cui non sono escluse convergenze con Stati Uniti ed Europa (pensiamo ai comuni timori per la crescita dell’internazionalismo jihadista), l’Ucraina dimostra quanto il rapporto con la Russia sia per noi ancora problematico nella misura in cui Mosca, che ha a malincuore assorbito la perdita della propria egemonia sull’Europa Orientale, si vede minacciata anche all’interno di quella zona che definisce «estero vicino»,ma che nel caso dell’Ucraina fa molta fatica, per ragioni sia storiche che strategiche, a considerare davvero estero. Nel momento in cui ricordiamo alla Russia con tutta la dovuta fermezza che non sono più ammissibili, soprattutto in Europa, sovranità limitate di sovietica memoria, faremmo però anche bene a riconoscere la necessità di rispettare alcuni suoi legittimi interessi di sicurezza. Che senso ha, ad esempio, schierare in Europa sistemi antimissile che alterano l’equilibrio della mutua deterrenza, e che nessuno può seriamente credere siano davvero intesi, come nella versione ufficiale di Washington, a fronteggiare un molto ipotetico attacco missilistico iraniano? Per quanto poi riguarda l’Ucraina, Yanukovich – tipico homo sovieticus – non è certo un campione da difendere,ma faremmo bene anche a mantenere forti riserve nei confronti di una non secondaria componente dell’opposizione che punta allo scontro violento e non riconosce i diritti di una parte consistente del Paese (quella russofona e scettica sulle prospettive europee), e dovremmo invece appoggiare soluzioni di compromesso. C’è da augurarsi che a Sochi la Russia ottenga tante medaglie, come i suoi ottimi atleti meritano, e che ridimensioni invece alcuni non giustificati trionfalismi e pretese di potenza.Ma lo farà soltanto se da parte nostra eviteremo di confermare, per mancanza di equilibrio e prudenza, i suoi peggiori sospetti – che non la rispettiamo ed intendiamo approfittarcidi ogni suo segnale di debolezza - e soprattutto se eviteremo di umiliare un popolo la cui dignità e il cui orgoglio non dipendono certo da Vladimir Putin.
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