Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/02/2014, a pag 1-13, il commento di Domenico Quirico "I pendolari della GuerraSanta", seguito dalla cronaca di Eleonora Vallin "Il jihadista della porta accanto, dal Veneto alla morte in Siria".
Domenico Quirico: " I pendolari della Guerra santa"
Abituiamoci a pensarlo. Oggi è a Longarone. Ma diventerà sempre più una storia comune, quotidiana. Un bosniaco che incontravi ogni giorno sulle scale, al caffè, che ti aveva tinteggiato la casa, con un figlioletto dagli occhi vivaci. Dentro quel fervore, quella passione dello spirito che sono una delle particolarità della giovinezza. Un giorno non lo vediamo più, chiediamo… «E’ partito …ha detto che tornava al suo Paese..». O è il magrebino che faceva mazzo con i suoi connazionali, incupiti, sempre a parlar fitto.Anche lui scomparso: cancellato l’affitto della squallida stanza che abitava in qualche periferia, eliminati i pochi contatti di una vita ai margini di tutto ciò che siamo. E poi come per Ismar Mesinovic scopriamo che è morto, il kalashnikov in pugno, in qualche battaglia. Ismar in Siria.Oin Sahel.Oin Afghanistan.Un Martire. Storie del nuovo Jihad, delle Brigate internazionali islamiste. E par di leggere l’avvio di «Omaggio alla Catalogna» di Orwell, la caserma Lenin di Barcellona dove arrivavano, trafelati, per non perder l’occasione della rivoluzione, italiani e inglesi, polacchi e bulgari. L’internazionalismo, un tempo comunista, ora scandisce il nome di Dio. E’ composto di mille vite come quella del jihadista di Longarone. Passare dal materialismo storico a una concezione teologica o metafisica significa, in fondo, solo cambiar genere di provvidenzialismo. Ecco: hanno tagliato il legame con un mondo che per loro è bruciato da una malattia che distrugge la fede, come in alcune annate si vedono tutti gli olmi di una regione perdere le foglie. Si consacrano al servizio di un dio spietato, intrattabile; non perché lo amino ma per la sua assolutezza, per la sua intangibilità. Perché è un dio soddisfatto fino al delirio del sacrificio che impone. Eppure non è un culto cieco, è una scelta: il loro dio non lo subiscono. Lo hanno scelto. Per loro il Corano è un documento che respira come per noi, un tempo, il Vangelo. Qui è lo scandalo incomprensibile per i tiepidi. Sotto questa apparenza che vediamo e giudichiamo, che ci irrita o spaventa, c’è una vita che il mondo non vede, un segreto al quale è difficile iniziare gli indifferenti: il dolore. Ho incontrato tanti jihadisti «europei » in Siria e nel Sahel.Ragazzi diTolosa con le divise di al Faruq, o «l’americano » che ho cercato invano ad al Quesser, che abitava in una villetta miracolosamente indenne tra le rovine, dove sventolava la bandiera nera con le parole del Corano di un gruppo che lui stesso aveva fondato; o i belgi; o gli inglesi, dicono i più risoluti che hanno imparato il fanatismo nelle periferie di suaMaestà, forse a due passi dal parlamento che è il simbolo della nostra democrazia. Ci illudevamo di sedurli: e invece è come se un mattino si fossero svegliati e invece di due mondi possibili ne fosse rimasto loro, di colpo, uno solo, il ritorno alla terra amata o maledetta. È come se noi avessimo rovinato qualcosa negli uomini, anche se cosa effettivamente sia non si sa. Forse una speranza che non era mai stata vera, ma allo stesso modo dava sostegno. Nel loro destino c’è stato, qui, tra noi, uno strappo. Sono purtroppo figli delle nostre omissioni, delle nostre ipocrisie, della nostra viltà. Ci tendono questo specchio dal fondo delle loro tragedie, e vi vediamo riflesso il nostro viso. In Francia, in Gran Bretagna i guerrieri partiti dalle banlieues per le katibe della guerra civile siriana sono la seconda, la terza generazione di immigrati: i loro nonni, forse ancora i loro padri uccidevano il montone per far festa il giorno in cui riuscivano, scavalcando i reticolati che abbiamo posto all’ingresso del nostro paradiso, ad ottenere il pezzo di carta, l’autorizzazione, la cittadinanza.Molti dei nipoti, sempre di più, non vedono l’ora di rifiutarci, di tornare indietro a cercare Dio. Contro di noi. Il radicalismo islamista si nutre della sproporzione che c’è tra la umiliazione che l’Occidente ha imposto all’Islam fino a farla diventare quasi senso di fatalità e la nostra pochezza, la nostra fragilità attuale. Per questo la resistenza islamica non si declina con un eroismo quotidiano ma si immagina in termine di assoluto.
