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La Repubblica Rassegna Stampa
08.02.2014 Descrivere la vita a Gaza senza mai menzionare i razzi contro Israele
la menzogna omissiva nell'articolo di Laura Silvia Battaglia

Testata: La Repubblica
Data: 08 febbraio 2014
Pagina: 40
Autore: Laura Silvia Battaglia
Titolo: «Cosa sognano i ragazzi a Gaza»

Riportiamo da D di REPUBBLICA di oggi, 08/02/2014, a pag. 40, l'articolo di Laura Silvia Battaglia dal titolo "Cosa sognano i ragazzi a Gaza".


Razzi di Hamas

L'articolo di Laura Silvia Battaglia descrive la vita dei giovani a Gaza tra embargo e censura di Hamas.
Quello che manca, come quasi sempre nei pezzi di questo genere, è la motivazione che ha spinto Israele a imporre un embargo a Gaza.
Vengono sempre menzionati i tunnel per le merci di contrabbando (armi incluse), il blocco navale, ma i razzi di Hamas contro la popolazione israeliana non vengono citati. E' un classico esempio di menzogna omissiva, si racconta parte della verità, omettendo alcune informazioni fondamentali perché 'scomode'.
Ecco il pezzo:

Mariam Abuamer ha la camera da letto rosa e un armadio di giubbotti in finta pelle nera, le tazze di Starbucks sul comò e una foto di Fai-ruz, la cantante libanese, appesa a una parete. Prima di uscire di casa perde un quarto d'ora per lisciarsi i capelli, corti e nerissimi. «Pensano che voglia scandalizzare invece voglio solo essere me stessa: cristiana e senza il velo. Mi piace il rock, e canto». Mariam ha 23 anni e vive a Gaza City, all'ultimo piano di uno dei palazzoni incompiuti della zona Est con i balconi aperti come bocche sdentate, le finestre grigie e affumicate come occhiaie vuote. Frequenta un'università privata, indirizzo comunicazione, «perché nelle università private c'è più libertà», dice. Sogna di emigrare a Londra con una borsa di studio e intanto canta in un gruppo musicale che spopola tra i giovani gazawi, la Watar Band. I suoi amici,Alaa, Khamis, Mohammed, Anas, Eyad, Hassan e Ahmed, con Sarah, la seconda vocalist, che porta orgogliosamente il velo e suona il basso elettrico, provano a dare una scossa a una città che oggi soffre per l'embargo israeliano e per una scelta politica che inizia a pesare. Mariam è una delle ragazze gazazvi più fortunate: il padre ha accettato, dopo qualche resistenza, di tenersi una figlia ribelle, e la supporta, moralmente ed economicamente. Di certo in famiglia ci sono i soldi per fare studiare i figli. Ma non tutti qui hanno la fortuna di essere nati "bene". Gaza soffoca da quando i tunnel sotterranei di Rafah, al confine Sud, con cui i Fratelli musulmani aiutavano Hamas ad aggirare l'embargo imposto da Israele, sono stati distrutti per i pessimi rapporti con l'Egitto dei militari. La notte si cammina al buio, le strade non sono illuminate. Quando l'elettricità manca - cioè 18 ore al giorno - negli appartamenti non c'è neppure il tempo per ricaricare i telefoni cellulari, i pc, o per procurarsi una riserva di acqua calda. Si dorme a turno, in modo che qualcuno sia pronto a svegliare gli altri per approfittare dell'erogazione pubblica di energia. Ai disastri dell'embargo si aggiungono le restrizioni imposte da Hamas in tema di separazione tra i sessi: vietato passeggiare sulla spiaggia mano nella mano, cantare o esibirsi nei locali. Le ragazze sono sempre più velate; i locali misti sono presidiati dai governativi. Il malcontento cresce, i più rimpiangono la corruzione discreta e liberale di al-Fatah. Nelle caffetterie si bisbiglia di politica e, per timore di essere ascoltati, visto che negli ultimi mesi sono spariti dei ragazzi che avevano criticato l'attuale dirigenza, si parla in codice: "hummus" è una delle parole più pronunciate, e sta per "Hamas", non per la crema di ceci. Sarni, trent'anni, si guarda bene dal dare il suo cognome: «Lo scandalo qui sono i nuovi giovani ricchi, tutti dirigenti di Hamas: siamo in molti ad esserci pentiti di aver votato per loro. Volevamo debellare la corruzione e invece siamo caduti dalla padella alla brace*. In tutto, i nuovi ricchi sono 800: militanti nelle file del nuovo governo della Striscia, hanno rimpinguato i loro averi grazie alla corruzione ai valichi di Rafah, al buon rapporto con i Fratelli Musulmani e al sostegno di Turchia e Qatar. Si possono permettere più di una moglie, ville e auto da sogno. In compenso, se i cantieri aperti si susseguono lungo tutte le vie di Gaza City, di giovani operai al lavoro non c'è nemmeno l'ombra. Da luglio a oggi, per il ministero del Lavoro della Striscia, i disoccupati sono cresciuti dal 26,6% al 46%. L'edilizia ha subìto il colpo più duro: 30mila operai non hanno più materiali per lavorare. E a meno di avere genitori benestanti, chi è giovane vive sotto la soglia di povertà. Un dramma generazionale, se si pensa che per l'Onu il 65% della popolazione di Gaza ha meno di 25 anni, che l'80% non è in grado di pagare le tasse scolastiche e che tra i giovani diplomati e laureati i disoccupati sono al 66%. Chi riesce a permettersi l'educazione superiore vede il titolo come un trampolino per un consolato straniero, un ufficio governativo, i compound Onu, per l'estero. Eppure, lungo Jamal Abdel Nasser Street, il viale dove, una a destra l'altra a sinistra, si aprono le due maggiori università di Gaza, ogni mattina alle 8 sciamano un migliaio di studenti. L'Islamic University al-Ummah di Gaza ha conosciuto un'impennata di iscrizioni da tre anni a questa parte. Con una rigida suddivisione di genere e un apprezzato corso di laurea in diritto islamico, ha un'offerta che soddisfa i quadri dirigenti più conservatori. Nel cortile della sezione femminile il numero delle ragazze velate è leggermente superiore a quello dell'università concorrente, la al-Azhar, nata nel 1991, che propone molti più corsi misti. Neveen, Mustafa, Laura, Nura, Susan frequentano il corso Media e giornalismo all'università al-Azhar. «Qui i seminari sono più incentrati sulla multimedialità», dice Mustafa al-Torok, 23 anni. Nelle classi miste possono studiare anche le ragazze, ma nella società gazawi una donna che fa figli deve smettere di lavorare: Laura, vent'anni, due figli, un divorzio alle spalle e una collezione di hijab molto glam, lo sa bene: «Sogno di fare la giornalista, ma al massimo potrò insegnare». Abeer Ayyoub, che invece è riuscita a diventare giornalista e fa la traduttrice per i seminari tenuti da colleghi stranieri, ammette di faticare a imporsi, nonostante l'inglese perfetto: «A Gaza ti rispettano solo se sei un uomo». Se le giovani donne in parte lamentano e in parte accettano questa realtà, tra i ragazzi gazawi si fanno strada modi diversi di affrontare uno dei momenti storici più bui e meno mediatizzati che la Striscia ricordi. Anche se il picco è stato registrato nel 2009, con 1500 morti per overdose, il consumo di Tramadol è ancora molto elevato. Questa droga derivata dall'oppio, usata in ospedali e ambulatori come antidrepressivo per sopportare le crisi di panico durante i bombardamenti israeliani, è il lenitivo di una vita senza lavoro, identità, mobilità, futuro. Facile da ottenere (si compra senza ricetta), arriva a Gaza in quantità dai tunnel. Ahmad, 27 anni, filmaker che sull'argomento ha girato un corto, Le Biglie, crede sia importante parlarne: «Il consumo non è diminuito: conosco molte persone che "si fanno" di nascosto». Del resto, in questa finestra chiusa sul mondo che è la Striscia, oltre a lavorare e a farsi una famiglia, non c'è molto altro. E da qualche anno ci si diverte ancora meno. I locali chiudono, soffocati sia dai controlli governativi che dal costo del gasolio importato da Israele per attivare i generatori elettrici. Gli unici luoghi dove ci si diverte senza il timore di essere controllati, sono i matrimoni e gli addii al celibato. Non distante dal porto di Gaza, dagli alberghi sul lungomare e dal quartier generale delle ong, in Abu Galion, resiste un locale dove si festeggia. Chiude alle 22, elettricità permettendo, e non fa pubblicità. Ma tutti sanno dov'è. Yousef è appena uscito da lì, dopo una serata passata a ballare: «Ho speso 500 shekel, ma chi se ne importa. Domani mi sposo: non capita tutti i giorni».

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