Eleonora Vallin: "Il jihadista della porta accanto, dal Veneto alla morte in Siria"
nel cerchio, Ritratto di Ismar Mesinovic da terrorista
Belluno- C’è un alone di mistero attorno alla vita e alla morte di Ismar Mesinovic. Bosniaco di Doboj, residente a Longarone, deceduto ad Aleppo a metà gennaio. Per molti Ismar è un kamikaze che si è fatto esplodere inSiria.Ma per gli amici islamici del centro culturale Assalam-Pace, e per i commentatori online della pagina Facebook «La scienzadelCorano», èunribellemorto in battaglia. Forse, caduto sul campo per mano di un cecchino del governo siriano. «Hanno scritto che si fatto saltare in aria ma è una grandissima cavolataperchého le immaginidel fratellomorto con altri fratellimorti e si vedono viso e corpo. Di uno che si è fatto saltare in aria non rimane la testa né il suo corpo» posta Anass Abu Jaffar, marocchino 25enne residente a Belluno. Ilprimo adare lanotizia online, traducendola da fonti bosniache. Sul casoMesinovic oggi indaga l’antiterrorismo diVenezia.Ma è all’attenzione dei carabinieri anche la scomparsa del figlio di Ismar: IsmairTabud che, secondo fonti stampa, aveva appena 2 anni e mezzo. Stando alla cronache, Ismar avrebbe portato il figlio con sé durante le vacanze diNatale dai parenti inBosnia.Dellamoglie,una cubana che risponde al nome di Lidia Solano Herrera, non si ha notizia. Nel piccolopaeseaipiedidelleDolomiti sidice sia tornata aCuba. I due, pare, non andassero d’accordo da tempo. Secondo alcune fonti, vivevano addirittura separati: Lidia aPontenelleAlpi. Ismar a Longarone, a 11 chilometri di distanza. A denunciare la scomparsa di Tabud sarebbe stata, infatti, la madre di Ismar che vive in Germania. Prima di partireper laSiria, Ismar sarebbepassato da lei, ma solo. La vicenda non è semplice da ricostruire, eppure sul profilo Facebook del bosniaco risulta unaccesso il 9 gennaio proprio insuolo tedesco. «Ci ha detto ciao una sera e non l’abbiamo più visto – racconta AssanLamdarki, presidentedell’Associazione Assalam di Ponte nelle Alpi –. Pensavamo avesse problemi di lavoro. Lo fanno in tanti di andare via dall’Italia. Gli abbiamo detto: auguri e buona fortuna». «Era un amico – continua Assan – abbiamo appreso la notizia dai giornali e siamo rimasti stupiti. Era un ragazzo tranquillo e sereno, giovane e con un bimbo piccolo». Lamoglie? «Non si èmai avvicinata a noi e alla nostra cultura, non parlava arabo, non ha legato conlenostredonne – continua –.La verità è che noi siamo riservati e non chiediamo mai nulla della vita privata: nessuno sa come stavano le cose, né com’è morto in Siria». Interista, musulmano praticante e imbianchino, prima dipendente poi partita Iva, Ismar aveva 36 anni e una passione per il Kyusho, l’arte di controllare, rendere inabile emettereKo l’aggressore colminimo sforzo. Nel suo profilo social, i link affettivi sono con 9 cugini bosniaci. Tra le «persone ispiratrici» c’è Pierre Vogel, conosciuto anche come Abu Hamza, predicatore musulmano e pugile tedesco. Il suo ex datore di lavoro, GinoD’Incà, loricordacosi:«Nonhomai conosciuto la sua compagnamami parlava tanto di suo figlio e ne eramolto orgoglioso ». «Per la mia esperienza – aggiunge ilpiccolo imprenditorebellunese, titolare di un’impresa di imbiancatura - posso parlarne solo bene. Un ottimo lavoratore, maiunoscrezio, sempredisponibile anche per gli straordinari. Si assentavasoloperandareinBosniadaiparenti ». Ma qualcosa era cambiato. «Quando l’ho visto l’ultima volta la scorsa primavera aveva con un aspetto diversodal solito:barba lunga e lookmolto islamico». La differenza è chiara se si confrontano la foto postata a luglio 2013 con il figlio in braccio, dove Ismar indossa una t-shirt arancio con dei pantaloni bianchi, e quella pubblicata il 13 gennaio di quest’anno su «La scienza del Corano », scattata nella moschea di Trento con altri «fratelli». Stando al personale dell’anagrafe comunale Ismar aveva cambiato spesso residenza negli ultimi tre anni: Ponte nelle Alpi, Longarone, Pieve d’Alpago, Sedico.Ma è difficile ricostruire gli spostamenti. E soprattutto la sorte del piccoloTabud. «L’attività di indagine è delicata ed è in corso – conferma il comandantedeicarabinieridiBelluno, DarioDi Iorio – l’invito è quello di non diffondere informazionipernonmetterearischiole ricerche».Al centro dell’attenzione delle forze dell’ordine ci sono però anche i legami eventuali e tutti da verificare del giovane bosniaco con il mondo terroristico. Specie le sue frange più integraliste che però non hanno nulla a che fare con il centro culturale pontalpino.
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